Ancora sul valore legale del titolo di studio
Giorgio Pastore
Antonio Gurrado ci riprova sul Foglio. Dopo l’articolo della fine dello scorso anno “La scuola che Renzi non vede ‚ Contro il mito del posto pubblico. Inchiesta sui (folli) criteri di assunzione nelle università italiane.” , di cui si era già occupato ROARS, adesso riprende l’attacco contro il valore legale del titolo di studio. Difficile non chiedersi se si tratta di una ripresa di interesse personale o se si sia accollato il ruolo di sherpa per una nuova campagna autunnale su questo tema così caro ai vertici confindustriali e quindi al Governo.
Sempre sul Foglio, il 16/9, Gurrado firma un nuovo articolo “Abolire il valore legale del titolo di studio deve essere una battaglia di sinistra” in cui ritorna sulla questione. In verità non sembra che abbia trovato nuovi argomenti a sostegno della tesi, al di là di una non meglio identificata necessità di “riformare l’ istruzione con la dinamite”, senza peraltro neanche accennare a scrivere cosa per lui non funziona nel sistema attuale, e perché. Insomma, di analisi seria non c’è traccia. L’ articolo si limita a riportare alcuni fatti (la derivazione del “valore legale” dalla richiesta di un titolo di studio per l’ esercizio delle professioni regolamentate o per l’ accesso a determinate posizioni della Pubblica Amministrazione), l’esistenza di uno studio dettagliato commissionato dal Senato e il risultato della consultazione on-line promossa dal Governo Monti, finita con una nettissima vittoria di pareri contrari all’ abolizione, e omettendo altre informazioni. Per esempio il documento conclusivo del lungo lavoro di studio ed audizioni della Commissione Cultura del Senato, nelle cui conclusioni veniva detto inequivocabilmente che al momento non è adottabile l’abolizione. E questo sulla base dell’ analisi dei fatti, e non di paraocchi ideologici: il punto 10 delle conclusioni riportava:
“Queste considerazioni portano a ritenere che adottare oggi nel nostro Paese l’abolizione del valore legale della laurea presenterebbe, a fronte dei benefici conseguenti alla liberalizzazione del sistema universitario e alla piena autonomia delle università, vari cospicui aspetti negativi, complessivamente prevalenti [sottolineatura non nel testo]: le indubbie difficoltà della realizzazione legislativa, una tempistica non congrua rispetto al recentissimo avvio dell’ANVUR, una non favorevole accettazione da parte di sindacati e ordini professionali, ma soprattutto da parte degli studenti e delle famiglie, una probabile penalizzazione delle università territorialmente svantaggiate, la probabile insorgenza di maggiori difficoltà in ordine alla fruizione di una formazione universitaria di alta qualità per i giovani residenti nelle regioni del Mezzogiorno, un probabile aumento dei costi universitari a carico degli studenti, una maggiore difficoltà di garantire il diritto allo studio degli studenti capaci e meritevoli ma sprovvisti di mezzi. A quest’ultimo riguardo si ribadisce la fondamentale importanza dell’obiettivo costituzionale di garantire a tutti nostri giovani pari opportunità nell’accesso anche ai più alti livelli della formazione [anche questa sottolineatura non presente nel testo originale]: la qualità non può essere privilegio di pochi. Questo principio di uguaglianza ispira profondamente la nostra Costituzione ed è il presupposto di base del metodo meritocratico.”
Sempre la Commissione del Senato concludeva con un’ apertura all’ abolizione, *ma solo dopo la garanzia di alcuni prerequisiti*, tra cui “mettere a disposizione maggiori risorse per la realizzazione piena del diritto allo studio”.
Sarebbe bello sapere se secondo Gurrado è cambiato qualcosa da quando sono state scritte quelle conclusioni ad oggi.
Di tutto questo approfondimento nell’ articolo di Gurrado non c’è traccia. Invece vengono copi-incollate senza nessuna analisi frasi come quella di Andrea Gavosto (Fondazione Agnelli) secondo cui ” il valore legale contrasta col riconoscimento delle competenze dei singoli”. Affermazione decisamente debole nel voler forzare una alternativa con esclusione tra garanzia dell’ aver seguito una formazione curricolare i cui requisiti minimi sono garantiti dallo Stato e le competenze ed abilità individuali. Ci si potrebbe chiedere quanto tempo fa Gavosto, peraltro anche membro della Commissione Cultura di Confindustria, abbia partecipato ad un concorso o una selezione che richiedesse un titolo di studio per giustificare affermazioni del genere. Altrettanto non dimostrata resta anche l’affermazione di Gurrado secondo cui la UE riterrebbe poco qualificante la struttura del 3+2 “perché richiede ciclo unico per le professioni riconosciute uniformemente”. Sarebbe bello poter avere l’indicazione di un documento ufficiale della UE che giustifichi tale affermazione.
La conclusione dell’articolo di Gurrado è poi un crescendo imbarazzante. I partecipanti al sondaggio on-line del Governo sul titolo di studio vengono classificati molto gentilmente come “popolo bue”, probabilmente perché non allineati sulle idee di Gurrado e Confindustria. Il governo di sinistra viene esortato a “non dare niente per insindacabile e mettere in discussione il valore legale senza i tentennamenti dell’ ultimo ventennio”. Per culminare con la domanda “se sia ancora utile oggi l’obbligo scolastico”. Domanda che lascia sbigottiti, conoscendo i problemi di deficit di formazione a tutti i livelli nel nostro Paese (dall’essere fanalino di coda tra i paesi OCSE per percentuale di laureati nella fascia di popolazione attiva, alla scarsissima presenza di laureati nelle posizioni dirigenziali dell’ industria, al problema dell’ evasione dell’ obbligo scolastico, all’ analfabetismo di ritorno).
Sarà interessante vedere quali altri opinionisti seguiranno l’ esempio di Gurrado nelle prossime settimane.
L’ultima frase è stata scritta il giorno dopo l’uscita del Foglio. Detto fatto. All’articolo di Gurrado, risponde il controcanto di Michele Magno su Italia Oggi del 18/9. Altro articolo umorale e superficiale che di nuovo non prende nemmeno in considerazione fatti e approfondimenti, riutilizzando i soliti luoghi comuni ( “…battaglia contro nemici forti ed agguerriti: gruppi studenteschi [sic!], lobby dei docenti universitari [sic!], forze politiche di entrambi gli schieramenti.”, “… i nostri laureati sarebbero inservibili in un’azienda”, citando su questo Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia, evidentemente esperto di aziende e laureati ed esegeta di una visione americanofila dal punto di vista universitario. E quindi l’ immancabile citazione da Einaudi. Peccato che anche Michele Magno sia così occupato a scrivere sul valore legale del titolo di studio da non aver tempo per documentarsi su gli approfondimenti recenti!