Amaldi “Pochi fondi alla ricerca il governo usi il Recovery Fund”
Non è una scelta, ma una necessità e il momento è opportuno: i cittadini hanno capito l’importanza degli scienziati
Luca Fraioli
«La Germania ogni anno investe 30 miliardi di euro in ricerca pubblica, la Francia tra 17 e 18, l’Italia appena 9. E i ricercatori tedeschi sono tre volte di più degli italiani, proprio perché hanno tre volte più soldi. È arrivato il momento di far fare al nostro Paese un salto di qualità». Ugo Amaldi, figlio di Edoardo, uno dei Ragazzi di Via Panisperna, ha dedicato metà della sua vita alla fisica di base, nei laboratori del Cern di Ginevra a caccia di particelle elementari, e l’altra metà alla fisica applicata, contribuendo a Pavia alla nascita del Centro di adroterapia per il trattamento dei tumori. Ma conosce anche molto bene il mondo della scuola italiana: «Da 35 anni scrivo con i miei collaboratori libri di testo, sui quali hanno studiato fisica due milioni di ragazzi». Forte di questa esperienza, Amaldi si è fatto promotore di una campagna perché in sei anni si ottenga il raddoppio del finanziamento pubblico alla ricerca.
«E non mi riferisco solo alle scienze naturali, ma anche a quelle umanistiche».
Professore, perché proprio ora?
«Perché si sta per elaborare il Piano nazionale per la Ricerca 2021-2027. E presto, per accedere al Recovery Fund, dovremo mettere nero su bianco come intendiamo fare le riforme. Secondo me un maggior investimento in ricerca è una riforma fondamentale: mentre si rammenda l’Italia del presente dobbiamo anche preoccuparci di cosa accadrà in futuro. Stiamo stanziando soldi per far tornare i nostri figli e nipoti a scuola in sicurezza dopo il Covid, ma l’1% dei fondi va investito sul lungo termine, per dare a quegli stessi ragazzi una possibilità tra dieci anni».
L’opinione pubblica italiana capirebbe questa scelta?
«Non è una scelta, ma una necessità e il momento è opportuno: i cittadini hanno capito l’importanza degli scienziati e la loro alfabetizzazione scientifica sta crescendo. Poi c’è un altro argomento. Ogni investimento nella ricerca è un investimento sulle donne: in Italia rappresentano quasi il 50% di chi fa ricerca pubblica, in Francia e Germania sono al 35%».
Cosa propone in concreto?
«L’Italia spende per la ricerca pubblica lo 0,5% del Pil, mentre la Germania è intorno all’1%: propongo di aggiungere subito ai 9 miliardi scarsi di oggi altri 1,5 miliardi, un aumento che ci farebbe avvicinare allo 0,6% del Pil. Nei cinque anni successivi si dovrebbe aumentare ancora, in modo da arrivare all’1,1%».
Tutto a carico dello Stato?
«Almeno in una prima fase sì. Perché se è vero che il pubblico fa la metà del suo dovere, le aziende italiane fanno anche meno della metà: il loro investimento in ricerca è dello 0,9% mentre in Germania è del 2,1%».
Come è nata l’idea di una campagna per sensibilizzare i cittadini e convincere la politica?
«Con il lockdown. Giuliano Amato, presidente alla Consulta del Cortile dei Gentili, durante una discussione in video ha chiesto a noi membri della Consulta di formulare proposte per il rilancio del Paese dopo l’emergenza. A casa, ho passato settimane a studiare la situazione italiana e degli altri Paesi».
Prima di accedere all’università e alla ricerca si studia sui banchi. Qual è lo stato di salute dei licei italiani?
«La maggioranza dei docenti sono bravi e impegnati, anche se negli ultimi anni il livello dell’istruzione è un po’ sceso, sia per i tagli alla scuola sia perché i giovani leggono meno. Tuttavia sono ottimista, ma bisogna pagare di più le persone che insegnano ai nostri figli: la società del futuro sarà basata molto più sulla conoscenza che sui prodotti materiali. E invece non si investe abbastanza sulla scuola, meno ancora che sulla sanità».
Il fisico Ugo Amaldi, figlio di Edoardo tra i ragazzi di via Panisperna, ha scritto manuali sui quali hanno studiato 2 milioni di giovani. Ha lavorato al Cern e insegnato a Milano e Firenze