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AprileOnLine: Forse non ci siamo capiti bene

Dpef. Ci sono alcuni concetti molto semplici: non c’è sviluppo senza ricerca. E un risanamento senza sviluppo è come provare a svuotare il mare con un bicchiere

28/07/2006
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Aprileonline

Marina Montacutelli*

"Investire in formazione e ricerca è l’unico modo per recuperare consistenti squilibri economici e sociali, talora secolari […]. In sintesi, sul piano degli investimenti necessari al sistema università–enti di ricerca–ricerca industriale, occorre varare un piano d’incremento, che comprenda anche le risorse umane, e che permetta di raggiungere, entro la fine della legislatura, l’attuale media europea, pari al 2% del PIL".
(dal Programma dell’Unione)
L’economia, si sa, non è una scienza esatta. O, per meglio dire: la teoria può, talvolta, tentare di combinare alcuni semplici, “primitivi” fattori e mostrar la strada. Ma, poi, si deve anche tener conto che ci sono anche i viottoli e gli sterrati, non solo le autostrade; che ci sono gli indirizzi complessivi, le ragioni per le quali – tra l’altro - si è ricevuta la speranza e l’impegno.
Così giova ricordare, riflettendo allibiti su alcune parti del decreto volto a rilanciare lo sviluppo e la competitività del nostro Paese – primo scalino di un’ardua salita per provare a uscire dal declino - e leggendo il documento di programmazione economico-finanziaria che precisa di quale natura sia la scala che si è scelto di ascendere, alcuni di questi fattori primitivi. E rammentare alcuni concetti lapalissiani, vicini alla politica economica ma ormai prossimi alla disillusione.
I nostri conti – pubblici e non solo – marciano spediti verso la bancarotta e l’economia “globale”, non da oggi, è come una cambiale: non fa sconti, non concede tregue, non permette armistizi. Segue il darwiniano principio che chi è debole soccombe, per permettere agli altri di proseguire. Da noi - privi di materie prime e di fonti di energia, condannati dalla geografia e dalla storia al ruolo (non necessariamente ancillare) della trasformazione e dei servizi - questo significa che le campane cominciano a rintoccare, che il conto alla rovescia che ci catapulterà impietosamente dapprima fuori dal novero dei Grandi, e poi a competere semplicemente per continuare ad esistere, è già iniziato.
Prima che tutto ciò diventi materiale per gli storici, già pronti a raccontare dell’italica nazione come dell’impero romano, compito della politica dovrebbe essere quello di spiegarci le ragioni di questo tragico declino e trovare, soprattutto, il modo per salvarci il più in fretta possibile. E’ all’altezza il decreto sulla competitività e – soprattutto – il DPEF di questa drammatica situazione? Produce, cioè, almeno la speranza di rianimare il paziente catatonico? E si è scelta la cura più appropriata, oppure si tenta di curare la grave, ormai cronica malattia con le vitamine?
La prima impressione – registrata da molti – è un passaggio dalla finanza creativa (che aveva il non banale pregio di mostrare l’italico ingegno e di rianimare anche le cronache estive, presumibilmente per nascondere i danni profondi e i privatissimi interessi) al machete indiscriminato, e pure per pochi euro. E non mi riferisco solo alla riproposizione del morattiano taglio delle spese per i consumi delle università e degli enti di ricerca (10%, che diventeranno un po’ di più nel triennio 2007-2009 perché “le previsioni per il triennio non potranno superare l’80% di quelle iniziali”, Bersani dixit) che ormai ha il sapore di rubar le caramelle ai bambini: non sappiamo più come dirvi che ci state impedendo di lavorare, che state attuando – nel concreto delle giornate nei laboratori – del mobbing. Con questo taglio non possiamo più neanche rabberciar gli strumenti e rischiamo di andare nei luoghi di lavoro per parlare del caldo che fa. Per pochi spiccioli (ché di questo si tratta) il governo sta dando un segnale gravissimo.
A guardar bene, c’è poi qualcosa di ancora più grave e neanche nascosto: è nel “Documento di programmazione economico-finanziaria”, cornice di legislatura di un progetto che - se non si interviene “subitissimo”- ratificherà lo smantellamento e la decadenza. E’ lì che si mostra che potrebbe non finir qui, che lacrime e sangue rischiano di esser pagate sempre dai soliti noti, sempre per gli stessi scomposti, se non corporativi o superati, obiettivi; che non si tratta solo di stringer la cinghia, ma che si è scelto di risanare senza sviluppo. Questo significa, e persino dopo aver preso atto del basso livello di investimenti in ricerca, mostrarci – come si fa nel documento - sempre la stessa coperta: che ormai, tra l’altro, è frusta e sdrucita. Si scrive, infatti, che sarebbe “auspicabile” aumentare la dotazione finanziaria per la ricerca e le università: ma non è necessario, non è indispensabile, non è la priorità per il Paese e l’unico modo per dargli un futuro. I soldi si troveranno, invece, con la “competizione tra le sedi” e la creazione di un “sistema di incentivi che premi il merito e la qualità”. Insomma: vedetevela voi, almeno di qui al 2011.
Che significa tutto questo? Cosa, oltre alla sacrosanta indignazione dei rettori e pure del Ministro Mussi, lasciato col cerino in mano nelle stanze di Palazzo Chigi e che rischia ora – poveretto - non solo i ceffoni dei robusti tassisti romani ma pure i nostri, forse più vigorosi?
Significa, banalmente, che si è scelto di svuotare il mare con un bicchiere. Che si vuol (tentare di) risanare, prima di mettersi sulla strada dello sviluppo. Sorge il dubbio che tutto ciò afferisca al periodo ipotetico dell’impossibilità. O dell’irrealtà. Che si stia scambiando la direzione da prendere.
Vero è che qualcuno, un po’ di tempo fa, tentò di buscare il levante andando a ponente: e ci riuscì pure. Ma è cosa rara. Possibile, comunque, che qualcosa ci sfugga. Ma spiegateci, allora, come si possa massimizzare l’utilità delle risorse e condurle a un andamento razionale, di crescita e non solo di rigore, deprimendole. Ché la ricerca è una delle poche risorse che ci sono rimaste e questi tagli, questo indirizzo complessivo sono veleni letali e – considerata la situazione - a rapido effetto.
Vero anche, come diceva il buon Galilei, che la scienza (dunque, anche l’economia) non può procedere senza “diffalcar gli impedimenti della materia”: ma qui la tara ce l’hanno già fatta le tante Bande Bassotti degli ultimi cinque (quindici? venti?) anni. E noi non ci sentiamo comunque la tara, e tantomeno un impedimento: possiamo, viceversa, esser la polpa del futuro.
Insomma, permetteteci qualche dubbio su un risanamento che così non finirà davvero mai, sulla sensazione del furto delle caramelle. Ci sorge il dubbio che non ci siamo capiti bene.
Vi abbiamo dato tante speranze: ci siamo ritrovati un programma che sembra un brodo primordiale o parole al vento e, di certo, ben 102 sottosegretari; invece di un incremento che ci porti al 2% del PIL, constatiamo un decremento che promette una (de)crescita nei fatti esponenziale; in generale, non c’è il tempo di mettere una toppa su una falla, che se ne aprono almeno altre tre. Così non si può proprio andare avanti.
E, comunque, ditecelo: perché siamo stanchi di chieder l’elemosina e in America (ma ormai anche in India) ci pagano di più e – soprattutto – ci permettono di lavorare. Ditecelo, e in fretta: mortificati, e prossimi alla disillusione, abbiamo già le valigie pronte.
* Ricercatrice

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