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La povertà materiale ed etico-morale in Italia. Il Pil di nuovo sugli altari

Per l’Italia, sia PIL che BES danno l’immagine di un paese che è diventato e sta diventando più povero sotto il profilo materiale.

25/08/2014
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ROARS

Il Pil, pur con tutti i limiti conosciuti, ha la straordinaria capacità di sintetizzare l’intera economia in un singolo numero. Il progetto BES (Benessere Equo e Sostenibile) si inquadra nel dibattito internazionale sul “superamento del Pil” e consente di gettare una luce quantitativa sul benessere, l’equità e la sostenibilità mediante una batteria di indicatori senza, tuttavia, consentire una sintesi numerica. Per l’Italia, sia PIL che BES danno l’immagine di un paese che è diventato e sta diventando più povero sotto il profilo materiale. Ma tale impoverimento è strettamente legato, e fondamentalmente legato, ad un impoverimento morale ed etico, su cui disponiamo di ben poche statistiche e di teorie altrettanto insoddisfacenti, ma che è sotto gli occhi di tutti. Uscire dalla trappola della “doppia povertà” è la sfida epocale che abbiamo di fronte a noi.

Nel 2008 il presidente francese Nicholas Sarkozy ha dato l’incarico ad una commissione di esperti, guidata da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, di elaborare una proposta per superare il Pil (Prodotto interno lordo) come indicatore dello stato di salute del paese; ciò nella convinzione che il benessere di una società non si possa misurare soltanto con il conto in banca. Nel rapporto finale della commissione, presentato nel settembre 2009, si evidenzia l’uso improprio e parziale di indicatori economici e si suggerisce di spostare l’enfasi dalla misura della produzione economica verso il benessere delle persone. Il rapporto suggerisce dunque l’uso di tutta una serie di indicatori che chiamano in causa la qualità della vita, e cioè il tempo libero, la qualità dei servizi pubblici, i servizi di sostegno reciproco all’interno della famiglia, le concentrazioni di gas serra, la tutela dell’ambiente, e così via.

A seguito dell’esercizio francese l’ISTAT, insieme al CNEN, ha dato vita al progetto BES (https://www.misuredelbenessere.it/) con l’obiettivo di misurare il “Benessere Equo e Sostenibile” in Italia. Il progetto si inquadra nel dibattito internazionale sul “superamento del Pil”, alimentato dalla consapevolezza che i parametri sui quali valutare il progresso di una società non possano essere esclusivamente di carattere economico, ma debbano tenere conto anche delle fondamentali dimensioni sociali e ambientali del benessere, corredate da misure di diseguaglianza e sostenibilità. Il progetto ha prodotto una serie di rapporti statistici in cui sono riportati oltre cento indicatori raggruppati in dodici domini: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi. L’ultimo rapporto è stato presentato nel giugno di quest’anno.

Il progetto BES, che rappresenta un prezioso contributo della statistica ufficiale alla comprensione della realtà del nostro paese, ha dato luogo ad un intenso e fecondo dibattito, almeno tra gli addetti ai lavori, talché varie amministrazioni regionali e provinciali si sono mosse per svilupparne una lettura locale.

Purtroppo, man mano che la crisi economica procedeva, le priorità sono cambiate, il dibattito politico si è focalizzato sulle urgenze dell’immediato, si è progressivamente ridotta l’attenzione per i bisogni relativi all’elevazione spirituale e morale delle popolazioni, e quindi il BES, con la sua visione onnicomprensiva e di lungo periodo, è stato messo da parte. Si è tornati dunque ad un’attenzione monomaniaca per il Pil, che è stato di nuovo posto sugli altari, nell’assunzione che, quando ricomincerà a crescere, saremo ricchi e felici quanto prima (Nerone di Petrolini diceva, “Domani Roma rinascerà più bella e più superba che pria”).

Non si sentono voci che ri-mettano in discussione i limiti, ben noti, di tale indicatore, e come questo si rapporta al sistema socio-politico. Dopo la caduta del sogno comunista, il paradigma-pensiero-unico è il sistema capitalistico che, di giorno in giorno, si dimostra inadeguato ad affrontare e risolvere i problemi dell’umanità. Assistiamo ad una progressiva diseguaglianza nella distribuzione del reddito (pochi ricchi sempre più ricchi e molti poveri sempre più poveri, con la compressione della classe media), ad un uso improvvido delle risorse naturali, a tensioni geo-politiche, in un contesto cui l’economia fa premio sulla politica. Il cittadino è sempre più un consumatore orientato dal marketing. Non costruiamo più cattedrali, ma centri commerciali dove il dì di festa le persone sciamano con l’obiettivo di acquistare in un processo in cui la soddisfazione non proviene dal bene che si porta a casa ma semplicemente dall’atto del comprare. Quando (se) il Pil ricomincerà ad aumentare si riprenderà il cammino sulla strada di un consumismo più o meno sfrenato, del consumo del territorio, dell’acquisto di SUV invece di utilitarie, dell’ennesimo smartphone, dell’ulteriore capo di abbigliamento che poi verrà scartato mettendolo nei cassonetti gialli su cui hanno messo le mani anche le organizzazioni criminali, dell’ulteriore seconda casa in presenza di una grave carenza di alloggi per i meno abbienti. Questo paradigma ormai logoro non è più sostenibile. Ci è stato ricordato che il 19 agosto è stato l’overshoot day: abbiamo prelevato quanto avevamo a disposizione fino a dicembre nel conto corrente del pianeta. Dal 20 agosto stiamo vivendo sottraendo aria, acqua, terra fertile alle generazioni future.

Insomma, se oggi siamo più poveri del 10% rispetto al 2009, è anche perché le politiche neo-liberiste degli ultimi anni ci hanno condotto ad una crisi profonda da cui sarà possibile uscire soltanto affrontando e risolvendo i problemi strutturali. Il principale di questi è la scarsa produttività del sistema produttivo che discende dagli scarsi investimenti in ricerca, formazione, cultura, risorse umane. Per rimettere il paese sul cammino della crescita del benessere equo e sostenibile è necessario un piano di intervento statale di come quello varato da F. D. Roosevelt dopo la crisi del 1929, ed affidato ad agenzie pubbliche che sappiano guidare lo sviluppo. Mariana Mazzucato ha ampiamente dimostrato il ruolo centrale dello “stato imprenditore” nel progresso della scienza e della tecnologia (https://www.roars.it/online/mariana-mazzucato-quando-uno-stato-e-funky-e-fooolish/).

Il Pil, pur con tutti i limiti conosciuti, ha la straordinaria capacità di sintetizzare l’intera economia in un singolo numero; il BES, da parte sua, consente di gettare una luce quantitativa sul benessere, l’equità e la sostenibilità mediante una batteria di indicatori senza, tuttavia, consentire una sintesi numerica. Entrambi, tuttavia, danno l’immagine di un paese che è diventato e sta diventando più povero sotto il profilo materiale. Ma tale impoverimento è strettamente legato, e fondamentalmente legato, ad un impoverimento morale ed etico, su cui disponiamo di ben poche statistiche e di teorie altrettanto insoddisfacenti, ma che è sotto gli occhi di tutti. Uscire dalla trappola della “doppia povertà” è la sfida epocale che abbiamo di fronte a noi.

Come avrebbe detto De Gaulle, “vaste programme”. Tale sfida si può vincere superando la visione di breve periodo ormai imperante e lavorare ad un programma di lungo periodo. Un piccolo esempio viene dalla nazionale di calcio tedesca che ha vinto i Campionati mondiali, esempio che dovremmo tenere ben presente. Una decina di anni fa la situazione del calcio tedesco era totalmente deficitaria. I dirigenti hanno dunque formulato un programma mirato alla ricostruzione dell’intero sistema, quindi di una squadra, di una identità, di un sistema di selezione e formazione degli atleti. In Brasile abbiamo visto il risultato: giocatori preparati, intelligenti, sobri, che hanno vinto per riconosciuto merito. La squadra italiana, paese materialmente ed eticamente povero, si è presentata impreparata, debole, formata da giocatori con stipendi che rimetterebbero in sesto le finanze di tutta l’università e che spesso si comportano più da divi tatuati con un’apparenza clownesca ed un comportamento da bullo, piuttosto che da seri e sobri atleti – come ai vecchi tempi.

Questa dovrebbe essere la modalità materialmente ed eticamente appropriata per una “rinascita del paese più bello e più superbo che pria”.


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