I complessi e le colpe della politica scientifica internazionale dell’Italia
Gli atti velleitari e puramente dimostrativi costituiscono in realtà il nucleo della politica scientifica internazionale dell’Italia e ne rivelano i complessi di inferiorità e il provincialismo sconcertante
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Come alumnus dell’EMBL (European Molecular Biology Laboratory) ho recentemente ricevuto un invito a una cerimonia presso la “Sapienza”, a cui parteciperanno, oltre a illustri ricercatori di università italiane, i vertici della sede di Monterotondo e (poteva mancare?) il direttore dell’IIT, che illustrerà probabilmente le mirabilia prossime venture dello Human Technopole. E sarei sorpreso se qualche rappresentante politico non cogliesse l’opportunità per pavoneggiarsi nei panni del mecenate.
Un’occasione per rallegrarci comunque del ruolo internazionale della scienza italiana, in particolare nell’ambito delle più prestigiose organizzazioni scientifiche europee? No, non è così.
Gli atti velleitari e puramente dimostrativi costituiscono in realtà il nucleo della politica scientifica internazionale dell’Italia e ne rivelano i complessi di inferiorità e il provincialismo sconcertante.Si improvvisano programmi di rientro/accesso di cervelli che spesso hanno l’unico pregio di provenire dall’estero, senza preoccuparsi di inserirli in un contesto in cui possano risultare produttivi (e spesso, come nel caso di un eminente scienziato da me invitato, negandogli il visto di soggiorno).
Si inseriscono esperti esteri nelle commissioni di concorso a professore universitario, i quali, per il solo fatto di essere stranieri, dovrebbero essere più virtuosi o più competenti. L’ulteriore beffa sembra essere la prossima chiamata dei 500 superprofessori, la qualifica di “super” sarà probabilmente un sinonimo e un accessorio della qualifica di “straniero”. Vedremo se i “valenti professori di Princeton” faranno la fila per lavorare nelle nostre università che il sottofinanziamento destina a un inevitabile declino.
Nelle organizzazioni scientifiche europee siamo sottorappresentati, i ritorni in termini di contratti (spesso lucrosi) per le imprese nazionali sono miseri se rapportati ai finanziamenti con cui il nostro paese contribuisce al budget complessivo, e soprattutto il personale italiano è spesso sottoposto, da parte delle amministrazioni di questi enti, ad angherie, quali non sarebbero sicuramente messe in atto nei confronti di dipendenti appartenenti a nazionalità di altri paesi, ben consapevoli che la difesa dei propri cittadini e’ una questione prioritaria di dignita’ nazionale e, alla lunga, degli stessi interessi economici.
Andiamo per ordine. Una prova che l’Italia è sottorappresentata è offerta proprio dall’EMBL. Il nostro paese contribuisce al budget dell’EMBL nella misura del 13%, ma la quota di ricercatori italiani e’ solo del 4%; in altre parole finanziamo la ricerca degli altri paesi. Si tratta di dati del 2010, anno in cui ho concluso la mia attività di addetto scientifico in Germania. Ma non credo che la situazione sia sostanzialmente mutata. E non si tratta di un’eccezione, situazioni simili si incontrano nelle altre organizzazioni.
Analogamente, gli appalti attribuiti alle imprese del nostro paese da parte dell’ESO di Monaco (dove ho rappresentato l’Italia per 6 anni nel Consiglio Direttivo) ammontavano nel 2010 alla meta’ di quello che teoricamente sarebbero dovute essere (e anche questo modesto risultato e’ stato raggiunto solo grazie al progetto ALMA di 50 milioni di Euro, che sono riuscito letteralmente a “strappare”, “dilatando” le istruzioni vaghe e inconcludenti ricevute, fino a minacciare la rottura). Anche in questo caso si tratta di un caso emblematico, ma sicuramente non l’unico.
Infine, durante la mia attività all’ambasciata di Berlino, ho dovuto assistere impotente a casi di mobbing tra i numerosi ricercatori italiani in organizzazioni internazionali con sede in Germania, conosciuti per motivi di lavoro e con i quali mantengo tuttora stretti contatti. E’ proprio il grave disagio lavorativo (segnalatomi recentemente) di un collega presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti di Berlino che mi spinge a segnalare la fragilita’ della presenza italiana in queste organizzazioni e la mancanza di una rete di protezione che impedisca almeno le angherie più gravi. Al collega dell’EPO (European Patent Office) di Berlino, per esempio, è stata riconosciuta dalla stessa amministrazione una patologia invalidante, ma ciò non ha impedito forme di intimidazione giunte fino al controllo della sua mobilità.
Esiste poi un’altra anomalia italiana: tra tutti i paesi membri di queste organizzazioni, l’Italia e’ l’unico paese che riserva ai propri cittadini operanti presso centri situati sul proprio territorio e cioe’ in questo caso in Italia (per la verita’ pochi e di dimensioni ridotte) un trattamento di doppia imposizione fiscale: in compenso gli stranieri sono esonerati dalla tassazione italiana (l’accanimento e’ riservato soltanto ai nostri connazionali). Le conseguenze sono devastanti. Per esempio, proprio presso la sede distaccata dell’EMBL di Monterotondo (ottenuta solo grazie a un atto di imperio dell’allora ministro Umberto Colombo, gia’ mio ineguagliabile maestro all’Universita’ di Genova) la percentuale di dipendenti italiani era (al 2011) 0% (zero!), a confronto con il 35% di tedeschi presso la sede di Heidelberg.
Avevo fatto presente queste circostanze (oltre che a diversi settori dell’amministrazione) all’allora viceministro Guido Possa, cui avevo fatto da sherpa in un G8 della scienza e a cui avevo comunicato l’acquisizione del progetto Alma per le industrie italiane. Mi aveva assicurato il suo appoggio, ovviamente a condizione che le urne confermassero la coalizione di governo (si era nei primi mesi del 2006: sappiamo come e’ andata). Avevo inoltre informato i propositori (E. Letta e M. Lupi) della legge sull’esonero fiscale riservato ai cervelli rientrati in Italia dell’immotivata disparita’ di trattamento (nessun carico per chi rientra, doppio carico per chi, spesso con molti piu’ meriti, rappresenta l’Italia in organizzazioni internazionali): messaggio non pervenuto.
Pensavo di essermi rassegnato, ma le informazioni ricevute dal collega dell’Ufficio Europeo dei Brevetti di Berlino hanno rinnovato il senso di frustrazione e il rammarico per non essere riuscito a richiamare l’attenzione su questi temi. Ma, forse, con l’aria che tira, dovrò farmene una ragione.
Prof. Vincenzo Giorgio Dovì, Università di Genova.