Assorbire i precari e non farne più
di MARIASTELLA GELMINI
FIN dall’inizio del mio mandato ministeriale mi sono occupata di precariato, in diversi modi e in diverse direzioni. Da una parte, ho affrontato il problema del precariato nella scuola, ereditato dalle precedenti legislature e determinato da scelte politiche irresponsabili. Del resto, non vedo come possano diversamente definirsi quelle politiche che hanno fatto lievitare fino a 240.000 il numero degli insegnanti abilitati ed iscritti nelle graduatorie, a fronte di soli circa 30.000 posti vacanti all’anno.
A questi docenti abilitati, si aggiungano i circa 300.000 insegnanti privi di abilitazione ed iscritti nelle graduatorie d’istituto che hanno svolto occasionalmente e saltuariamente qualche decina di ore di supplenza annuale. Persino quelle azioni legislative adottate per tentare di risolvere la piaga del precariato sono state fatte in modo disarticolato e talvolta contraddittorio. Mi riferisco, in particolare, a quel provvedimento che, mentre trasformava giustamente le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, consentiva ancora l’attivazione di quei corsi Siss di abilitazione all’insegnamento senza che i relativi partecipanti potessero poi iscriversi in quelle stesse graduatorie ormai chiuse fino, appunto, al loro esaurimento.
A fronte di questa situazione, non potendo continuare a considerare la scuola un ammortizzatore sociale, la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di evitare l’insorgere di altro precariato attraverso una nuova disciplina della formazione iniziale degli insegnanti che, tra le altre cose positive, programma il numero dei nuovi docenti esclusivamente in base ai fabbisogni reali della scuola. In altre parole, le Università non potranno attivare corsi di laurea per l’insegnamento con una quantità di iscritti superiore ai posti vacanti. Allo stesso tempo, ci siamo preoccupati di adottare i provvedimenti necessari per aiutare gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, a cui non è stato rinnovato il contratto dell’anno precedente, a non perdere altre occasioni di impiego nella scuola. A questi docenti sono state assegnate tutte le supplenze temporanee disponibili durante l’anno scolastico e sono stati riservati i progetti speciali finanziati dalle Regioni per ampliare l’offerta formativa e consolidare le competenze di base in italiano o in matematica. Dei suddetti 240.000 insegnanti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento circa 110.000 sono impiegati con supplenze annuali continuative e, in ogni caso, tutti saranno immessi in ruolo nel giro di 7 o 8 anni, in virtù della dinamica dei pensionamenti che determina circa 30.000 posti vacanti all’anno.
Dall’altra parte, mi sono occupata di quelle riforme e di quei provvedimenti che hanno l’obiettivo di contrastare la precarietà nel mondo del lavoro, attraverso una migliore formazione del capitale umano. Mi riferisco alla riforma dell’istruzione tecnica e professionale, all’introduzione degli istituti tecnici superiori e alla riforma dell’Università. I dati del mercato del lavoro registrano un’asimmetria tra i percorsi formativi e i fabbisogni delle imprese. Non è possibile accettare il paradosso di una disoccupazione giovanile che si aggira attorno al 29% e la mancanza di 130.000 figure tecniche richieste dalle imprese, come dimostrato dalle rilevazioni Excelsior di Unioncamere. Con un gioco di anticipo, la precarietà si può veramente contrastare attraverso una vera integrazione tra scuola e lavoro come prevede il progetto “Italia 2020: piano di azione per l’occupabilità dei giovani”, elaborato con i ministri Sacconi e Meloni. Occorre infatti valorizzare la formazione svolta presso l’azienda e riconoscere pragmaticamente la valenza formativa del lavoro. Per questo motivo diamo centralità al contratto di apprendistato, quale contratto di primo impiego dei giovani, utile anche per l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione e per conseguire una qualifica professionale.
Occuparsi di precarietà è fare scelte responsabili e sostenibili. Altrimenti è tutt’altro, forse l’opposto.
*Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca