Aprileonline: Scuola, rinvio a metà
Tra le novità procrastinate la riorganizzazione dei licei e la diminuzione degli istituti tecnici
Andrea Scarchilli
Il governo posticipa al 2010 la parte della riforma che riguarda le superiori: "Per informare meglio scuole e famiglie". Tra le novità procrastinate la riorganizzazione dei licei e la diminuzione degli istituti tecnici. Per quanto riguarda il primo ciclo, il maestro unico diventa "prevalente" e ci sono aperture sul tempo pieno. Dal rapporto del comitato di valutazione sull'università emerge un sostanziale fallimento del "tre più due", il Pd sprona al confronto per migliorare il settore
Rinvio, al 2010/2011, della riforma del ciclo secondario (superiori): è la novità principale comunicato dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini ai sindacati nel corso dell'incontro di Palazzo Chigi, anticipata da una nota del ministero prima della conclusione del vertice, presieduto dal sottosegretario Gianni Letta. Sempre secondo il ministero resta confermato per l'anno scolastico 2009/2010 l'avvio delle novità per la scuola primaria con l'introduzione del maestro prevalente, accompagnato da quelli di inglese e religione. Qui si nota un mezzo passo indietro. Tutto il provvedimento di riforma della scuola sarà portato in Consiglio dei ministri giovedì prossimo. Ai sindacati sono state date anche garanzie sul mantenimento del tempo pieno alle elementari e sul ritiro dell'innalzamento degli alunni per classe. In ballo anche l'estensione ai dipendenti scolastici degli sgravi sulle retribuzioni accessorie e l'apertura di un tavolo sui precari. Il segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, ha letto il tutto come un grande risultato: "Vedo che il governo sulla scuola fa una completa marcia indietro. Avevamo ragione noi".
Il rinvio parziale della riforma, ha spiegato il ministero, è motivato dalla necessità "di dare modo alle scuole e alle famiglie di essere correttamente informate sui rilevanti cambiamenti e sulle innovazioni degli indirizzi: in particolare sul secondo ciclo si aprirà un confronto con tutti i soggetti della scuola sull`applicazione metodologico - didattica dei nuovi regolamenti". Tra le novità più importanti da approfondire con gli interessati, l'aumento dello studio della lingua inglese e delle materie scientifiche, la diminuzione degli istituti tecnici e la razionalizzazione dei licei. Previsto anche il "lancio" definitivo delle sperimentazioni ritenute più soddisfacenti.
Il segnale distensivo non è bastato alla Cgil, la cui "sezione scuola" ha confermato lo sciopero di domani per sensibilizzare il governo su alcuni punti (tagli, precariato e scuola pubblica) messi in crisi con le leggi 133 e 169. Sempre sul piede di guerra anche il movimento degli studenti, che stamattina la Gelmini ha incontrato nella forma di "Consiglio nazionale dei presidenti delle consulte provinciali degli studenti", ritenuto l'organo più rappresentativo. Benché l'avessero accolta anche con applausi, hanno diffuso una nota in cui, oltre a confermare la mobilitazione di domani, commentavano le prime voci di rinvio delle norme sulle superiori con un secco "nessun rinvio ma ritiro immediato". Il Partito democratico ha chiesto, per ora, lo spostamento di tutta la riforma.
Sull'università, il ministro ombra dell'Istruzione Maria Pia Garavaglia ha lanciato l'allarme dicendosi pronta "a discutere un'eventuale proposta governativa di riforma". Ma, ha avvertito l'esponente del Pd, "in Parlamento deve giungere un provvedimento vero e non di facciata". La Garavaglia ha preso spunto dal nono rapporto del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, presentato oggi. Dal documento emerge tutto lo stato di malessere degli atenei italiani e l'improvvisa cancellazione dei (pochi) passi in avanti registrati dopo la riforma del "tre più due" del 2002. Dai salienti, riferiti al 2007: torna ai livelli pre - riforma il numero dei ragazzi che dopo le superiori si iscrive all'università (siamo attorno al settanta per cento) e si registra addirittura un record per i fuori corso, che sono il 40,7 per cento degli immatricolati. Segno che la rivoluzione didattica, che aveva come principale obiettivo quello di ridurre i tempi di studio degli universitari italiani, sta sostanzialmente fallendo.
Se dunque il sessanta per cento dei laureati italiani non vanno fuori corso, la maggior parte di loro comunque non si laurea nei tempi previsti: non ce la fa neanche uno su tre rispetto al totale. Il diciotto per cento consegue il titolo con due anni di ritardo (numero invariato rispetto al 2006), ma schizzano dal sei all'undici per cento coloro che ci mettono tre anni di più del previsto. Aumenta anche la percentuale degli iscritti "inattivi" (non ha sostenuto alcun esame o acquisito crediti nell'ultimo anno solare il 22,3 per cento), mentre resta invariata la quota degli "abbandoni" (uno su cinque). Se nel complesso si logora l'efficienza, i laureati rimangono trecentomila all'anno, circa.
Il comitato ha sentenziato: "Se la flessione dei laureati in corso proseguirà anche in futuro, come è verosimile, è evidente che l'obiettivo di ridurre la durata del tempo di laurea previsto dalla riforma degli ordinamenti didattici, sarà difficilmente raggiungibile". La Gelmini ha commentato: "Il rapporto sarà la linea guida dell'azione del governo: non dobbiamo commettere gli stessi errori degli ultimi anni e bisogna rivedere i meccanismi di spesa, riducendo i corsi di laurea, varando un piano di rientro delle sedi distaccate e sperimentando nuove forme di governance, come le fondazioni, che - ha concluso - non corrisponderanno ad aumenti delle tasse per gli studenti".