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Ancora bastonate agli insegnanti

Francesca Puglisi - Responsabile scuola PD

11/10/2012
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l'Unità

PREMESSO CHE AD OGGI NON ABBIAMO ANCORA FOGLI SCRITTI SU CUI RAGIONARE per condividere le scelte del governo in tema di Legge di Stabilità e già non ci sembra un bel metodo abbiamo molto da temere per la scuola dalle voci che arrivano alle nostre orecchie. Il ministro Profumo racconterà che è una semplice «reingegnerizzazione dell’orario di lavoro» e gli editorialisti benpensanti diranno che era ora di mettere mano all’orario degli insegnanti: «Questi fannulloni scriverà qualcuno usando pressappoco le parole di Berlusconi stanno due mesi in vacanza, cosa che nessun altro lavoratore si può permettere». La verità e i numeri, invece, parlano di un nuovo taglio di circa 6.500 posti di lavoro e 183 milioni di euro nella scuola, ottenuti facendo lavorare più ore gli insegnanti di sostegno delle scuole secondarie e facendo utilizzare durante l’anno scolastico le ore estive a disposizione degli insegnanti. A contratto invariato. Ovviamente non saranno offerte più ore di sostegno agli studenti con disabilità, ma lo stesso insegnante dovrà seguire più studenti disabili, con una qualità che inevitabilmente rischia di abbassarsi. La situazione del sostegno in Italia, a differenza degli anni 90 quando il nostro Paese era considerato all’avanguardia, è in caduta libera e invece dell’integrazione e dell’inserimento scolastico, rischiamo di fare solo assistenza. Gli insegnanti italiani ricevono rispetto ai colleghi d’Europa lo stipendio più basso. Sono i docenti stessi a chiedere di poter fare a scuola quel lavoro ‘oscuro’, che nessuno oggi riconosce loro, di correzione dei compiti, di preparazione delle lezioni, di ricerca didattica. Vedendoselo conteggiato in busta paga. Serve un nuovo contratto nazionale, no un nuovo taglio di posti di lavoro nella scuola italiana. Ancora una volta il Governo dei professori decide di proseguire con i tagli lineari di tremontiana memoria e di andare a far cassa sulla pelle viva della scuola. È grazie alla quotidiana generosità degli insegnanti che la scuola pubblica sta ancora in piedi. In tre anni, invece di reperire risorse con tobin tax e patrimoniale, l’86% del risparmio della spesa statale è stato prodotto tagliando l’istruzione e 132.000 posti di lavoro. Esattamente l’opposto di quel che ci raccomanda l’Unione Europea che, nel documento strategico Europa 2020, per battere la crisi chiede ai Paesi membri di investire in una crescita intelligente ed inclusiva e all’Italia di aumentare il numero di laureati e di dimezzare il tasso della dispersione scolastica. Usando una metafora sgradevole tirata fuori di recente dal ministro Profumo a Genova, se «a questo Paese serve più bastone che carota», beh, possiamo dire che la scuola di carote ne ha sempre solo sentito parlare, ma in verità ha solo ricevuto tante bastonate. Ora siamo stanchi e diciamo basta. Se chi si è assunto l’onere di governare questa fase difficile del Paese, intende continuare a tagliare la scuola e a umiliare gli insegnanti invece di andare a scomodare chi non ha mai pagato il prezzo della crisi, chi non deve fare i conti per fare la spesa alla fine del mese, chi non rischia di non poter pagare le tasse universitarie ai figli, ce lo dica con chiarezza. Perché allora è il tempo del coraggio e delle scelte di priorità che una politica democratica e progressista può tornare a fare.


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