Asili nido, arriva il decreto: più posti e maestre laureate
La riforma della scuola passa anche dal nido. Anzi, inizia proprio da lì, per creare d'ora in poi un percorso unico, che sia il più possibile coerente con i programmi e le necessità degli studenti. Anche quelli più piccoli
ROMA La riforma della scuola passa anche dal nido. Anzi, inizia proprio da lì, per creare d'ora in poi un percorso unico, che sia il più possibile coerente con i programmi e le necessità degli studenti. Anche quelli più piccoli.
Il decreto legge, definito «bellissimo» dal premier Renzi, potrebbe essere approvato già nel mese di luglio e andrà a rivoluzionare il concetto di nido e strutture educative per l'infanzia dove le maestre dovranno essere laureate e dove i programmi e le linee guida arriveranno direttamente dal ministero dell'istruzione. Equiparando così in tutta Italia i percorsi formativi dei bambini da zero a tre anni. Una fascia d'età su cui, ad oggi, incombono la giungla delle offerte educative affidate ai singoli enti locali, senza contare le infinite proposte dei nidi privati, e l'incubo della carenza dei posti che, ogni anno, fa aumentare le liste di attesa. Si andrà a creare, quindi, una scuola a tutti gli effetti. Ma per piccini. Un tema delicatissimo su cui, negli anni, sono stati presentati progetti e proposte.
RIFORMA A TUTTO CAMPOOra il governo punta sul decreto, come previsto dalle deleghe della legge della Buona Scuola, e promuove quella che, di fatto, è una riforma in piena regola: il testo si basa sul disegno di legge 1260, presentato nel gennaio del 2014. Le novità introdotte dal dl 1260 prevedono innanzitutto che le educatrici dei nidi, le cui competenze richieste oggi variano da regione e regione, dovranno avere necessariamente una laurea triennale. Come quelle previste nei corsi di studio delle facoltà di scienze della formazione. Fino ad oggi per insegnare in un asilo era sufficiente aver frequentato un corso triennale regionale, come quelli per puericultrice. Le attuali insegnanti resteranno al loro posto ma per selezionare il nuovo personale si accetteranno solo candidature da educatori con un titolo di studio accademico.
A cambiare volto sarà anche la gestione delle strutture. Resterà agli enti locali ma solo in termini di personale ed edilizia: i Comuni continueranno quindi a mantenere la gestione dei circa 8.870 nidi, diretta per i 3.656 nidi pubblici e indiretta per i circa 5.214 convenzionati. Ma, per quanto riguarda i finanziamenti e le linee guida educative, la gestione dei nidi passerà dalle mani del welfare a quelle del ministero dell'istruzione. In questo modo sarà possibile creare un percorso lineare e unico, da zero a 16 anni. Almeno è questa l'intenzione. «Si tratta di un'importante sfida spiega la senatrice Francesca Puglisi, prima firmataria del disegno di legge 1260 gradualmente andremo infatti ad aumentare i posti dei nidi, per raggiungere l'obiettivo di Lisbona che ci chiede una copertura ben precisa, e a garantire una nuova continuità didattica. Iniziamo un percorso di politiche di inclusione e lotta alla povertà educativa».
OBIETTIVITra gli obiettivi principali della riforma c'è infatti anche l'aumento dei posti a disposizione delle famiglie, come richiesto dall'Europa. Un impegno non di poco conto. L'Italia infatti è chiamata a rispettare, entro il 2020, l'obiettivo richiesto da Lisbona di un posto al nido per almeno 33 bambini su 100 in età compresa tra 0 e 3 anni. Oggi si tratta di una meta ben lontana visto che la percentuale di copertura si ferma al 17,9%. Secondo le stime dei sindacati Cgil Cisl e Uil sono 289.851 i bambini che frequentano un nido su un totale, quindi, di 1.620.000 bambini sotto i 3 anni. Restano fuori, ad oggi, oltre un milione e 300mila bambini. Ci sono inoltre realtà italiane ben diverse tra loro come la Calabria, dove i posti coprono il 2,1% delle richieste, o Bologna dove invece l'obiettivo di Lisbona è già superato con il 40% dei bambini accontentati.
Sul decreto resta ancora un nodo da sciogliere, quello dei fondi a disposizione del governo per attuare una simile manovra: le previsioni iniziali parlavano di una somma che potesse superare il miliardo di euro. Su questo tema la discussione è ancora aperta. Anche perché la promessa alle famiglie è quella di chiedere una contribuzione che non superi il 20% della spesa. I costi per le famiglie, infatti, infiammano da sempre gli animi dei consumatori. In base ai dati di Cittadinanzattiva la retta media nazionale si attesta su 311 euro. Nell'anno educativo 2014-2015 il picco è stato raggiunto dalla città di Lecco con 515 euro di spesa media mensile a cui faceva seguito Sondrio con 484 euro. Tra le più economiche ci sono invece Catanzaro, con 100 euro e Vibo Valentia con 120 euro.
Lorena Loiacono