Aprileonline: Scuola, la morsa degli interessi di parte
L'intervento Riflettere attentamente sulla nostra scuola e tentare di individuare qualche ipotesi di proposta concreta ai problemi che da decenni sviliscono quest'istituzione e preoccupano tutti coloro che a diverso titolo ne fanno parte risulta essere oggi un'attività molto più che complessa
Anna Riccardi, Maria Chiara Grauso**,
Prima di ogni nostra riflessione ringraziamo tutti coloro che sabato 27 ottobre hanno aderito allo sciopero indetto dalle tre sigle sindacali CGIL, CISL e UIL scuola per il diritto alla scuola pubblica, per riconoscere e valorizzare il lavoro nella scuola.
Riflettere attentamente sulla nostra scuola e tentare di individuare qualche ipotesi di proposta concreta ai problemi che da decenni sviliscono quest'istituzione e preoccupano tutti coloro che a diverso titolo ne fanno parte risulta essere oggi un'attività molto più che complessa: noi diciamo interessante, coinvolgente, faticosissima, irrinunciabile.
Parliamo, infatti, di farsi carico del processo di crescita culturale e sociale dei nostri ragazzi, della qualità della formazione e delle aspirazioni professionali dei nostri docenti, del confronto e della competizione con altri lontani modelli di istruzione che quotidianamente ci sfidano a diversi livelli e vincono la sfida.
Parliamo ancora della disastrosa e diffusa sensazione che nonostante le tante forze impiegate i protagonisti di questo micro-mondo non si sentono più a pieno titolo attori di una parte importante, o meglio fondamentale della composizione della nostra società.
La scuola di oggi appare inevitabilmente sganciata da tutto il resto, incapace di interessare realmente, sempre rinnovata nella forma ma stanca e vecchia nella sostanza.
Le motivazioni sono varie, ormai note e pluricitate da tutti; che si appartenga o meno al settore, infatti, tanti si sentono in grado di esprimere pareri e giudizi su questo triste fenomeno di decadenza spesso ripercorrendone con dovizia di particolari punto per punto le tappe...
Ora ci piace favoleggiare sulla severità e sul valore culturale della scuola italiana di una volta, ora proporre in alternativa (indietro non si può più tornare) intricate strade futuristiche basate su una fantomatica progettazione al passo con i tempi che sappia correre dietro ai nuovi saperi tecnologici, alle incalzanti necessità linguistiche e, ultimo per ordine ma non per importanza, al dio mercato. Poveri ragazzi, poveri noi.
Dall'interno, che non significa semplicemente far parte di coloro che varcano le porte di un qualsiasi istituto ogni mattina, ma considerarsi giorno dopo giorno parte integrante di una riflessione politico-istituzionale di un momento di passaggio significativo come quello che la nostra scuola sta vivendo in questo periodo, gli errori, le pecche e i compromessi, promossi e subiti, appaiono sostanzialmente lampanti e semplici nella loro individuazione quanto allo stesso tempo difficili da scardinare e da modificare, così come spesso si presentano le "cose" degli uomini.
Ringraziando, dunque, il Ministro Fioroni per non aver ritenuto, sulla scia delle ultime riforme, di tralasciare nel suo decreto importanti elementi didattici e disciplinari provenienti dal passato solo perché appunto passati e dunque accantonabili in nome di un riformismo innovatore a tutti i costi, ci preme però ricordare che le esperienze fatte e assorbite non devono in alcun modo oggi risultare inutili e fini a loro stesse.
Gli studenti capiranno, hanno già capito, che la ventata di rinnovata serietà può avere un senso vero per la loro formazione come individui (il rapido spegnimento dei focolai di protesta contro l'introduzione delle nuove norme sul cosiddetto ritorno del "rimando a settembre" ne è la dimostrazione) soltanto se la coerenza e la serietà nell'organizzazione materiale dei nuovi corsi di recupero e l'impostazione complessiva delle varie novità sarà dimostrata; se i docenti insieme ai discenti riusciranno a sentirsi parte di un progetto di promozione culturale di valore in ogni senso.
Nel concordare poi con il progetto del Ministro di eliminare definitivamente il precariato dei docenti con l'immissione in ruolo nei prossimi 3, 4, 5 anni di tutti coloro che da tanto tempo ristagnano nelle graduatorie dei CSA delle varie province italiane, ugualmente non possiamo fare a meno di riflettere, ponendoci alcune semplici domande, su questa antica eppure attualissima questione riguardo i metodi di reclutamento del corpo docente, dalla qual cosa inevitabilmente scaturisce in linea diretta la qualità (tanto discussa) dell'offerta formativa nei nostri istituti.
Ci chiediamo, allora, quale senso e quale funzione nascondano la partenza in tutti gli atenei d'Italia dei nuovi cicli SISS (in buona sostanza una fabbrica a produzione continua di precari) dal momento che quest'anno si sono create, proprio per poter risolvere l'eterno problema del precariato, le famose graduatorie chiuse ad esaurimento, che hanno comportato per gli interessati tutta una serie di scelte di vita definitive e che per continuare ad avere motivo di esistere dovrebbero per l'appunto rimanere chiuse fino ad esaurimento, cioè fino all'immissione in ruolo dell'ultimo professore precario presente in esse?
Quale speranza lavorativa accarezzano i migliaia di laureati che si sono riversati negli ultimi giorni ai cancelli delle università per tentare di superare gli odiatissimi e criticatissimi test d'ingresso con una percentuale di possibilità di successo che può sintetizzarsi in 1 su 300?
Interrogativi che pare richiederebbero un'accurata indagine sociologica ed invece l'analisi, drammatica nella sua evidenza, è presto fatta: la forte carenza di lavoro, soprattutto nelle regioni meridionali, rende un posto sicuro come quello nella scuola, una prospettiva comunque appetibile, sebbene si stia parlando della categoria di lavoratori statali professionisti maggiormente bistrattati, sia economicamente che dal punto di vista del ruolo sociale che si trovano a ricoprire.
Nel contempo, l'assoluta carenza della certezza delle leggi promulgate di volta in volta, rende plausibile ed anzi giustifica ampiamente questa partecipazione in massa basata sull'idea del "non si sa mai..." e del "se l'anno prossimo cambiasse la legge..." che diversamente, in uno stato di cose diverso, risulterebbero atteggiamenti di pura e semplice follia.
E' necessario, a questo punto del ragionamento, focalizzare l'attenzione sull'incoerenza, la profonda incoerenza, che ha determinato riforma dopo riforma, pasticcio dopo pasticcio, questa incredibile confusione di vedute e di prospettive che avrebbe abbattuto ed offeso anche l'ispirazione più nobile nei confronti di questo splendido mestiere che in quest'epoca opaca, soltanto in virtù della sua bellezza intrinseca riesce ancora ad interessare e a sopravvivere a tanta oppressione.
E d'altro canto gli scandali recentissimi sulle modalità di svolgimento dell'ultimo concorso per Dirigente, parliamo dei nuovi vertici dell'istituzione scolastica, ci abituano a ragionare in questa direzione; l'ambito è ancora una volta quello noto e i premi (in termini di progressione di carriera) spettano ancora una volta a chi ha considerato le regole né più né meno che consigli e la trasgressione di queste al pari dei soliti rimpasti legali e istituzionali come un atto di spregiudicatezza e di coraggio (reso possibile dagli appoggi giusti?) e per questo prontamente ricompensato.
La nostra attuale posizione, in quanto precari, è quella di chi guarda ancora una volta con speranza (è l'ultima a morire) a questa nuova strada oggi delineata dal governo ma, allo stesso tempo, lavora e vive senza contarci troppo, attendendosi da un momento all'altro la classica ritrattazione e il decretuccio che cambi le carte in tavola, incapaci, perché ormai provati da decenni di piccole grandi vessazioni, di accordare la giusta fiducia ad un provvedimento che senza alcuna difficoltà si riconosce come saggio e necessario.
Da troppo tempo ormai registriamo rassegnati la necessità di mantenere in vita regole pazzesche che tutelino gli interessi sempre crescenti delle università e delle scuole private di formazione.
Sono queste le vere roccaforti del potere e certamente mal tollererebbero di vedersi sottrarre all'improvviso un business miliardario come quello creato, da una decina d'anni a questa parte dall'istituzione delle SISS, dei Master e dei Perfezionamenti.
D'altra parte non possiamo neanche permetterci una critica troppo feroce nei confronti della scelta di dar vita a queste "scuole di formazione", una sorta di ponte tra la teoria appresa negli anni universitari e la pratica dell'attività effettiva sul campo, soprattutto perché sentite come necessarie da più parti e, dunque, sacrosanta negli intenti, anche se, sappiamo bene perché provato sulla nostra pelle, assurda e macchinosa nelle metodologie.
La famosa SISS, scuola contestatissima per una miriade di motivi come ad esempio la tassazione obbligatoria per tutti i partecipanti (vincitori di concorso) senza alcuna distinzione tra fasce di reddito, era stata infine accettata collettivamente come si accetta un male necessario, salutata come un metodo finalmente risolutivo, l'unico esistente, per formare una nuova classe docente selezionata sui contenuti culturali e, al contempo, formata e preparata sulle più moderne sperimentazioni didattiche.
Ma ecco che tanta ostentata serietà, anni di selezioni rigidissime operate sul numero effettivo di posti disponibili nella scuola, esami teorici, pratici, tirocini e chi più ne ha più ne metta, nuovamente sono stati spazzati via dall'istituzione appena un anno fa di un italianissimo e dunque prevedibilissimo corso abilitante speciale che ha recuperato, incredibile a dirsi, tutti coloro che nel tempo erano stati esclusi con tanta cura. Di cosa stiamo parlando?
Per incoerenza massima nessun requisito è risultato più necessario se non l'aver prestato servizio per due anni consecutivi nelle scuole pubbliche o in quelle private paritarie, nessun concorso, nessuna selezione, niente di niente.
Di nuovo tutti insieme, a qualunque età e con qualunque titolo, a lottare in questa guerra priva di senso, dove è impossibile vincere o anche soltanto immaginare una strategia per perseguire le proprie ambizioni, poiché le regole cambiano continuamente come i docenti delle classi. Senza rimedio.
Nessun criterio meritocratico governerà nei prossimi anni le graduatorie scolastiche. E' importante saperlo. Governerà di nuovo il caos totale, possibilmente peggiorato dal senso di insofferenza e di indifferenza verso qualunque cosa accada, caratteristico di tanta parte della nostra classe docente, e che nel frattempo la politica non ha fatto altro che alimentare con ogni mezzo.
Ed ecco che tra tutte queste considerazioni non si riesce ad ignorare una domanda fondamentale che si fa strada in questo non senso generale ovvero: quando, in che anno di quale governo, un'idea illuminata riuscirà a prevalere sugli interessi di parte? Quando una linea politica si preoccuperà di mantenersi coerente con le premesse di partenza?
Confidiamo in lei Ministro e siamo in attesa degli sviluppi successivi....
**Insegnanti precarie, Napoli
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