Atenei, in pochi possono assumere Bari e Napoli perdono più prof
Nel 2013 stanziati 150 milioni. Altri 41 in discussione in Aula
ROMA — Si tratta dell’assunzione di poco più di 400 docenti universitari che per quest’anno dovranno sostituire i 2.300 professori che sono andati in pensione. Ma si sta trasformando in una vera e propria guerra degli atenei pugliesi e sardi contro il Nord e contro il ministro Maria Chiara Carrozza.
In mezzo la Crui, la conferenza dei rettori, che con il suo presidente Stefano Paleari cerca di riportare la calma. Il tutto in un groviglio di norme che si sono succedute dal decreto Tremonti, che nel 2009 impose i primi tagli consistenti all’Università, passando per la spending review di Monti approvata l’anno scorso. E già si parla di ricorsi al Tar. Mentre i politici pugliesi sono sul piede di guerra, pronti a difendere le loro università che risultano, secondo i criteri applicati nell’ultima ripartizione delle assunzioni, le meno virtuose e dunque le più penalizzate nel ricambio dei docenti.
«In linea di principio sono i conti che governano il reclutamento e non il contrario — spiega Stefano Paleari invitando a guardare avanti, al fatto che dall’anno prossimo, per la prima volta da cinque anni, non ci saranno tagli — capisco le reazioni a caldo, ma abbiamo chiesto al ministero di valutare la questione dell’organico e delle assunzioni sul biennio, visto che il ministro Carrozza ha stabilito che l’anno prossimo il turn over potrà salire al 50 per cento dandoci un po’ di fiato in più».
«Dal ministero si rimangeranno tutto», protesta uno dei rettori finito in fondo alla classifica 2013: come i colleghi di Bari e di Foggia sta studiando le contromosse per riaprire la classifica. Il rettore di Sassari Attilio Mastino non accetta che la sua università sia tra le meno virtuose: in realtà quest’anno — poiché si potrà comunque sostituire solo il 20 per cento dei pensionati — invece di poter assumere 4 persone ha diritto a 1,5 nuovi professori: «Ma non è questione di cifre, è questione di principio: ho fatto un grande risanamento e la mia università è leggermente fuori dai parametri perché mentre io risanavo ci tagliavano i fondi».
Dal 2009 effettivamente i finanziamenti alle università sono diminuiti da 7 miliardi e mezzo a circa 6,5: facendo i conti a spanne è come se ogni cittadino spendesse per l’università 100 euro («meno del canone», conteggia Paleari), in Inghilterra se ne spendono 150, in Francia e Germania 300.
Quest’anno sono stati stanziati 150 milioni per il diritto allo studio e altri 41, nel decreto che oggi approda in aula alla Camera, per gli atenei che secondo la graduatoria dell’Anvur sulla ricerca (la nuova valutazione sullo stato della ricerca nelle singole università conclusa l’estate scorsa) hanno avuto i risultati migliori. Ma i tagli previsti dal decreto Tremonti del 2009 sono arrivati oltre i 300 milioni: «L’anno prossimo se la legge di Stabilità sarà approvata, i tagli saranno azzerati — spiega ancora Paleari — e speriamo che ci sia anche il piano per i ricercatori che è la questione che in questo momento mi preoccupa di più».
«I finanziamenti del 2013 però sono arrivati a fine anno — spiega il rettore dell’Università di Padova Giuseppe Zaccaria —, come facciamo a fare programmi? Un mio collega austriaco, tanto per fare un esempio, mi ha spiegato che da loro la programmazione e i fondi sono triennali, questo ci permetterebbe di ragionare a più lunga scadenza».
Ma in attesa di capire se il piano per i ricercatori davvero arriverà e se i finanziamenti potranno essere destinati in primavera invece che a fine anno, per ora i rettori si misurano sulle assunzioni. «È una strategia lucida e diabolica, vogliono chiudere le università del Sud», ha dichiarato il rettore di Foggia Giuliano Volpe. «È un clamoroso abbaglio, è folle, si vogliono creare gli atenei di serie A mentre gli altri vengono lasciati morire», incalza il collega della Aldo Moro di Bari Corrado Petrocelli.
La disparità nei «punti» percentuali guadagnati dai diversi atenei è molta: si va dagli oltre 200 del Sant’Anna di Pisa (scuola tra l’altro di cui Carrozza è stata rettore) e della Normale, agli 80 di Bergamo, ai 6-8 dei meno virtuosi, come la Seconda università di Napoli: lo scorso anno c’era un tetto (eredità della legge Tremonti) che in qualche modo diminuiva le distanze correggendo le differenze, ma quest’anno non c’è più. Ed è su questo punto che è pronta la battaglia giuridica. Sono al lavoro gli esperti delle varie università, e dal ministero ieri è arrivata una nota di spiegazione.
«Il governo Monti preferì non inserire una soglia per le penalizzazioni», si è difesa Carrozza che non ha però fatto sconti: «Smettiamola di dire che gli atenei del Sud hanno avuto meno risorse. Ci sono atenei che hanno fatto un ottimo risanamento, che su ricerca e reclutamento hanno puntato tutto sulla qualità, ma ce ne sono altri che hanno lavorato meno bene e non possono pretendere la stessa attenzione».
«È a rischio una generazione di ricercatori — si lamenta Mastino, il rettore di Sassari —, noi dovremo chiudere dei corsi di laurea se non si aumenterà il turn over ». A sostegno degli atenei pugliesi si è schierato il governatore Nichi Vendola (Sel) ma anche i parlamentari del Pdl: «È a in corso un tentativo di cancellazione della cultura del Mezzogiorno», ha protestato Vendola.
«Gli atenei del Sud negli ultimi anni hanno avuto un piano speciale di aiuti con oltre 1,8 miliardi stanziati — ribatte Zaccaria da Padova —. Certo che i vincoli della spending review sono pesanti ma bisogna che tutti compreso il Sud facciano una politica di assunzioni saggia». Anche Padova non è tra i migliori per il bilancio: «Non mi lamento. Abbiamo dovuto contrarre dei mutui, sempre nei limiti imposti, perché non abbiamo ricevuto abbastanza fondi, ma la mia politica è rimboccarsi le maniche».
Gianna Fregonara