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Alunni somari? L’insegnante torna tra i banchi.

Scuola, corsi obbligatori se gli studenti hanno pessimi test Invalsi

14/09/2013
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la Repubblica

SALVO INTRAVAIA


 

LA SOSTANZA della norma è che in quelle scuole dove i risultati dei test Invalsi sono “meno soddisfacenti”, cioè inferiori alla media nazionale, gli insegnanti si devono sottoporre a un programma di formazione obbligatoria che avrà il compito di aumentare le conoscenze e le competenze degli alunni, ma anche di incrementare le competenze di gestione, di programmazione e informatiche dei docenti. Soprattutto quelli che lavorano in particolari contesti come le zone a rischio o a forte concentrazione di immigrati. Il tutto, probabilmente, senza un soldo di retribuzione e non si sa neppure per quante ore pomeridiane di lavoro aggiuntivo. L’unica cosa che si sa è che il governo ha stanziato 10 milioni di euro per il 2014.
Ma dov’è che i risultati dei test Invalsi sono più deludenti? Basta dare un’occhiata al report dell’istituto di Frascati pubblicato pochi mesi fa per rendersi conto che è nel meridione d’Italia che scolari e studenti arrancano maggiormente. Ogni anno, il test Invalsi misura le competenze in Italiano e Matematica degli alunni di seconda e quinta elementare,
prima e terza media e secondo anno delle superiori. I due fascicoli proposti agli alunni italiani contengono domande a risposta multipla o aperta, grafici da interpretare, frasi da completare e altri quesiti per saggiare il livello raggiunto dagli alunni e fare dei confronti tra le diverse aree del Paese. In Sicilia, con una media nazionale a 200 punti, gli studenti di terza media racimolano in Italiano soltanto 186 punti. Punti che diventano addirittura 181 in Matematica per i ragazzini che frequentano le scuole della Calabria. Ma è al secondo anno delle superiori che il divario Nord-Sud diventa evidente. Tra i 183 punti in Italiano degli adolescenti siciliani e i 214 dei compagni lombardi ci sono ben 31 punti di differenza che salgono ancora se si passa alle competenze in Matematica, dove gli studenti della provincia di Trento riescono ad accumulare ben 226 punti che precipitano a 178 se si prendono in considerazione i quindicenni sardi: ben 48 punti di differenza. Un gap fra regioni settentrionali e meridionali che permane anche nelle altre classi del monitoraggio. E che riguarda anche gli alunni delle periferie delle grandi città: Roma, Milano, Napoli, Palermo. Ma che secondo i sindacati non dipende dalla preparazione dei docenti. «Sgombriamo subito il terreno — dichiara Francesco Scrima, leader della Cisl Scuola — da possibili equivoci: non sta né in cielo né in terra che si possa scaricare sugli insegnanti ogni colpa
per risultati scolastici insoddisfacenti, quando è fin troppo evidente che il peso determinante è delle condizioni di contesto. Chi spende il suo lavoro nelle aree di più acuta emergenza sociale non merita
di essere fatto oggetto di banalizzazioni di questa portata». Addirittura incredulo il commento di Massimo Di Menna, a capo della Uil scuola: «Una formazione obbligatoria, decisa per decreto, senza specificare
le modalità, legata agli esiti delle prove Invalsi: ma stiamo scherzando?». «E poi — continua Di Menna — per quante ore? 20, 40, 200. E chi decide? In ogni caso, ricordiamo al governo che decidere in
materia di lavoro per decreto, e non per contratto, non porta lontano». Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi, vede invece di buon occhio il provvedimento: «Sono convinto che
l’amministrazione debba farsi carico delle situazioni di disagio e minore successo scolastico e i finanziamenti per la formazione dei docenti vanno proprio in questa direzione».


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