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Alla ricerca della leadership educativa (perduta?)

di Giancarlo Cerini

26/02/2012
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ScuolaOggi

 

 

Oggi (24 febbraio) a Firenze ero quasi a annichilito dai bellissimi affreschi seicenteschi di Luca Giordano, nel prestigioso Palazzo Medici-Riccardi, dove l’Andis ha collocato un affollato seminario sul tema del “governo della scuola”. Al centro della riflessione – guidata dal coordinatore dell’Andis Toscana, Maurizio Monti - il nuovo profilo della dirigenza scolastica, alla luce delle turbolenze del dimensionamento, della verticalizzazione, dei recenti provvedimenti sulle liberalizzazioni.

 

Nel mio intervento ho ricordato che gli ultimi provvedimenti finanziari (legge 111/2011 e legge 183/2011) stanno determinando profondi rivolgimenti nel paesaggio educativo (nuovi parametri dimensionali, verticalizzazione “forzata”, ruolo dei dirigenti, ecc.)[1], senza che ci siano stati il tempo e il modo per capirne la “ratio” e valutarne l’incidenza (positiva o negativa) nella vita della scuola. Occorre mettere al primo posto non i numeri (400, 600, 1000…), ma le condizioni di funzionamento di una buona scuola: le regole della governance interna ed esterna, le figure intermedie di coordinamento, il curricolo verticale e gli ambienti di apprendimento, le caratteristiche del lavoro insegnante (in quantità e qualità). Quando si procede al dimensionamento occorre avere in mente un’idea di scuola come organismo vitale, con una sua identità, con un rapporto positivo con il territorio, la capacità di far crescere le professionalità. Il “core business” del dirigente sta nel prendersi cura delle persone che “fanno” la scuola e la nascita di tanti istituti comprensivi è il banco di prova di questa nuova visione della dirigenza, non tutta spiegata dal decreto “Brunetta” (D.lgs. 150/2009).

 

L’assessore provinciale Giovanni Di Fede non ha nascosto le sue preoccupazioni per il mancato investimento verso la scuola da parte del nostro paese (ed anche, per ora, del nuovo governo tecnico). La scuola non riesce a fare “capire” le sue ragioni, e non solo dal Ministero dell’Economia. Il rischio è che misure interessanti, recentemente assunte (v. Decreto Legge 5/2012, artt. 50-53), come l’organico funzionale di istituto e di rete, l’autonomia potenziata, l’ammodernamento dell’edilizia, restino generose petizioni di principio. Occorre una maggiore intransigenza della politica, ma anche dei dirigenti scolastici nel rivendicare il ruolo fondamentale dell’istruzione.

 

Marco Orsi, coordinatore scientifico della “Rete Senza Zaino”[2], ha preso avvio dal movimento delle small schools (edifici che accolgono dai 200 ai 400 alunni), che sono in grado di produrre buoni apprendimenti, relazioni positive, conoscenza diretta e coesione tra gli adulti e tra i bambini. Meglio dunque valorizzare le piccole scuole (cioè i singoli plessi), connesse nella rete dell’istituto autonomo, anche di fronte alle grandi dimensioni. A seguito del dimensionamento, il Dirigente scolastico italiano rischia di trasformarsi nel dirigente amministrativo di distretto (di una rete di scuole), piuttosto che essere il direttore di scuola (inteso come leader di un plesso), capace di capire cosa avviene in classe, ambiente che in Italia rimane una vera e propria scatola nera. E’ necessario dunque pensare a nuove figure intermedie, in particolare a dei veri e propri coordinatori didattici di plesso.

 

Come è cambiato il ruolo del dirigente – si è chiesto – Antonio Valentino, di fronte al rapido avvicendarsi di norme, provvedimenti, spesso contraddittori. Il ruolo di garanzia “legale” del dirigente (in questa ottica funzionario della Repubblica e della Costituzione), deve intrecciarsi con la funzione di leadership, che non può essere giocata su una generica promozione delle dinamiche relazionali, ma essere centrata sull’apprendimento, dunque qualificarsi come leadership diffusa, inclusiva, plurale[3]. Il riferimento è al concetto di apprendimento continuo, da parte dell’organizzazione, degli insegnanti, del dirigente. Una dirigenza “efficace” non sceglie la linea monocratica, verticale, unilaterale, ma promuove partecipazione, comunità, responsabilità. Lo stesso dimensionamento, per cui Valentino preferisce uno standard consistente (però contenuto nella fascia 800-1200 allievi, come prevedono ad esempio le “Linee Guida della Regione Emilia-Romagna) deve essere visto come una risorsa per una scuola efficace[4].

 

Dal Convegno di Firenze è emerso un segnale preciso. I recenti “avvenimenti” politici e finanziari hanno messo a dura prova la scuola, ed hanno prefigurato cambiamenti di segno ancora incerto. Si tratta di cogliere questa occasione per ripensare alle condizioni di una scuola dell’autonomia “responsabile”, che valorizzi il ruolo strategico della dirigenza[5] in una ottica di cooperazione tra tutti i soggetti interni ed esterni.

 

[1] G.Cerini, Improvvisamente… l’estate scorsa in “Rivista dell’istruzione”, n. 6, novembre-dicembre 2011, Maggioli.

[2] M.Orsi, A scuola senza zaino. Il metodo del curricolo globale per una scuola comunità, Erickson, Trento, 2006.

[3] G.Domenici, G.Moretti (a cura di), Leadership educativa e autonomia scolastica, Armando, Roma, 2011.

[4] Sul dimensionamento vedi i due interventi di F.De Anna, Piccolo/grande è bello e di P.D’Avolio, Dimensionamento: una storia senza fine? Entrambi nel numero monografico di “Rivista dell’istruzione”, dedicato agli istituti comprensivi (n. 6/2011).

[5] G.Cerini (a cura di), Il nuovo dirigente scolastico. Tra leadership e management, Maggioli, Rimini, 2010

 

 

 

 


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