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Avvenire-Giovani fortunati Più scuola, più cultura

Resta il buco nero dell'"evasione" Giovani fortunati Più scuola, più cultura di Giuseppe Savagnone Un'altra importante tessera, nel mosaico della riforma della scuola voluta dal ministro Moratti...

27/03/2005
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Avvenire

Resta il buco nero dell'"evasione"
Giovani fortunati Più scuola, più cultura
di Giuseppe Savagnone
Un'altra importante tessera, nel mosaico della riforma della scuola voluta dal ministro Moratti, è stata aggiunta ieri con l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri dei due decreti legislativi che prevedono, rispettivamente, l'obbligo scolastico e formativo fino a diciotto anni e percorsi di alternanza fra scuola e lavoro per gli studenti a partire dai 15 anni.

Il primo provvedimento, in conformità a quanto previsto dalla legge 53, prevede che l'obbligo possa essere adempiuto sia nel sistema dei licei sia in quello dell'istruzione e formazione professionale. L'innalzamento della durata sarà graduale: nel prossimo anno scolastico salirà dai 9 attuali a 10 anni. E già questo tratterrà all'interno del sistema di istruzione e formazione oltre 30.000 ragazze e ragazzi in più. Il decreto sottolinea la responsabilità dei genitori per l'adempimento del dovere di istruzione e formazione, prevedendo sanzioni per quelli inadempienti, e disponendo che siano i Comuni a vigilare sull'ottemperanza.
Non si possono non condividere le intenzioni del provvedimento.

Resta il problema della dispersione scolastica, ancora endemico in molte regioni d'Italia. I motivi sono diversi. Per le elementari e le medie inferiori, il fattore decisivo sono le condizioni economiche e culturali delle famiglie. Economiche, innanzi tutto. C'è il costo esorbitante dei libri di testo. Le cedole e i buoni-libro distribuiti dalle amministrazioni locali attualmente coprono solo in parte le spese. Senza contare i ritardi con cui spesso le somme previste vengono erogate. Ci sono ancora situazioni, specie al sud, dove si deve scegliere se comprare al figlio le scarpe o i libri. Giusto responsabilizzare i genitori. Però il problema non si può risolvere solo con la repressione. O si aiutano le famiglie - seriamente -, oppure le denunzie non servono. E neppure i decreti.

Diversa la situazione per gli abbandoni e i ritardi che si verificano al livello superiore. A scuola i ragazzi spesso ci stanno male e n on vedono l'ora di uscirne. Avvertono una penosa separazione tra ciò che si svolge nelle aule e la vita reale. E qui entra in gioco quanto prevede il secondo decreto legislativo approvato ieri. D'ora in poi, sia nei percorsi liceali sia in quelli dell'istruzione e formazione professionale, sarà possibile, sulla base di accordi fra le istituzioni scolastiche ed enti pubblici e privati, incluse le imprese e le associazioni di volontariato, alternare periodi di formazione in aula a periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro.

Una iniziativa volta ad assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, le competenze spendibili sul mercato del lavoro, valorizzando al tempo stesso vocazioni e attitudini attraverso esperienze concrete. Anche qui, però, c'è un rischio. Quello di offrire ai ragazzi una via di fuga dal momento più specificamente culturale, invece di aiutarli a integrare la formazione spirituale e intellettuale mettendola in circolo con la dimensione del "fare" concreto. Il problema è di fondo, e si può risolvere solo restituendo all'impegno scolastico tradizionale una capacità di collegarsi alla vita reale che sembra avere perduto. Ma questo passa attraverso una nuova motivazione dei docenti e dell'intero personale scolastico, di cui finora, purtroppo, non si intravede alcun segno e per cui forse bisognerebbe fare di più.

Comprendiamo, perciò, la soddisfazione del ministro Moratti nel registrare i nuovi passi della riforma e, in una certa misura, almeno, la condividiamo. Ma non vorremmo che questa soddisfazione alimentasse l'illusione che la nostra scuola stia risolvendo, a colpi di decreti, tutti i suoi problemi. Chi guarda le cose a partire dalle situazioni concrete di ogni giorno ha un'impressione diversa, e forse sarebbe bene che anche nelle stanze del "palazzo" se ne tenesse più conto.
Giuseppe Savagnone"


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