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AprileOnLine: Lo sdoganamento del fischio

Gli industriali di Varese non gradiscono l'intervento del leader della Cgil, Guglielmo Epifani. Ma dietro l'episodio spiacevole si cela una classe imprenditoriale allo sbando

06/06/2006
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Aprileonline

Alessandro Genovesi

Il fischio è ormai sdoganato, anche a destra. Non è più un atto stupido di qualche facinoroso, ma un normale strumento politico. Tanto normale che quando dieci studenti fischiano la Moratti sono un "grave insulto alla democrazia" (Berlusconi), ma quando (all'interno dell'aula del Senato) a fischiare gli ex Presidenti della Repubblica sono dei deputati è lecito (Schifani). Quattro metalmeccanici che fischiano Maroni sono proto-terroristi (Brunetta), ma una platea di imprenditori che fischia (dopo averlo invitato) Epifani è normale dialettica sociale (Sacconi). Con questa battuta si potrebbe riassumere la giornata di ieri. Se non fosse che vi è poco da scherzare.

Dietro allo spiacevole episodio di Varese e dietro ai fischi al Segretario Generale della Cgil vi è, infatti, il sintomo di una classe imprenditoriale allo sbando, spaventata e – quindi – pericolosamente aggressiva. I fischi, ancor prima che Epifani esprimesse la nota posizione della Cgil sulla precarietà, sono iniziati quanto il segretario della Cgil ha ricordato come, in questo paese, il sindacato e i lavoratori hanno sempre fatto il proprio dovere per risanare i conti pubblici e rilanciare l'economia.
Punta sul vivo, la platea confindustriale si è vista allora richiamare ad un atto di responsabilità che non si aspettava (e a cui non è forse preparata, anche culturalmente), dopo anni in cui si è predicato la centralità dell'azienda e del "ognuno fa per sé".

La pancia dell'impresa italiana – quella impresa che giustamente Epifani ha detto "non può continuare a scaricare i propri rischi solo sulla compressione dei salari e dei diritti" – si sente quindi sotto attacco e reagisce, timorosa di essere nuovamente inclusa in "quel patto di cittadinanza" che per il Governo ed i Sindacati rappresenta l'unica via di uscita dalla crisi.

E prima Prodi e Bersani (accolti in maniera gelida all'assemblea annuale di Confindustria), poi Epifani sono stati bersaglio di parte non piccola della platea imprenditoriale proprio per questo richiamo. La portata politica dei fatti di Varese (al di là dei fischi sempre sbagliati), anche e nonostante il tentativo di Montezemolo di riprendere la propria base con un discorso molto arretrato, è tutta qui.
Il Governo e la Cgil sono la parte responsabile, gli imprenditori no. I primi, pur con posizioni e funzioni diverse, vogliono ricostruire le ragioni di uno scambio, di un patto; i secondi sono disponibili solo a prendere.

Il problema è di quelli seri: chiama in causa la tenuta dell'attuale gruppo dirigente di Confindustria, ma soprattutto chiama in causa le ragioni stesse di un possibile percorso per riprogettare il paese.
Perché una parte di questa nostra società si è arricchita, ha mantenuto alto il proprio tenore di vita proprio perché ha scommesso sulla compressione del lavoro e sull'aumento della precarietà (Epifani, altro argomento che non deve essere stato molto gradito alla platea di Varese, ha ricordato che in Italia si lavora più che in Francia e Germania ma a minor salario), e se non è disposta a partecipare oggi ad una più equa redistribuzione delle ricchezze, si fa responsabile di una rottura sociale profonda.

Non consola quindi il fatto che Confindustria e sindacati possano anche concordare sulla non opportunità di una manovra bis: perché prima o poi arriverà il momento di scegliere. Ulteriori tagli al welfare e alle pensioni o chiamare le imprese a ridare indietro parte della loro ricchezza – sempre meno produttiva e sempre più fatta di titoli finanziari, beni di lusso e mattone?


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