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AprileOnLine: Un Patto tra scuola, istituzioni e società

Alba Sasso

23/03/2007
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Aprileonline

Diciamocela tutta: forse sta iniziando un lento, inesorabile e triste processo di assuefazione. Ai telefonini, ai ragazzi maleducati, ai genitori che sono peggio di loro, agli insegnanti svillaneggiati e spesso indifesi. Il cane continua a mordere tranquillamente l'uomo, e l'informazione ormai incomincia a derubricare il fatto, tranne casi clamorosi, si capisce.
Esiste ormai uno spazio fisso per tutte queste cose, al pari dello sport, spettacolo, economia. Brutto segno, anzi, segnale d'allarme che deve darci la forza di reagire, qui ed ora, prima che i danni siano irreversibili.
Parliamo di quello sfilacciarsi del tessuto connettivo che ha tenuto, in tutti questi decenni, in piedi un edificio complesso e articolato come quello della scuola. Che ha attraversato e cavalcato questi anni tumultuosi con la perizia, e magari anche l'incoscienza, dei giovani surfisti che cavalcano i marosi dell'oceano.
Ma chi si è posto il problema di dare forza e autorevolezza a questa scuola che affrontava, spesso in solitudine, difficoltà di apprendimento, fragilità sociali, nuovi bisogni di cultura e di sapere?
Certo non chi ha ridotto costantemente gli investimenti nella scuola pubblica (12 milioni di euro in meno dal 1990) o chi ha gettato discredito costantemente su di essa e sui suoi insegnanti.

Già gli insegnanti: categoria sempre più in sofferenza, intaccata nel suo essere dal morbo della precarietà, soffocata dall'abbraccio di giovani sempre meno disposti all'apprendimento, e famiglie rinunciatarie, che abdicano al loro compito in cambio di un malinteso senso di amicalità verso i propri ragazzi. Il dato che deve preoccuparci di più, non è quello delle notizie che quotidianamente ci affliggono: ogni giorno, si sa, ha la sua pena. Deve allarmarci tutto il non detto, il non rivelato, la cenere che viene nascosta sotto il tappeto del conformismo, dell'accidia, della disattenzione. Troppi don Abbondio, per i tanti, troppi don Rodrigo. E bravi a non finire, dappertutto. Se, come accade a Bari, un preside si ribella alle prepotenze dei ragazzi, deve fare i conti con i genitori, non meno aggressivi e tracotanti dei loro rampolli cresciuti a pane e televisione.
Quella stessa televisione che ha trovato in questa situazione un altro argomento per i suoi salotti. Per discutere ahimé di come sono cambiati i tempi e "signora mia anche le stagioni non sono più quelle di una volta".

Guai a ricordare che la scuola è specchio fedele della società. E che bisognerebbe riflettere su come sono cambiate le famiglie pronte a tutelare più che ad educare. Guai a segnalare che senza cambiare la scuola pubblica partendo dalle sue eccellenze non c'è trama culturale e democratica per il Paese.
E' da qui che occorre ripartire con pazienza e saggezza. Pensare a un patto tra scuola, istituzioni e società. Che parli di investimenti, di nuovo progetto culturale, di formazione degli insegnanti, ma soprattutto di regole e di responsabiltà. Di tutti.

Ci sarà bisogno di tempo, certo. Ma è questo il "modo" della scuola, non quello di una velocità aziendale senz'anima.
Altrimenti resta solo la gestione dell'emergenza, di un quotidiano fatto di scandali, assalti, carabinieri nelle aule,madri iperprotettive, e cellulari impazziti che tutto trasmettono ed omologano. Buono per i salotti televisi, per un governo delle circolari, meno per la salute pubblica del Paese. E per il suo futuro.


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