AprileOnLine: W l'Erasmus. Ma i soldi?
Celebriamoli pure, questi ragazzi. Ma c'è qualcos'altro da dire
W l'Erasmus. Ma i soldi?
E.S., 09 maggio 2007
Il punto
Un tema spesso dibattuto in questo periodo, nelle stanze di Bruxelles come in quelle del parlamento italiano (non ultimo anche qualche quotidiano), riguarda la possibilità di individuare un patrimonio comune europeo almeno in ambito culturale; un processo che sarebbe principalmente guidato dal riconoscimento di una identità letteraria condivisibile e condivisa, basata in particolare sulla narrativa dei grandi romanzi di metà Ottocento e inizi Novecento, prima che gli esiti del secondo conflitto mondiale determinassero la divisione continentale e di gran parte del pianeta in due grandi blocchi, non soltanto nelle categorie della politica e dell'economia. Dunque in questo senso è meritevole l'intervento del presidente del Consiglio Romano Prodi, che nel corso delle celebrazioni a Bologna di "Venti di Erasmus", a vent'anni dalla nascita del programma universitario che prevede lo "scambio" di studenti europei da un ateneo a l'altro, soprattutto con l'obiettivo di proporre didattiche alternative e formule di specializzazione, ha tra le altre cose auspicato che entro tempi brevi "per laurearsi siano necessari sei mesi trascorsi in un altro paese europeo".
Appena prima, era invece stata Giovanna Melandri in un'intervista a ricordare che "Simone Veil parlava dell'Europa come di uno stato d'animo. Sono poche le iniziative che, al pari dell'Erasmus, hanno contribuito a formare questo stato d'animo. Un milione e mezzo di europei sono partiti per vivere un'esperienza di vita. Noi abbiamo la voglia di celebrare questi ragazzi".
Celebriamoli pure, questi ragazzi. Ne hanno il merito e il diritto, perché rappresentano una concreta speranza per la realizzazione della tanto aspirata identità comune europea, che giustamente deve porre le sue basi innanzi tutto sullo scambio proficuo di culture e idee, per fortuna almeno loro ancora senza barriere, quando riescono ad essere espresse nelle forme dovute. Ma c'è qualcos'altro da dire.
Per una famiglia italiana di medio reddito annuale, avere un figlio che parte per l'Erasmus potrebbe rivelarsi facilmente un'arma a doppio taglio, almeno per un paio di motivi. Il primo riguarda l'aspetto economico, in quanto le spese della trasferta nella maggior parte dei casi ricadono quasi completamente a carico dello studente, con un "forfettario" minimo mensile entro cui far rientrare spese di vitto, alloggio, viaggio di andata e ritorno. Punto secondo.
Dopo aver messo il naso fuori di casa e aver visto qualcosa d'altro (una diversa organizzazione, una particolare attenzione per alcuni aspetti della società e della vita, una maggiore considerazione del corso di studi del candidato e delle potenzialità da questo offerte), nove studenti italiani su dieci dichiarano di tornare "cambiati" rispetto ai 6-10 mesi passati lontano dalla madrepatria, che a quel punto si trasforma in maniera pressoché inevitabile in matrigna poco comprensiva con i suoi figli.
Secondo i dati forniti dall'indagine dello Study Experience Abroard di Alma Laurea, durante l'Erasmus 25 italiani su 100 hanno ammesso di essersi trovati economicamente in difficoltà, mentre la media degli studenti europei è del 19 per cento. Si potrebbe dire che, come al solito, gli italiani figli di mamma spendono e spandono, senza curarsi di risparmiare euro dopo euro le loro risorse. Resta il fatto è che, anche risparmiati, quei pochi soldi comunque arrivano da mamma e papà, o chi per loro.
Di fronte ai dubbi sulle disponibilità delle cifre necessarie per finanziare il progetto Erasmus, Prodi ha risposto che "se c'è solo un euro da investire va investito nei giovani e nel futuro". Il ministro dell'Università Fabio Mussi, nel suo intervento, ha accolto con favore il disegno del premier ma ha precisato che "è un programma massimo." Invece per Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, si deve fare in modo che "ci siano somme più elevate in tempi più rapidi e certi. Si deve dare di più a chi ha di meno. Dare poco a tutti vuol dire perpetuare le precedenti disparità". Poi, citando Stendhal, ha ricordato "che ogni genio che nasce donna è un genio perduto per l'umanità"; ora è arrivato il momento di fare in modo che non accada la stessa cosa per tanti figli di famiglie disagiate.
E se il suggerimento di partenza arriva dall'autore della "Chartreuse", genialità letteraria francese ma già cittadino europeo, tanto amante dell'Italia quanto apolide, difficile non essere d'accordo.