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AprileOnLine:Italia orfana della Ricerca

Il fallimento del programma di rientro dei nostri ''cervelli'' all'estero mostra nuovamente la mancanza di un'adeguata strategia politca che sappia promuovere il settore

11/05/2006
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Aprileonline

Ignazio Marino*

L’Italia azzera i finanziamenti destinati al rientro dei cervelli emigrati all’estero. La notizia è apparsa oggi sul quotidiano la Repubblica, ma il blocco del programma avviato nel 2001 dal Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca (MIUR) proprio per favorire il rimpatrio dei cosiddetti “cervelli in fuga” rientra nelle disposizioni contenute nella finanziaria 2006. Nel testo, viene sospeso lo stanziamento dei fondi da destinare alle università per l’assunzione di ricercatori, italiani e stranieri, attualmente impiegati all’estero e interessati a svolgere attività didattica e di ricerca nel nostro paese.

Fallisce così anche questo modesto tentativo di far rientrare alcuni dei nostri giovani ricercatori impegnati a far progredire la scienza e l’economia in altri paesi. Certamente non è a causa di questo ennesimo fallimento che la malconcia ricerca italiana subirà dei contraccolpi negativi, ma si tratta pur sempre di un segnale, di un’indicazione precisa di quanto sia stato tenuto in considerazione il settore della ricerca da parte del governo uscente e in particolare di Letizia Moratti. Una strategia a mio avviso perdente ed esattamente contraria a quella di paesi emergenti come la Cina o l’India, per non parlare degli Stati Uniti dove la ricerca rappresenta da sempre uno dei principali settori di investimento pubblico e privato.

Negli Stati Uniti i cosiddetti “cervelli” vengono considerati una risorsa necessaria per la crescita del paese, una conditio sine qua non per garantire progresso scientifico, tecnologia e sviluppo economico. Gli USA hanno intrapreso una politica volta ad attrarre medici, scienziati e ricercatori da tutti i continenti (nel 2003 i visti concessi per personale straniero altamente qualificato sono stati quasi duecento mila) sottraendo ad altri risorse preziose ed ottenendo il massimo del rendimento: si assume infatti solo personale altamente specializzato pronto a produrre, meglio se straniero e quindi già formato nel paese d’origine, e in questo modo non si spende nemmeno un dollaro per sostenere i costi della formazione.

L’Italia segue invece la strategia della generosità: forma i ricercatori spendendo circa 500 mila euro per ognuno di loro per un corso di studi che va dalle elementari al dottorato, e poi li lascia andare a lavorare, e a produrre ricchezza intellettuale ed economica, all’estero a tutto beneficio del paese di destinazione. Così l’Italia perde, in modo lento ma inesorabile, la sua capacità di sviluppo, come diretta conseguenza di un’assenza di strategia politica nei confronti della ricerca. L'Italia investe oggi in ricerca solo l'1.14% del PIL contro il 4.27% della Svezia, il 2.50% della Germania, il 2.19% della Francia. E quel poco che è concesso viene distribuito con criteri tutt'altro che meritocratici. I dati sono allarmanti e riflettono la grave situazione in cui si è ridotta la ricerca italiana, un settore cruciale per lo sviluppo economico e culturale del paese eppure quasi del tutto trascurato.

L’Italia, a mio avviso, ha bisogno di un cambio di rotta radicale, di una cultura nuova, da inventare. Non è un processo impossibile, piuttosto è inevitabile dal momento che facciamo parte di quel ristretto gruppo di paesi ricchi che vuole avere l’autorità di guidare le scelte del mondo. Le proposte esistono già e dovranno diventare azioni concrete al più presto partendo dal coinvolgimento del settore privato in progetti di ricerca condivisi, costruiti in collaborazione con enti e istituzioni nel rispetto dei reciproci interessi e finalità; dalla selezione dei progetti e dei ricercatori che li dovranno portare avanti sulla base di criteri meritocratici e di meccanismi trasparenti; e dalla valutazione dei risultati per promuovere i settori più innovativi, finanziare i progetti più promettenti e porre in questo modo le basi durature per il rientro di chi è partito e desidera mettere le proprie competenze al servizio del nostro paese.

*Professore di chirurgia, senatore DS


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