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AprileOnLine: Nodi da sciogliere. Governo nuovo, ricette vecchie

Economia. Le politiche di risanamento tagliano la spesa sociale

27/08/2006
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Aprileonline

Betty Leone*

I conti pubblici italiani sono fuori controllo. Cinque anni di governo Berlusconi hanno avuto l’effetto di azzerare l’avanzo primario e di far crescere di nuovo il debito pubblico.
Ci aspettavamo perciò che il nuovo governo si sarebbe trovato in grande difficoltà per realizzare il proprio programma. La situazione era chiara soprattutto alla Cgil che negli anni scorsi aveva denunciato per prima l’inaffidabilità della “finanza creativa” del ministro Tremonti.
Quello che non ci aspettavamo è che si sarebbe proposta sempre la stessa ricetta di risanamento: tagliare le pensioni, la sanità, il pubblico impiego. In altre parole, tagliare la spesa sociale.
Non ci sembra un bel segnale, non solo perché è in contraddizione con il programma del centro sinistra presentato agli elettori per chiedere il loro consenso, ma anche perché è la stessa ricetta che si applica dal 1992 senza produrre né maggiore stabilità economica, né maggiore giustizia sociale.
In particolare si è riaperto in questi giorni il dibattito sull’innalzamento dell’età pensionabile, presentato come utile e persino gradito ai lavoratori, dal momento che c’è stato un notevole allungamento della vita.
Tutti sembrano dimenticare che in Italia, come in Europa, aumenta costantemente il numero dei lavoratori ultracinquantenni espulsi dal mercato del lavoro; che le crisi industriali, a partire dalla Fiat, continuano ad essere gestite con i prepensionamenti. Una scelta quest’ultima che non investe soltanto i privati: proprio mentre si invoca l’innalzamento dell’età pensionabile, lo stesso governo annuncia la riduzione e il “ringiovanimento” degli addetti al pubblico impiego (400 mila unità!), da gestire con uscite incentivate (altra terminologia per indicare sempre i prepensionamenti).
Ci si deve rendere conto che, in questa situazione, la decisione di inasprire per legge i requisiti per il pensionamento produrrebbe soltanto un aumento delle persone a rischio di povertà perché prive di reddito: non più lavoratori, non ancora pensionati.
Perciò il sindacato e in particolare lo Spi Cgil, hanno sempre sostenuto piuttosto la necessità di una politica di invecchiamento attivo, caratterizzato non solo da strumenti incentivanti la scelta individuale di rimanere più a lungo al lavoro, ma anche da una regolazione del mercato del lavoro e della rotazione delle mansioni che, insieme ad un’attenzione maggiore alla salubrità dei luoghi di lavoro e a percorsi formativi adeguati, permetta un utile impiego dei lavoratori più anziani.
A Montezemolo che invoca l’innalzamento dell’età pensionabile bisognerebbe chiedere cosa hanno fatto gli imprenditori italiani in questa direzione e quali impegni sarebbero disposti a prendere per il futuro.
Per quanto riguarda il sindacato noi continuiamo a pensare che bisognerebbe agire diversamente, facilitando le uscite flessibili con periodi part time accompagnati dall’erogazione di una quota di pensione; regolando l’impiego degli anziani nelle attività di socializzazione e ripristinando la possibilità di scegliere l’età pensionamento entro i limiti definiti nella legge Dini.
Il modello della riforma del ’95, infatti, prevedendo la possibilità di lasciare il lavoro dall’età di 57 anni a quella di 65, con diversi livelli di rendimento previdenziale, ha in sé un sistema implicito di incentivi e disincentivi.
Insomma, è possibile affrontare il problema dell’aumento dell’attesa di vita in modo meno meccanico di un innalzamento secco dell’età pensionabile che produrrebbe solo nuovi disagi sociali. Naturalmente se l’obiettivo è quello invece di fare cassa subito per risanare il bilancio, le scelte più semplici sono anche le più efficaci.
Noi però ci aspettiamo una politica capace di guardare al futuro e di coniugare risanamento con la trasformazione dei rapporti sociali e produttivi. E’ troppo chiederlo ad un Governo di centro sinistra?

*segretaria generale dello Spi Cgil


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