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Aprire il Senato agli scienziati

Intervista a Elena Cattaneo

20/04/2014
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l'Unità

Un Senato delle competenze. Per avvicinare scienza e politica. Ma, soprattutto, per rendere più maturo il dibattito pubblico e rendere più solida la democrazia nel nostro Paese. Elena Cattaneo, scienziata alla Statale di Milano, 51 anni, la più giovane senatrice a vita nella storia della Repubblica, ha un’idea forte e, per certi versi, spiazzante sulla riforma della Camera Alta.
Senatrice Cattaneo, da settimane il tema della riforma del Senato è al centro della discussione istituzionale, politica e mediatica. Come giudica il dibattito?
«Non sempre sono chiari gli obiettivi delle varie proposte in campo. E, dunque, non esprimo un giudizio articolato. Il disegno di legge del governo sembra prestarsi a numerose obiezioni. Sembra un “Senato dopolavoro”, che replica la Conferenza Stato Regioni. La funzione costituzionale della nuova istituzione sembra irrisolta e non priva di rischiose aporie, come sottolineano autorevoli costituzionalisti. Al riguardo confido nei lavori parlamentari affinché, trattandosi di riformare la struttura dello Stato democratico, l’approdo costituzionale sia molto chiaro e ben ponderato».
Abbattere i costi non è un obiettivo?
«Abbattere i costi è importantissimo. Ma non può essere l’obiettivo, men che meno l’obiettivo principale, di una riforma che rimodella la struttura dello Stato».
Dunque lei è contro la riforma del Senato?
«Niente affatto. Penso che la riforma del ruolo, delle funzioni e della composizione del Senato sia una necessità. Di più, penso che sia un’occasione storica per dare al nostro Paese un quadro istituzionale capace di far vincere le sfide della società e dell’economia della conoscenza, del presente e del futuro».
Lei una proposta di riforma chiara e di alto profilo, per molti versi rivoluzionaria, ce l’ha: è il “Senato delle competenze”. Con quale obiettivo?
«Il ruolo del nuovo Senato lo immagino essere oltre che quello di esame e di controllo delle leggi fondamentali dello Stato, anche quello di raccordo tra le istituzioni nazionali, le istituzioni locali e quelle europee. Per fare tutto questo c’è bisogno di competenze. Nel nostro sistema parlamentare ne sono rappresentate solo alcune: quelle strettamente politiche, quelle giuridiche ed economiche. Ma ne mancano altre. Per esempio le competenze scientifiche di grande spessore. Anzi, mi sembra che ci sia una sorta di diffidenza nei confronti della scienza».
<MC>Una mancanza di competenze specifiche e una diffidenza che hanno effetti concreti?
<MC>«Eccome se li hanno, devastanti. Basta guardare ai pasticci fatti in tanti ambiti, dalla legge 40 a quella sulla sperimentazione animale, alla ricerca sugli ogm, per finire al caso Stamina, dopo non avere imparato niente dal caso Di Bella. La verità è che le competenze scientifiche permettono di raggiungere continui traguardi di conoscenza decisivi in tanti settori primari: la sanità, l’etica, l’ambiente, la stessa economia».
<MC>Come dovrebbe essere composto quindi il Senato delle competenze: tutto da scienziati?
<MC>«Certo che no. Gli scienziati dovrebbero essere presenti insieme ad altri competenti. Penso agli esperti di beni culturali, di cui il nostro Paese è ricchissimo. A esponenti del mondo del volontariato. A imprenditori capaci di innovare. Ecco, il Senato dovrebbe essere composto da persone che nel loro settore sono abituate a confrontarsi con il meglio che c’è al mondo. Di persone così, nella scienza e in altri ambiti, in Italia per fortuna ne abbiamo moltissime».
Ma per quanto riguarda la scienza, non sarebbe meglio, invece di un Senato formato da scienziati senatori, un Senato che consulta in maniera sistematica le grandi istituzioni scientifiche?
«Già oggi gli scienziati sono auditi, come si dice nel gergo parlamentare. Vengono in Parlamento ed espongono i loro dati e le loro competenze. Che però rischiano di venire o non capite in quanto oggettivamente complesse o dimenticate o, peggio, strumentalizzate. No, c’è bisogno di qualcuno in Parlamento che faccia metabolizzare, che utilizzi quei dati e quelle idee, concorrendo a trasformarle in soluzioni legislative. L’unica possibilità è che la scienza e, più in generale, le competenze specifiche siano nell’aula del Senato e abbiano la possibilità di sviluppare visioni strategiche, approcci controllati e nel lungo periodo. E che, nel caso, facciano da “sentinelle” attente e presenti, contribuendo a prevenire deragliamenti».

Già, ma chi lo elegge o lo nomina il Senato delle competenze?
«Di questo si deve discutere. Nella proposta del governo c’è la nomina di 21 senatori a opera del presidente della Repubblica. Questa disposizione credo debba essere intesa nel senso di sottrarre agli interessi politici la scelta di una componente “specializzata” di cittadini che eccellono nei rispettivi ambiti professionali. Ma i meccanismi di nomina o meglio di elezione possono però essere diversi e sono convinta possa essere identificato quello più funzionale se c’è accordo sugli obiettivi. Un esempio: per una prima selezione potrebbero essere messe in campo istituzioni culturali come l’Accademia dei Lincei, da sempre estranea alla politica, che con un meccanismo simile alle primarie potrebbe produrre dei candidati, tra i quali poi scegliere chi eleggere».
Per realizzare un progetto politico occorre avere i numeri. E i numeri in democrazia vengono dal consenso. Il suo progetto sta ricevendo consensi?
«Non è il mio progetto ma siamo in molti e da tempo a confrontarci in questa direzione e i consensi non mancano. Anche quello di Eugenio Scalfari, per esempio. Penso che se ne parliamo in maniera aperta e corretta, probabilmente più politici potrebbero partecipare allo sviluppo di questa proposta. D’altra parte è opportuno che la politica rifletta ed intervenga il prima possibile sull’esigenza di coniugare democrazia e competenza in un’era sempre più fondata su conoscenze specialistiche che sono patrimonio di soggetti a oggi esclusi dal circuito democratico della rappresentanza».
Immaginiamo che il suo progetto per un Senato delle competenze acquisisca il consenso necessario e si realizzi. Quale sarebbe la prima cosa da fare: aumentare gli investimenti in ricerca, rilanciare l’università, cambiare la specializzazione produttiva del sistema Paese, dare spazio ai giovani?
«La prima esigenza è creare un dialogo tra scienza e politica. Imparare ad ascoltarsi. Nell’era della conoscenza i saperi e le innovazioni devono essere utilizzati nelle istituzioni per ampliare gli spazi di libertà consapevole. A nessuno deve essere concesso di restringerle falsando la realtà e i fatti. Se realizzeremo questo, tutti i grandi problemi che lei pone verranno risolti di conseguenza».
 


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