AprileOnLine: Quei dispersi che devono essere salvati
Alba Sasso
Istruzione Il dossier preparato dal ministero dell'Istruzione pubblica fotografa una realtà allarmante: quasi mezzo milione di studenti abbandonano la formazione. Mentre sono solo un milione quelli che, tra i 18 e i 24 anni, posseggono la licenza media. L'Italia è ancora lontana dagli obiettivi stabiliti a Lisbona per il 2010
Le cifre si sa parlano da sé. E così parlano con chiarezza anche quelle relative alla dispersione scolastica evidenziate dal dossier preparato dal ministero della Pubblica istruzione. Cifre, certo, già conosciute, ma che fa un certo effetto vedere all'interno di un ben ordinato quadro d'insieme.
Sono quasi un milione i ragazzi del nostro Paese, dai 18 ai 24 anni, in possesso della sola licenza media. E sono il 20% di quella fascia di età. Come si dice nel documento "Con questi numeri il nostro Paese è ancora lontanissimo dall'obiettivo stabilito a Lisbona nel 2000: avere al massimo il 10 per cento di ragazzi tra i 18 e i 24 anni nel 2010 con la sola licenza di scuola media". Mentre sono quasi mezzo milione i cosiddetti "dispersi" che la scuola genera ogni anno. Insomma, almeno un terzo dei giovani che esce dalla scuola media -dove peraltro la dispersione scolastica è ormai molto contenuta- non riesce a concludere positivamente gli studi con il raggiungimento del diploma. La percentuale è più bassa tra i liceali, più alta tra coloro che frequentano i tecnici e i professionali. E più bassa in ogni tipo di scuola tra le ragazze.
Ma c'è un altro dato sul quale riflettere segnalato non solo dal dossier del Ministero, ma già molti anni fa da un rapporto Censis, quello denominato della "dissipazione culturale". In sostanza il percorso stentato di tanti ragazzi (circa il 46%) poggiava e poggia sui piedi di argilla di un diploma di terza media raggiunto quasi per disperazione con un "sufficiente. E oggi il 41% dei diplomati (sempre e solo i due terzi della popolazione scolastica) esce con una valutazione non superiore ai 70 centesimi.
Insomma, ripetenze, disaffezione, abbandoni sono i "segnavia" di percorsi che portano fuori della scuola. In alcuni casi, come ancora oggi in alcune aree della Lombardia e del Nord est con la prospettiva di un immediato inserimento nel mondo del lavoro, assecondando una domanda di scarsa qualità professionale proveniente dal mondo dell'impresa. (Ma che ne sarà di questi ragazzi e che ne sarà della qualità del lavoro e dei processi produttivi?). In altri, e spesso più drammatici casi, in percorsi che vanno dritti verso la criminalità organizzata.
E allora prima di elaborare un'ennesima analisi sui perché -fattori economico-sociali, valori di riferimento, culture familiari, organizzazione del sistema e dei curricoli scolastici, e prima di ragionare dei rimedi- ne sono stati proposti e realizzati tanti e in tante parti d'Italia - vorrei provare a formulare alcune riflessioni.
Quanto costano al paese i ragazzi che si perdono? Padoa Schioppa nel documento di programmazione economica e finanziaria del 2006 quantificava lo "spreco" in 2 miliardi e mezzo di euro. Ma è solo una perdita economica? Perché è vero che l'unica risposta che l'Italia può dare, per mantenere quote di mercato e promuovere crescita sostenibile ed occupazione, è legata ad investimenti di innovazione tecnologica e di ricerca. Ma è vero anche che questo potrà essere possibile se la lotta alle varie forme di analfabetismo, culturale e sociale, riuscirà ad essere un impegno per garantire diritti e uguali opportunità. Un paese non cresce se non "cresce il livello culturale della maggior parte della popolazione". Insomma, sono i costi indiretti che possono essere molto pesanti anche in termini di coesione sociale e di crescita della democrazia. Iàn Figel, Commissario europeo per l'istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, avverte: "Sistemi d'istruzione e di formazione efficienti possono avere un notevole impatto positivo sulla nostra economia e società ma le diseguaglianze nell'istruzione e nella formazione hanno consistenti costi occulti che raramente appaiono nei sistemi di contabilità pubblica. Se dimentichiamo la dimensione sociale dell'istruzione e della formazione, rischiamo di incorrere in seguito in notevoli spese riparative".
L'elevamento dell'obbligo di istruzione ai 16 anni, previsto dalla legge finanziaria, come già avvenne con la riforma della scuola media del ‘62, potrà essere strumento decisivo per combattere la dispersione, se si ha la consapevolezza che i processi di cambiamento della scuola hanno bisogno di tempi lunghi e di impegno tenace e costante. Ma soprattutto se si intende dare un vero segnale di discontinuità con le politiche del precedente governo. Perciò, non bisognerebbe preoccuparsi di mantenere percorsi alternativi alla scuola per tener dentro chi è in difficoltà- impresa spesso inutile perché anche in quei percorsi i tassi di abbandono e dispersione sono alti- ma cogliere questa occasione per lanciare una sfida bella e possibile. Cambiare la scuola, ripensare all'intero percorso dai tre ai 16 anni, superarne rigidità e autoreferenzialità. Individuare, a partire dalla scuola dell'infanzia, strumenti di sostegno che permettano di recuperare gli squilibri iniziali e le difficoltà di apprendimento. Creare legami e sinergie con i soggetti del territorio: gli enti locali, le forze del lavoro, le imprese, per moltiplicare idee, progetti e risorse. Perchè il 2010 è domani.