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Aprire ai docenti giovani

Un primo commento generale è che il provvedimento non brilla per organicità e neanche per un anelito riformatore: sembra, più che altro, un pot-pourri di interventi a rimedio di situazioni specifiche.

10/09/2013
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La Stampa

Direttore Fondazione Giovanni Agnelli
ANDREA GAVOSTO

Il giorno prima dell’apertura del nuovo anno scolastico, il governo ha voluto dare – con studiata scelta di tempo – un segnale di attenzione ai problemi dell’istruzione. Si ritorna a investire nella scuola: questo è il messaggio che fa da filo conduttore ai numerosi ed eterogenei provvedimenti del decreto presentato ieri. Un messaggio che non si può non condividere e che trova in alcune misure del decreto – in particolare, quelle sulle borse di studio universitarie – esemplificazioni convincenti, soprattutto alla luce della penuria di risorse pubbliche.

Quante delle buone intenzioni avranno davvero seguito, lo vedremo nei prossimi mesi. Un primo commento generale è che il provvedimento non brilla per organicità e neanche per un anelito riformatore: sembra, più che altro, un pot-pourri di interventi a rimedio di situazioni specifiche. Anche per questo è difficile commentare ciascun provvedimento: mi limito perciò ad alcune considerazioni su quelli a mio avviso più significativi.

Dopo tante polemiche, il governo è stato costretto a cancellare il cosiddetto bonus maturità per i test di ammissione all’università: non entrerà a fare parte del punteggio neppure di chi è impegnato nelle prove proprio in questi giorni. Decisione inevitabile, dopo aver dichiarato che il bonus era iniquo: altrimenti le prove sarebbero naufragate in un mare di ricorsi (che comunque ci saranno). In ogni caso, negli ultimi mesi si è assistito a una serie di pasticci di cui avremmo fatto volentieri a meno. Resta vero quello che scrivevo qualche giorno fa: la questione è scegliere fra cambiare un esame di maturità, che la decisione di ieri ha ulteriormente delegittimato ed è comunque inconfrontabile a livello nazionale, o generalizzare le prove di ammissione all’università.

Proseguendo, negativa è la disattenzione del decreto per la scuola media, l’anello debole dell’istruzione in Italia, che sembra alla fine esclusa dai provvedimenti sia contro la dispersione scolastica (che privilegiano le elementari) sia a sostegno dell’orientamento (concentrati sulle superiori). Se è così, è un errore: l’abbandono scolastico è un problema che ha origine proprio nella secondaria di I grado e va prevenuto con molti strumenti, fra cui un efficace orientamento alla fine della terza media.

Positiva è, invece, la riforma del reclutamento dei dirigenti scolastici. Dopo il naufragio dell’ultima tornata, è giusta la decisione di fare con cadenza annuale un unico concorso nazionale presso la Scuola Nazionale di Amministrazione. E ottima l’intenzione di abbassare i requisiti di anzianità di servizio per chi vuole diventare preside. La Fondazione Agnelli ha mostrato, dati alla mano, quanto conta un buon preside per l’andamento della scuola e i risultati degli studenti: la selezione di dirigenti giovani non può che essere un bene.

Infine nel prossimo triennio si prevede di assumere, oltre a 18 mila bidelli e amministrativi (davvero necessari?), quasi 70 mila docenti, di cui oltre 26 mila di sostegno. Per questi ultimi si tratta di una misura che stabilizza persone che già lavoravano ogni anno con gli allievi disabili, garantendo maggiore continuità didattica; si rinvia, però, a un futuro indefinito il ripensamento dell’intero modello del sostegno, che coinvolga maggiormente tutti i docenti.

Per le nuove assunzioni in ruolo di insegnanti disciplinari si apre, invece, un punto interrogativo. Con nuovi concorsi, può essere l’occasione di portare dentro la scuola italiana un numero consistente di insegnanti giovani e formati con criteri moderni, un obiettivo che il concorso appena concluso con 12 mila vincitori non può soddisfare completamente. C’è, però, il pericolo di ritrovarsi di fronte a una sanatoria per sistemare insegnanti precari, molti dei quali sono certamente meritevoli, ma di cui conosciamo solo l’anzianità di servizio e non la qualità professionale. Se non si affronta seriamente il nodo del reclutamento dei docenti, le buone intenzioni del governo rischiano di rimanere lettera morta.
 


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