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Aprileonline: Quando la scuola serve a fare cassa

Intervista a Walter Tocci

19/09/2008
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Aprileonline

Ma.Bo., 18 settembre 2008, 17:40

Con Walter Tocci del Pd abbiamo discusso della riforma Gelmini, di come non risponda alle esigenze vere del mondo dell'istruzione. Il suo unico fine è infatti ridurre il tempo scolastico, con un conseguente danno per gli studenti e le famiglie. Un modo per risparmiar soldi e investirli in altri discutibili ambiti

Una interpellanza parlamentare firmata da cinquanta deputati di Pd, Udc e Idv per chiedere informazioni sullo stato di salute della scuola italiana, mentre fuori dal Parlamento, nella società monta l'onda del dissenso verso la riforma della ministra Gelmini, con appuntamenti a ripetizione su tutto il territorio nazionale e sotto l'eco della protesta di genitori e docenti che ha caratterizzato il primo giorno scolastico, lunedì scorso. Di come il governo stia procedendo a dissestare l'istruzione, con tagli indiscriminati e proposte (dal maestro unico al voto in condotta) che comportano, tra l'altro e non secondariamente, un rischio per migliaia di lavoratori del settore oltre che per la qualità della didattica, abbiamo parlato con Walter Tocci, tra i firmatari dell'interpellanza, ex responsabile Università e Ricerca dei Ds e oggi deputato del Pd, la stessa formazione che la prossima settimana (dal 24 al 27 settembre) darà vita a tre giorni di campagna contro il piano Gelmini e a sostegno dell'istruzione pubblica.

Il giudizio del Pd sulla riforma Gelmini è assolutamente negativo. Perché?
Perché rappresenta un colpo mortale alla quantità e qualità dell'istruzione. Alla quantità perché il decreto riduce il tempo della scuola elementare: si passa da 32 a 24 ore, cioè si cancellano sei ore scolastiche, di fatto un giorno a settimana in meno. Se si pensa alla scuola come ad un servizio erogato dallo Stato, la riforma Gelmini lo riduce del 20%, costringendo però i cittadini a pagare ugualmente.

Questa diminuzione di orario nelle scuole cosa comporterà?
Dal punto di vista concreto gli alunni usciranno alle 12.30, un'uscita anticipata che creerà un disagio logistico alle famiglie: i genitori che lavorano come potranno provvedere ai figli che lasciano la scuola in pieno orario lavorativo? Dovranno pagare baby sitter oppure usufruire del servizio del doposcuola, che la Gelmini vuole istituire e che naturalmente sarà a pagamento, magari organizzato da qualche cooperativa vicina a Comunione e Liberazione a cui già adesso si appaltano molti servizi mensa. La linea imposta è quella del "pagare di più per lo stesso orario di prima".

Un progetto di riforma che mira solo a far cassa?
Si, ma con lo scopo non di rinvestire nel settore, bensì di coprire altre priorità discutibili. Il risparmio di 7-8 miliardi tanto celebrato da Tremonti coincide, guarda caso, con quanto investito per la cancellazione dell'Ici ai ceti abbienti e per sanare i debiti dell'Alitalia che, con la soluzione offerta fino ad ora, vengono scaricati sulle spalle dei contribuenti.

Questo aspetto quantitativo è un primo elemento che il Pd contesta alla riforma Gelmini. Ma dal punto di vista qualitativo, cosa criticate?
Quantità e qualità sono legate. La Gelmini afferma che 30-40 anni fa il tempo della scuola era di 24 ore, ma in passato esisteva una sola ora di religione mentre adesso ne abbiamo due; non c'era l'inglese che adesso è inserito; inoltre la legge Moratti, ancora non abrogata, riserva 2 ore ai programmi specifici delle regioni. In questo modo si arriva ad un tempo scolastico che si attesta sulle 17 ore effettive, escluse ricreazioni, ritardi o quant'altro, tenendo conto dei quali si arriva a 15 ore. Poi c'è un'ora aggiunta di educazione civica per cui il tempo scolastico alla fine arriva 13 ore di scuola effettiva, cioè due ore effettive al giorno. Quella attuale è quindi una scuola che dal punto di vista dell'orario è più povera di una volta. Tenendo conto poi del fatto che la scuola di oggi è multietnica, si comprende come ci sia bisogno di un impegno educativo più intenso, mentre la Gelmini sceglie di ridurlo.
La faccia tosta del ministro su questo tema è senza limiti: mentre il suo governo taglia 87mila cattedre, lei sostiene che aumenterà il tempo pieno, ma non si comprende in che modo vista la riduzione dell'offerta didattica e del suo personale.

Nella polemica sulla qualità rientra anche la critica che il tuo partito avanza verso l'istituzione del maestro unico. Perché siete contrari?
Negli ultimi 20 anni abbiamo sostenuto una grande politica di formazione che ha visto protagonisti circa 250mila insegnanti. Esistevano infatti i moduli (tre maestri su due classi) per cui ciascun docente portava avanti un insegnamento specializzato secondo tre area principali: matematica, italiano, storia e geografica. Molti degli attuali insegnanti hanno quindi perduto una professionalità "tuttologa". Tale opera formativa specialistica è vanificata, costringendo lo Stato ad una nuova politica di formazione immensa per preparare insegnanti esperti di tutto. Tenendo conto che la vecchia scuola copriva uno scibile più limitato e che oggi i bambini usano internet e sono molto stimolati, si comprende come sia invece necessaria un'istruzione che dia imput formativi più spinti. I ragazzi attualmente hanno livelli di partenza più elevati e hanno bisogno di contributi specializzati.

Quindi una formazione specialistica è necessaria visto la crescita del sapere e il livello superiore di stimolazione dei bambini di oggi?
Si ma anche per un altro aspetto più squisitamente educativo. Il rapporto tra maestro-bambino è molto delicato, può e non può riuscire, allora con tre insegnanti disponibili c'è la possibilità che l'alunno riesca a realizzarlo: se fallisce con un docente, ne ha a disposizione altri due. Una equipe di maestri diluisce le difficoltà che si possono incontrare con un singolo insegnante.

E le questioni del grembiule, del voto in condotta, del ritorno alle valutazioni numeriche al posto dei giudizi?
Rientrano in una politica demagogica portata avanti dal governo. Si usano dei simboli, come appunto il grembiulino, il voto con numeri, il voto in condotta, per tentare di conquistare i genitori e per oscurare la vera posta in gioco messa in ballo dal governo: la riduzione del servizio formativo. Per questo non voglio cadere nella trappola di discutere di questi aspetti secondari, che andrebbero lasciati al buon senso dei maestri, vera risorsa della scuola italiana e capaci perciò di gestirli.

Altro aspetto centrale è la drastica riduzione dei posti di lavoro che questa riforma comporterebbe...
Con un taglio così pesante all'offerta del tempo scuola si blocca un'intera generazione di giovani insegnanti, sto parlando di circa 200mila persone. L'esecutivo diminuisce di sei ore l'offerta didattica e compensa così il turn over: i maestri in pensione non verranno rimpiazzati perché essendo previste meno ore di lezione non c'è bisogno di nuovi insegnanti. Così si azzera, da un giorno all'altro, un'intera generazione di docenti di 30-40 anni che hanno studiato e si sono preparati per fare questo lavoro. Un modo barbarico di agire. Per i prossimi 10 anni inoltre non avremmo che insegnanti anziani, non ci saranno più giovani maestri e maestre: un errore perché la scuola ha bisogno di rinnovamento.

Ma questo nostra scuola non ha bisogno di un intervento riformatore?
Si, sicuramente. Ma una politica seria di sostegno all'istruzione punterebbe ad investire nella formazione dei docenti, nella strumentazione scolastica e nell'edilizia scolastica, che in Italia è veramente penosa. C'è poi una questione da risolvere: nel nostro Paese ci si diploma a 19 anni, mentre nel resto d'Europa a 18, perciò i giovani italiani accedono tardi al mercato del lavoro. A questo aveva provveduto la riforma Berlinguer che aveva ridotto di un anno il corso scolastico, diminuendo il numero degli insegnanti nel tempo, assorbendo i precari e mantenendo il tempo scolastico inalterato.

Una ministra, la Gelmini, bocciata su tutta la linea?
Si anche a causa del suo recente comportamento in Commisione, dove non si è presentata perché doveva partecipare ad una riunione di partito: una persona di grande arroganza che non ha competenza in materia, ma che è stata scelta perchè debole e quindi disponibile a piegarsi alla politica dei tagli di Tremonti.


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