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Attentati a Parigi: ritorno a scuola tra paura, rabbia e voglia di capire

Un lunedì particolare in molti istituti. Maestri e insegnanti impegnati a parlare delle stragi in Francia, a spiegare e rispondere alle domande degli allievi. Dai più piccoli ai più grandi, da Torino a Lampedusa, il sentimento prevalente è il timore che la loro vita di ragazzi possa cambiare

18/11/2015
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la Repubblica

Cinzia Gubbini

"Perché succede questo?". "E' inaccettabile". "Non andrò più allo stadio". "Ma gli ebrei in quale Dio credono?". E persino: "Adesso Disneyland Parigi è chiusa?". Stamattina gli insegnanti italiani sono stati travolti dalle domande dei ragazzi sugli attentati terroristici di Parigi. Dalle elementari alle superiori, in tantissimi sapevano cosa è successo nella capitale francese. I più grandi nel weekend hanno passato ore su Whatsapp a commentare con gli amici, a scambiarsi foto e video, spesso raccapriccianti.

Paura, rabbia, voglia di capire: alla scuola stamattina è toccato il compito di raccogliere tutto questo e provare a spiegare. Il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, sabato aveva diramato una circolare per chiedere che fosse dedicata "almeno un'ora" alla riflessione su quanto accaduto, oltre al canonico minuto di silenzio: "I nostri ragazzi hanno il diritto di sapere, di conoscere la storia, di capire da dove nasce ciò che stiamo vivendo in queste ore".

"Anche fossi arrivata a scuola non intenzionata a parlarne, sarebbe stato impossibile - racconta Nilla Romano, insegnante della VB della scuola elementare Bovio Colella di Napoli -  ; sono stati loro a trainare il discorso. Il lunedì dedichiamo sempre uno spazio ai 'pensieri liberi' ed è stata una valanga: avevano visto le immagini in tv, qualcuno ne aveva parlato in famiglia. Non è stato facile  - ammette la maestra - , ho cercato di contenere le loro emozioni, ho fatto scrivere cosa provavano, li ho fatti disegnare. Ci sono alcune cose che mi hanno colpito: ci tenevano molto a scrivere in modo corretto i luoghi in cui sono avvenute le stragi, e un bambino ha detto 'c'era un concerto di heavy metal', utilizzando un termine specifico, che fa capire con quanta attenzione abbiano captato notizie complesse".

Cosa deve fare la scuola in questi casi? "Prima di tutto abbiamo cercato di spiegare ai bambini che tutti noi possiamo essere portatori di pace: li abbiamo fatti riflettere sui loro piccoli conflitti, su quanto è importante mediare ed avere rispetto del pensiero dell'altro. E poi abbiamo cercato di arginare le loro paure, dicevano 'può capitare anche qui a Napoli', oppure 'adesso Disneyland Parigi non ci sarà più'  - racconta ancora Romano  -  . Abbiamo detto che, certo, nella vita può sempre capitare qualcosa di brutto, ma proprio perché è preziosa dobbiamo viverla pienamente, senza paura. Per far loro capire che si può e si deve andare avanti, li abbiamo rassicurati: Disneyland Parigi riaprirà".

Anche alla scuola media Meucci di Torino i ragazzi avevano voglia di parlare, racconta la professoressa Simonetta Staltari, insegnante di Italiano: "Non è semplice entrare in classe e pensare di dover affrontare un argomento così complicato, ma la scuola è una microsocietà, non può chiudersi. Anzi, bisognerebbe parlare di più, perché discorsi come quelli che abbiamo fatto questa mattina fanno parte del bagaglio di conoscenze di cui i ragazzi hanno bisogno per trovare un senso alle cose, che è la loro vera necessità".

Staltari ha cercato di stimolare il dibattito tra i suoi ragazzi, raccogliendo molte emozioni, anche di rabbia "ma a prevalere era la paura, e la domanda 'perché succede tutto questo?'. Noi insegnanti ci siamo posti come guide esterne, cercando di aiutarli ad andare oltre le semplificazioni. Abbiamo un ragazzo di religione musulmana, anche lui ha voluto parlare, ha spiegato: 'Nel Corano non c'è scritto questo, e non è giusto'". Rischio xenofobia e razzismo a scuola? "Sinceramente non credo  -  dice Staltari -  ho la netta sensazione che i ragazzi siano avanti, forse perché ragionano più emotivamente, sanno benissimo che il loro compagno di banco è uno di loro. E gli stessi alunni di religione musulmana si identificano con le vittime, con i ragazzi che vanno allo stadio o ai concerti e rischiano di morire".

Anche nelle scuole di Lampedusa, l'avamposto più a Sud d'Europa, dove da anni arrivano i profughi in fuga dalla guerra, stamattina si parlava di Parigi. La dirigente scolastica, Rosanna Genco, ha inviato un messaggio a tutte le scuole delle isole di Lampedusa e Linosa, invitando gli insegnanti a proporre letture e dare spazio a conversazioni "sulla libertà dell'uomo e sulla sicurezza" perché "aldilà dell'odio xenofobo e razzista, c'è e ci potrà sempre essere spazio per riaffermare i valori della libertà. "Abbiamo scelto di fare un minuto di silenzio proprio a mezzogiorno, in contemporanea con Parigi  -  racconta la professoressa Angela Gueli, che insegna Filosofia e Storia al Liceo di Lampedusa  -  ci siamo messi in cerchio, siamo partiti dalle notizie, i ragazzi erano molto coinvolti. Siamo un scuola aperta, abituata a parlare di immigrazione, e anche di Europa. Poco tempo fa abbiamo fatto un lavoro proprio sul tema dell'Europa, ed era emerso che i ragazzi stentavano a sentirsi europei, perché si sentono dimenticati. Oggi, invece, hanno capito di essere profondamente europei e anche cittadini del mondo. E' stato bellissimo quando abbiamo iniziato il minuto di silenzio. Ho detto 'pensiamo a tutte le vittime delle stragi di Parigi', e una ragazza si è alzata e ha detto 'no, pensiamo a tutte le vittime delle stragi nel mondo".

Nella scuola media "Gramsci", nel quartiere Trullo di Roma, un'altra classe ha ragionato su Parigi, sulle stragi e sul terrorismo, aiutata dalla guida della professoressa Luciana Francesca Capozza: "Abbiamo proposto ai ragazzi un video sui diritti umani di Amnesty International. Nella classe prima, in cui i ragazzi sono più piccoli, abbiamo fatto dei lavori, come dei disegni su dei cartelloni e letto la poesia di Gianni Rodari 'Promemoria', quella che dice 'ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra, per esempio la guerra'. Con i più grandi è stato possibile discutere, avevano molte domande, volevano capire, c'è chi ha chiesto di sapere di più sulla religione ebraica, abbiamo così costruito l'albero delle religioni. Altri hanno espresso paure, dicendo che non sarebbero più andati allo stadio, abbiamo ragionato insieme sulla necessità di non vivere nel terrore".

Barbara Polli, docente dell'Istituto tecnico Cattaneo di Milano, è rimasta molto colpita dal fatto che oggi i ragazzi siano arrivati con i giornali in mano, quelli gratuiti distribuiti in metro: "E' già stato un segnale di interesse, solitamente non leggono molti giornali". Proprio dai titoli dei quotidiani è partito il confronto: "A scuola abbiamo una alta percentuale di ragazzi immigrati, in particolare egiziani. All'inizio ho percepito un loro timore che i compagni potessero giudicarli. Devo dire però che la
discussione è stata molto serena, tutti hanno condannato questi atti terroristici, tutti sono parsi consapevoli della differenza che c'è tra la religione e il terrorismo. E tutti, soprattutto, hanno gli stessi sentimenti: la paura che la loro vita di ragazzi possa cambiare".


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