Fabio Mussi ha il merito di aver rimesso sulla scena pubblica la vicenda delle staminali embrionali. La scelta del ministro di ritirare la firma dell’Italia alla “Dichiarazione etica” con cui cinque stati europei avevano fatto prevalere la contrarietà al finanziamento della ricerca sulle cellule staminali embrionali
riapre un tema cruciale al centro del dibattito bioetico. Un vero e proprio sdoganamento. A metà giugno il Parlamento Europeo deciderà sul via a questi fondi. Il ministro ha semplicemente ritirato l’adesione a un documento basato su posizioni in Europa già minoritarie.
Un atto coraggioso, coerente con il programma dell’Unione. Ci si era accordati su alcune premesse condivise. Si era convenuto infatti che su temi eticamente sensibili come quelli della bioetica la politica si trovasse ormai su una nuova frontiera. Che essa fosse chiamata a pronunciarsi con gli atti legislativi richiesti per regolare fenomeni che pongono problemi nuovi alla società e interpellano le coscienze. E che su questi temi, l’Unione si sarebbe impegnata a legiferare con attenzione, fedele al principio della laicità dello Stato, attenta all'equilibrio tra le libertà e le responsabilità delle persone, nel rispetto dei convincimenti etici e religiosi di ciascuno, aperta all'ascolto e al dialogo. Sul tema dei nuovi diritti e delle nuove responsabilità che emergono in questa società che cambia, si era affermato che si sarebbe attivata la promozione di strumenti giuridici capaci di offrire adeguata e giusta tutela alle esigenze della comunità e ai diritti civili e sociali delle persone. In questo caso la dichiarazione di Mussi è in questo solco segnalando al Parlamento Europeo l’intenzione di un percorso di modifica in senso meno restrittivo mentre, allo stesso tempo, viene ribadito che non verrà rimosso il divieto di creare nuovi embrioni per la ricerca. Non è di questo divieto che si vuole discutere. Su questo equivoco si è insistito molto in questi giorni da parte degli oppositori al provvedimento di Mussi. Sarà soltanto possibile utilizzare le linee cellulari già derivate e soltanto gli embrioni destinati alla distruzione. Ci sono circa trentamila embrioni attualmente conservati nei frigoriferi nei vari laboratori italiani, rimasti inutilizzati dall’attività di fecondazione assistita. Il fatto che le persone si trovino di fronte a scelte che i nostri avi non hanno nemmeno immaginato non significa ovviamente che dobbiamo abbandonare i principi che abbiamo ricevuto dalle generazioni che ci hanno preceduto. Non è questo il punto. E invece ogni volta che si ragiona sui rischi connessi con alcune attività di ricerca davvero innovative si ricorre alla sperimentata pratica della spirale delle paure, si agitano ancora una volta i fantasmi di creature indifese destinate al macello. Come possiamo a questo punto definire questi rischi e queste paure? Il rischio lo possiamo descrivere come la possibilità di subire o causare un danno per via di eventi prevenibili e prevedibili. La paura come lo stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo. Le paure sono perciò, in un certo senso, ambigue in quanto essendo insite nella nostra natura sono, per così dire, una garanzia, una barriera contro i pericoli, sono quindi una specie di riflesso condizionato che permette all'organismo di evitare rischi di ogni genere. Delpierre, nel libro "L'Etre et la peur", le attribuisce un valore positivo dicendo:" Senza paura nessuna specie avrebbe potuto sopravvivere", ma a ciò si può aggiungere che, senza rischiare, nessuna specie si sarebbe evo¬luta. Durante il corso della storia i rischi mutano molte volte destinatario e spesso si intrecciano alle paure; negli uomini si aggiungono alle proprie conoscenze culturali e scientifiche. Si teme, perciò, innanzitutto, ciò che non si conosce.
Assistiamo inoltre a una modificazione dell'atteggiamento nei confronti delle paure, poiché, in un certo senso ora siamo abituati a leggere, o vedere in televisione, una quantità elevata di eventi dannosi o catastrofici che prima non si verificavano, o almeno non venivano portati alla conoscenza generale. I politici e i media hanno perciò grande responsabilità nel creare una mitologia piuttosto che un'analisi razionale dei pericoli e ciò contribuisce a volte, proprio come fanno le credenze popolari, a formare idee distorte sulla reale entità di un determinato pericolo. Sono tra coloro che si erano illusi che in Italia sulle staminali, negli ultimi tempi, la discussione si fosse ormai ben avviata, grazie anche alle aperture significative evidenziate nel dialogo su temi bioetici tra il cardinale Carlo Maria Martini e il chirurgo Ignazio Marino.
L’importanza in medicina delle cellule staminali è potenzialmente enorme. La speranza è che si possa utilizzarle per produrre nuovi neuroni per affrontare malattie come l’Alzheimer o il Parkinson e per i traumi al midollo spinale. Ai malati di cuore potrebbero essere ricostruiti i tessuti cardiaci o produrre una proteina capace di proteggere dall’infarto, ai diabetici nuove cellule funzionanti del pancreas. Anche se il percorso non sarà lineare e rapido come ci si auspica lo stato della ricerca è promettente. Negli Stati Uniti ad esempio queste ricerche sono arrivate molto avanti e si intravedono le prime applicazioni terapeutiche e la produzione di nuovi farmaci. Bene quindi Mussi a porre la questione così come ha fatto, per le ragioni pratiche accennate e anche per i suoi risvolti simbolici.
E’ un provvedimento di buon inizio e di buon augurio di questo nuovo governo per i malati, per la comunità scientifica e per tutti i cittadini
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