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Aprileonline: Intorno all'immobilismo accademico

Università e ricerca

07/09/2007
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Aprileonline

Emiliano Sbaraglia,

La proposta di legge di alcuni rappresentanti di Prc (che vorrebbe modificare il sistema giuridico, di reclutamento e di valutazione vigente nelle università italiane), ha dato vita a un dibattito che paradossalmente sembra soffrire della stessa malattia di cui si discute: una certa sterilità di fondo rispetto ai reali problemi da affrontare in merito

Secondo l'articolo del professor Salvatore Settis, apparso sulle colonne di "Repubblica" lo scorso cinque settembre, il nodo riguardante "la grave impasse dell'Università" (così titolava il pezzo) continua a determinarsi per una atavica abitudine del sistema accademico nazionale, il quale dopo esser riuscito a formare e specializzare numerosi studenti, trasformandoli in potenziali brillanti studiosi, vede questo risultato essere in un certo modo sfruttato dalle università del resto d'Europa o d'oltreoceano, dove dottori di ricerca e ricercatori italiani trovano maggiori possibilità per poter realizzare le loro aspirazioni professionali, in discipline scientifiche come in quelle umanistiche.

Richiamando il "Patto per l'università e la ricerca" siglato dai ministri Mussi e Padoa-Schioppa, che verrà discusso nella "Conferenza dei Rettori" mercoledì prossimo (12-09), Settis intravede all'orizzonte la speranza di un miglioramento dell'attuale situazione, in particolare grazie ai previsti aumenti delle risorse finanziarie, concludendo però che senza una "gestione accorta della spesa" e una meritocrazia che sostituisca i consueti meccanismi di potere interni ad ogni ateneo, qualsiasi ipotesi di soluzione non risolverà mai il problema.

Nello stesso articolo viene anche criticata la proposta di legge presentata da alcuni esponenti di Rifondazione comunista in data 26 marzo, soprattutto laddove si teorizza l'accorpamento in unico ruolo della figura del docente universitario, articolandolo in tre fasce distinte. Un passaggio, questo, che ha suscitato la reazione del professor Domenico Jervolino, titolare della cattedra di Filosofia teoretica presso l'Università Federico II di Napoli, e responsabile nazionale Università e ricerca di Prc. Il giorno dopo, siamo al sei settembre, Jervolino risponde direttamente a Settis dalle pagine di "Liberazione", presentando il PdL 2446 come una proposta "per la crescita civile dell'Università e contro i giochi di potere". Jervolino difende il contenuto del documento nel punto incriminato, sottolineando che l'unificazione dei tre attuali ruoli (ordinario, associato e ricercatore) comporterebbe "meccanismi di avanzamento interno subordinati a valutazioni dell'attività svolta e alla maturazione scientifica raggiunta dai docenti nel corso della vita, secondo itinerari certi e controllabili e soprattutto sottratti all'impero dei gruppi di potere che hanno finora condizionato il sistema concorsuale italiano e quindi le vite stesse dei soggetti interessati, spesso fino a tarda età, con quanto profitto per la qualità e la serietà dell'attività scientifica e didattica tutti possono giudicare".

Ci sentiamo di dire che la sterilità della polemica sembra assurgere a paradigma emblematico della situazione dell'università italiana.

Rimanendo soltanto al tema riguardante la riqualificazione del corpo docente, assunto dai due professori qui chiamati in causa come esempio calzante e "vulnus" determinante per un miglioramento tangibile del sistema accademico attuale, in verità non si riesce a comprendere bene cosa cambi di sostanziale tra la tripartizione ordinario-associato-ricercatore e l'accorpamento di queste figure in un unico ruolo, che a sua volta verrebbe tripartito in pratica nel medesimo modo. Certo, ci sarebbe il riconoscimento del ricercatore quale docente a tutti gli effetti, un suo reclutamento attraverso procedimenti concorsuali nazionali forse più giusti, grazie anche all'introduzione di membri di commissione provenienti da altri paesi.

Ma nella sostanza, cosa cambia?

Resta infatti probabile, in attesa di vere novità, che continueremo ad avere professori di terza fascia (o ricercatori, chiamateli come volete) che lavoreranno più di quelli appartenenti alla prima (spesso sostituendoli nelle loro attività principali), con la speranza un giorno di raggiungerli per grado e compenso economico; continueremo ad avere corsi di studio spezzettati in due semestri (che quasi sempre più che sei mesi in effetti durano la metà), comportando un abbassamento del livello didattico e della preparazione degli studenti al momento di sostenere l'esame; continueremo a navigare a vista nel mare magnum del "tre+due", dove il "due" dovrebbe essere una sorta di specializzazione in realtà quasi mai impostata con i dovuti criteri dalle varie discipline; continueremo a guardare con un misto di sospetto e tenerezza i famosi "portaborse" (probabilmente quelli che nel punto "c" dell'articolo due del PdL di Rifondazione vengono definiti come "assistenti ordinari"), in perenne lotta tra loro per un assegno di ricerca annuale o biennale, una borsa di studio triennale o "alla pari", un riconoscimento come "cultore della materia" a titolo rigorosamente gratuito, un seminario retribuito con i fondi raschiati dal barile di qualche dipartimento, l'organizzazione di qualche convegno dal titolo improbabile per rosicchiare una manciata di euro di rimborso-spese. Continueremo dunque a vivacchiare, in attesa di una riforma degna di questo nome.

Nel frattempo, la speranza di molti è ora appesa ai nuovi concorsi per ricercatore promessi dal ministro Mussi, e suddivisi in "macroaree disciplinari" proprio con l'intento di ridurre lo spazio e l'azione dei "manovratori accademici".

Chi sopravviverà vedrà.


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