Aspettando settembre
di Antonio Valentino
Partire da un bilancio equilibrato. Non so se il MIUR ha cercato di conoscere, attraverso qualche inchiesta attendibile, le diverse situazioni che sono state vissute dalle nostre scuole nell’anno scolastico ormai alle spalle e quale clima sia prevalso. Le ricostruzioni offerte dai media, sono state finora frammentarie e tali comunque da dare prevalentemente voce alla protesta e al disorientamento.
Tuttavia la percezione che sembra cogliersi più diffusamente in giro, soprattutto tra chi nella scuola ci lavora o la frequenta, è che prevale tra docenti e dirigenti un clima che è insieme di insoddisfazione e di affanno; e anche di disorientamento e rifiuto.
Ha un bel dire la Ministra che sono state fatte cose straordinarie e che la Buona scuola comincia a dare i suoi frutti. E può anche esprimere comprensibile autocompiacimento la nota ministeriale che riporta, con piglio ragionieristico, tutti i provvedimenti varati quest’anno in attuazione della riforma. La domanda che non pone né la Ministra né la nota ministeriale è invece quella semplice che riguarda i risultati in termini di avvio dei miglioramenti nel fare scuola, di una maggiore intesa tra i docenti, di un maggiore interesse dei ragazzi alle proposte dei loro insegnanti. Che sono le cose che contano.
Il “cronoprogramma” di Faraone
Si obietterà che siamo agli inizi di un processo. Giusto. Ma il problema è che comincia un nuovo anno scolastico in condizioni forse più incasinate di quello precedente. E la ragione fondamentale è che, probabilmente, non c’è più lo stallo e l’impantanamento degli anni precedenti alla riforma, ma non c’è neanche la consapevolezza diffusa – di cui ci sarebbe bisogno - del senso di questa riforma e delle sue direzioni di marcia. E quindi lo stimolo e l’interesse a esserci dentro. Anzi quello che si avverte da parte dei più è la sensazione di un girare a vuoto, vorticoso; ma a vuoto. Che semina scontento e ulteriore disamore. Almeno queste le percezioni più diffuse. Se capisco bene.
Non si vuole sottovalutare – checché se ne pensi – la consistenza degli investimenti di questo governo sulla scuola, né l’importanza di alcuni provvedimenti come l’organico potenziato e il tentativo di cominciare a porre finalmente la parola fine alla vergogna del precariato e delle reggenze (pur con i limiti, le gravi improvvisazioni, le disfunzioni pesanti della fase attuale). Su questi aspetti si può anche pensare che i tempi del cambiamento non possono restringersi ad un solo anno, né che innovazioni così profonde - che puntano anche a sanare situazioni incancrenite del passato - possano svolgersi senza correre rischi e produrre in qualche caso nuove ingiustizie (tanto più dolorose quanto più probabilmente contenibili, se solo la fretta non avesse funzionato da criterio dominante, se non esclusivo).
Ma su altri provvedimenti, il “cronoprogramma” - come lo chiama il sottosegretario Faraone in una intervista a Orizzonte Scuola di fine luglio – del processo di riforma di questo primo anno, per come è stato pensato e realizzato, può apparire piuttosto il segno di una ossessione che altra giustificazione non sembra avere che quella di appuntarseli – tali provvedimenti - come fiori all’occhiello (per chi ci crede). E che affrontano, come è noto, questioni complesse: dalla valorizzazione del merito al conseguente e problematico insediamento del Comitato di Valutazione, dalla istituzione delle reti di ambito alla individuazione dei docenti da parte delle scuole per i posti vacanti, dall’alternanza Scuola lavoro al Piano nazionale di Scuola digitale; e chi più ne ha più ne metta; a cui vanno necessariamente aggiunti gli adempimenti ordinari delle scuole, che ormai ordinari non sono più; e tacendo infine di altre incombenze che ti capitano sempre tra capo e collo (partecipazione alle commissioni di concorso e consimili, reggenze ecc., ecc. …)
Ripensamenti? In quale direzione?
Il sottosegretario Faraone, nell’intervista citata, sembra avvertire la pesantezza di questa situazione laddove avverte che “… il prossimo anno i tempi saranno più distesi per tutti. All’inizio ogni innovazione produce paura e smarrimento. (…). Tutti insieme dobbiamo andare oltre questi sentimenti. Fermi restando i principi alla base della legge, vogliamo verificare con tutti i protagonisti le modalità operative che abbiamo messo in campo in questo primo anno di Buona Scuola correggendo ciò che c’è da correggere”.
Una sola obiezione a questa affermazione impegnativa, sul punto che richiama i principi a base della legge di riforma: finora, quali spazi di confronto, di costruzione e di chiarimenti sono stati promossi all’interno delle categorie della scuola? Si è partiti dal Documento sulla Buona Scuola (settembre 2014), che aveva l’ambizione di coinvolgere tutti i soggetti interessati in una operazione di rinnovamento, e ipotizzava meccanismi e aspettative spesso interessanti, e si è arrivati ad una legge che dice cose altre rispetto alle proposte iniziali e ai risultati di questionari e dibattiti che ne sono seguiti (Per fortuna ci sono stati miglioramenti anche significativi nella stesura finale del testo legislativo; che partiva però da una visione diversa, non risolutiva dei dubbi emersi).
Il disorientamento, le incomprensioni e le diffidenze nascono da lì e niente si è fatto per rimuoverle. Anzi la demonizzazione governativa delle organizzazioni sindacali – che sottovalutava l’importanza di creare un clima nuovo, trasparente nei ruoli e nelle funzioni, capace di creare fiducia su basi che rompessero con il passato - ha portato solo all’isolamento dell’Amministrazione e haimpedito un confronto serio e approfondito sulla riforma, sui dubbi che pone e le contraddizioni che presenta; e quindi sulle interpretazioni volte a chiarirli e superarli.
La questione centrale
In questo scontro hanno perso sia i Sindacati che il Ministero; ma a soffrirne di più sono state le scuole - almeno la maggior parte di esse - in termini di crescita della sfiducia ai vari livelli e di lacerazioni interne. In itale scontro, si è addirittura ricorso – da parte di alcuni sindacati - allo spauracchio - mistificante e ingeneroso, nella maggior parte dei casi - dei presidi “sceriffi”, “corruttori” (e quindi, implicitamente, di insegnanti corrompibili) e “disonesti” che potrebbero, ora, ‘fare quello che vogliono’, senza alcun controllo. Con inevitabili conseguenze sul clima interno di non poche scuole. Dove sono prevalse, nei casi migliori, diffidenza e quindi “sfilamenti” sul piano delle collaborazioni; nei peggiori, ostilità aperte. E così il timore di ipotetici rischi l’ha avuta vinta sulla opportunità di un dibattito approfondito sulla necessità, diventata impellente, di ripensare il modello organizzativo pre-riforma – che già Piero Romei aveva messo sotto accusa quasi trent’anni fa (il modello organizzativo così detto “domestico”) – che mal tollera ogni richiamo ai principi di responsabilità professionale (e quindi alla valutazione e rendicontazione, ma anche al riconoscimento e alla valorizzazione) in ordine ai risultati del fare scuola.
È questa la questione profonda da mettere al centro del dibattito, per rileggere le scelte fatte quest’anno e rivederle nell’ottica di “correggere quello che c’è da correggere” (per riprendere il proposito del Sottosegretario). È alla luce di un nuovo modello organizzativo - che valorizzi il principio di autonomia responsabile ed efficace - che vanno pertanto rilette le scelte sulla valorizzazione del merito e la individuazione, da parte delle scuole, dei docenti per i posti vacanti nell’organico dell’autonomia. Evitando comunque di demonizzare l’eventuale ricorso , da parte del DS, al colloquio col docente coinvolto. È veramente difficile capire il senso di questo impuntarsi sul punto.
Perché non sia un altro anno “a perdere”
Ritengo comunque che, in questa fase, le responsabilità maggiori per una ripresa del dialogo, dentro e fuori le scuole, cadano sul Ministero. Finora è prevalsa in Viale Trastevere una politica scolastica tutta volta a emanare provvedimenti, a tamburo battente e spesso in solitudine, senza preoccuparsi che fossero leggibili e comprensibili, oltre che condivisibili - almeno dai più - ed effettivamente realizzabili nei tempi previsti.
Questa è la ragione che spinge ad apprezzare, della già richiamata intervista di Orizzonte scuola, il proposito espresso da Faraone di “costruire un percorso di reale e leale confronto con i sindacati, con l'obiettivo di giungere a un'intesa. [E]riprendere presto un cammino insieme per valorizzare le caratteristiche professionali più coerenti con il lavoro degli insegnanti”.
Che spero significhi anche - e in primo luogo - mettere in agenda un rinnovo contrattuale sempre più urgente e all’altezza dei tempi. Tanto per partire col piede giusto.
Il contratto non è un regalo ai sindacati, ma un diritto che può ben essere pedina importante per ristabilire un clima di fiducia e collaborazione. Senza delle quali – ce lo insegna l’esperienza- non si va da nessuna parte.