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AprileOnLine: Scuola, luci e ombre del decreto

Alba Sasso

28/01/2007
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Aprileonline

Era senz'altro necessario, anzi doveroso ridare una boccata d'ossigeno agli istituti tecnici e professionali. Ma non possono essere un ritorno al passato, né tantomento prefigurare un secondo canale, di serie b "per i ragazzi che non ce la fanno"

Il decreto legge sulle liberalizzazioni (il cosiddetto "pacchetto Bersani") presentato al Consiglio dei Ministri dello scorso 25 gennaio contiene delle importanti novità rispetto al settore della scuola.

In primo luogo, la questione cosiddetta delle fondazioni. Certo, le scuole non diventano fondazioni. Piuttosto, viene introdotto un regime fiscale parificato a quello delle fondazioni. In particolare, a chi finanzia gli istituti scolastici vengono riconosciute le stesse agevolazioni fiscali previste per le donazioni alle fondazioni. (Anche se per la verità di questi benefattori della scuola pubblica non se ne conoscono molti, tranne il caso di alcune imprese interessate a fare di alcuni istituti tecnici e professionali dei "centri di addestramento" per la propria attività).

Il problema che si pone è però quello del tipo di gestione dell'amministrazione scolastica. Perché occorrono soluzioni adeguate per garantire la trasparenza delle scelte rispetto alla distribuzione e all'assegnazione di fondi, stanziamenti, risorse. Che sono oggi cifre consistenti dopo i provvedimenti contenuti nella legge finanziaria. E allora la soluzione non può essere una via di fuga: "le figure esterne". Eterno toccasana rispetto a questioni irrisolte di funzionamento e di governo della scuole autonome.
Il problema della trasparenza delle scelte rispetto all'organizzazione della gestione del denaro è, innanzi tutto, un problema di rapporti interni alla scuola, tra le varie componenti e tra i diversi organi di governo.
Rispetto a questo tema, c'è una delega al Governo, e ci sono diverse proposte in Parlamento sulla riforma e sul riordino degli Organi Collegiali. Se ne può e se ne deve discutere al più presto interloquendo in primo luogo con le scuole e con le loro rappresentanze.

Secondo e più significativo blocco di provvedimenti, quelli relativi all'istituzione di poli dell'istruzione tecnica e professionale. Era senz'altro necessario, anzi doveroso ridare una boccata d'ossigeno agli istituti tecnici e professionali, soprattutto dopo che era bastato il solo annuncio della riforma Moratti a far precipitare quella che era già un'oggettiva condizione di crisi di questo settore del sistema scolastico, provocando una drastica e radicale diminuzione nelle iscrizioni. E non a caso, con la passata legislatura, c'era stata una mobilitazione dell'istruzione tecnica che aveva presentato appelli ed elaborato documenti per rivendicare dignità e funzione di un settore che è stato leva, dagli anni '70 in poi, della scolarizzazione di massa nel nostro paese.

Ma voglio sottolineare alcune questioni.
1.Prima di tutto quale è il nesso, o meglio ci sarà un nesso, tra l'elevamento dell'obbligo scolastico e questa proposta che a molti appare una separazione netta tra licei da un lato e istituti tecnici e professionali dall'altro? Si tratta o no di riprendere l'elaborazione sui contenuti del biennio, sul rapporto tra sapere di base necessario a costruire una cultura comune e saperi di indirizzo che sappiano orientare scelte future?
2. C'è una scelta precisa nel decreto. Quella di dare una interpretazione chiara di uno degli aspetti più controversi e più ingestibili della riforma del titolo quinto della Costituzione. Gli istituti professionali sono statali a tutti gli effetti. E credo necessaria la scelta di eliminare sovrapposizioni tra tecnici e professionali.
3. I poli tecnologici prevedono la presenza di istituti tecnico professionali, corsi triennali e corsi di istruzione tecnica superiore. I corsi triennali rappresentano un percorso di uscita triennale dai vecchi professionali (che erano stati largamente superati dalla scelta degli studenti di concludere il percorso quinquennale) o, replicando anche nel nuovo assetto un aspetto della riforma Moratti, vogliono essere veri e propri percorsi brevi legati più alla formazione professionale che alla scuola? Mi sembrano entrambe soluzioni discutibili.
La prima sarebbe un ritorno al passato.
La seconda, come già sottolineato da molti giornali, sembra prefigurare un secondo canale di serie b, "per quelli che a scuola non ce la fanno".
Sono nodi assai delicati e scioglierli non sarà questione di poco conto per comprendere l'indirizzo della riforma dell'intera scuola secondaria su cui muoverà il Ministro Fioroni, e di cui questo decreto rappresenta uno stralcio importante.


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