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AprileOnLine: I giovani, anello debole della società

Lavoro. Secondo il rapporto Excelsior 2006, quella degli under 30 è la generazione che ha più difficoltà nella ricerca di un impiego. La situazione mette in pericolo l’intera società

15/07/2006
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Aprileonline

Massimo Eleuteri

Vi ricordate i giovani sciagurati, quelli senza lavoro o intrappolati da simpatici contratti a tempo determinato? I giovani senza futuro che non riusciranno a fare proprio l’avvenire del nostro mondo, che pure spetta loro? Sono sempre questi soliti disgraziati l’oggetto di un’ennesima indagine, questa volta dell’Excelsior, il progetto portato avanti da vari anni da Unioncamere. L’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ogni anno infatti “intervista oltre 100.000 imprese con almeno un dipendente di tutti i settori economici e di tutte le tipologie dimensionali, per chiedere di rendere noto in modo analitico il proprio fabbisogno di occupazione per l’anno in corso”. Il Progetto Excelsior è considerato lo strumento informativo più completo, date l’ampiezza e la profondità di analisi con cui mette a disposizione dell’opinione pubblica le informazioni sui fabbisogni delle imprese per quanto riguarda il mercato del lavoro.
All’interno dello scenario evocato dal rapporto 2006, scenario neanche troppo buio nel complesso nazionale, la nota dolente va rintracciata nelle difficoltà degli under 30. I nostri giovani, si sempre loro, non sono infatti i primi della lista delle aziende che intendono assumere nuovi impiegati. A loro vengono sempre più preferiti i lavoratori adulti, e la tendenza sembra ormai inarrestabile: nel 2004 era il 43,3% delle assunzioni a riguardare giovani con meno di 30 anni, nel 2005 eravamo scesi al 40,9% e quest’anno la percentuale si è attestata sul 39,5%. Questo il dato generico. Il dossier poi analizza più specificamente l’apporto dato a queste percentuali dai diversi filoni di studi e tipologie di lauree.
Al di là di tali distinzioni, il punto che sembra più importante è proprio quello generico: l’occupazione giovanile, dai tempi della riforma Biagi, non ha fatto altro che diminuire. Eppure, in teoria, proprio alle nuove leve era principalmente rivolta la legge 30, che tentava di garantire loro un accesso “agevolato” al mondo del lavoro. I motivi di questa paradossale evidenza vanno ricercati, secondo molti, nella grande ripresa della scolarità. In seguito alla riforma universitaria si è verificato un boom di iscrizioni ai nuovi corsi di laurea triennale, che tra l’altro hanno determinato un vistoso crollo del numero di studenti che lasciano gli studi prima di essersi laureati. I giovani quindi sarebbero molto più impegnati nella propria formazione, posticipando di alcuni anni la ricerca di lavoro. Vero, ma ci si comincia a chiedere: ne varrà la pena?
Secondo il segretario generale di Unioncamere Giuseppe Tripoli, è evidente che l’occupazione giovanile è in progressivo calo di anno in anno, ma “la domanda di lavoro giovanile tende a essere, in proporzione, sempre più qualificata rispetto alla domanda di lavoro in generale, con un’incidenza superiore alla media generale di diplomati e laureati al proprio interno”. Una buona notizia, soprattutto se correlata alla sempre maggior propensione delle aziende a inserire i giovani assunti in progetti formativi interni. “Il caso più significativo – continua Tripoli – è quello dei laureati. Qui si notano alcune differenze rispetto al passato: è un po’ meno marcata – anche se ancora molto elevata – la preferenza verso chi ha già un’esperienza lavorativa”. Questo significa che chi assume è più disponibile a scegliere nuove “risorse” anche se prive di precedenti esperienze lavorative; le inevitabili lacune saranno colmate grazie a corsi di formazione sul lavoro. “I dati lo dimostrano chiaramente: se solo per il 23% del totale delle assunzioni si prevedono interventi di formazione ad hoc dopo l’ingresso in azienda – attraverso corsi interni o esterni all’impresa stessa – per i laureati tale quota raggiunge invece il 48%.
E’ comunque una ben magra consolazione.
All’interno della categoria dei laureati, c’è differenza tra i laureati alla specialistica o alla laurea ante-riforma e quelli invece della triennale, con la preferenza dei primi sui secondi. E’ anche vero, però, che sembra permanere una difficoltà nel raccordare formazione e mondo del lavoro, specie se si pensa alla percentuale crescente (dal 25,5% dello scorso anno al 31,6%) delle assunzioni per le quali non si fa differenza tra i due livelli di formazione. Questo sembrerebbe dimostrare una scarsa conoscenza, da parte delle imprese, dei due tipi di titolo di studio.
Se è vero che mal comune mezzo gaudio, allora l’Italia si può rallegrare del fatto che in 22 dei 30 Paesi dell’Ocse il tasso di disoccupazione giovanile è oltre il doppio di quello degli adulti.
Ma c'è davvero da essere soddisfatti, vista la situazione? Probabilmente no, visto che il sistema del passaggio di consegne tra le generazioni che si susseguono sta entrando in crisi. I giovani di oggi, che vedono sempre più col binocolo il traguardo di un lavoro stabile, sembrano essere l’anello debole di questa catena che si sta per spezzare. A scontare la pena di questa crescente discrasia saranno però anche le altre generazioni, e questo non ce lo possiamo permettere


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