Agenda digitale, Madia: ora una rivoluzione educativa
La ministra: entro 15 giorni la nomina del direttore dell'Agid. Violante: rendere pubblici tutti i dati
~~Che la Pubblica amministrazione italiana sia rimasta indietro nella famigerata digitalizzazione, che ogni governo abbia annunciato a vuoto questa rivoluzione, non è una novità. Ma la ministra Marianna Madia non si aspettava che la Pa fosse rimasta così indietro, con le difficoltà persino di capire quante sono le società partecipate, o con quei compartimenti stagni nei quali rimane bloccato il cittadino. Comunque oggi, dopo essere stata «bollinata» dalla Ragioneria di Stato che quindi dovrebbe dare il via libera accertando che ci sono le dovute coperture, la riforma della Pa presentata da Madia dovrebbe andare al Quirinale per la firma del Capo dello Stato. La ministra Madia ha parlato ieri concludendo il convegno «Rivoluzione digitale: pronti? Via!» organizzato a Montecitorio da Italia decide, la fondazione presieduta da Luciano Violante, al quale hanno partecipato anche la ministra dell'Istruzione, Stefania Giannini e molti esperti del settore (Telecom, Google, Vodafone, Poste Italiane, Mibac, Miur, Mit, ItCore Spa, Nuvola Verde, Società Geografica Italiana) con una relazione introduttiva di Mariangela Di Giandomenico. Una novità annunciata dalla ministra Madia sarà, nel 2015, l'introduzione di un unico Pin del cittadino, un solo codice personale con il quale entrare, cercare, conoscere la propria posizione sia per la scuola che per la sanità, piuttosto che perdersi nei labirinti della Pa. È stata creata l'anagrafe digitale nazionale della popolazione residente e, entro 15 giorni, sarà nominato il direttore per l'Agenzia per l'Italia digitale, anche in vista del semestre europeo. L'ex presidente della Camera Violante, in apertura del convegno, ha bandito il «lamento, come alibi per conservare l'esistente», e ha invece invitato a rendere utilizzabili tutti i dati pubblici, per «sostituire la cultura pubblica del segreto della pubblica amministrazione con la cultura pubblica della trasparenza» della Pa. Perché i dati «sono della Repubblica, cioè delle istituzioni e dei cittadini», spiega Violante, come indica anche una direttiva europea adottata il 26 giugno 2013, «che rende chiaro l'obbligo di tutti gli Stati della Ue di rendere riutilizzabili tutti i dati pubblici, ad eccezione di quelli il cui accesso sia limitato o escluso».
In questo senso Violante ha chiesto alla ministra dell'Istruzione di rendere pubblici «i dati Invalsi perché siano a disposizione delle famiglie» così da poter scegliere più facilmente le scuole o le università. Stefania Giannini ha risposto che «i dati Invalsi, come quelli Anvur l'Agen- zia nazionale di valutazione del sistema dell'università e della ricerca sono già pubblici», spiegando che non sono gli unici dati utili per valutare una scuola e per sceglierla. La ministra si propone di fare una «rivoluzione educativa» sul digitale, a partire dalla «formazione permanente per i docenti anche rivedendo il contratto», con più investimenti sul territorio, ancora troppo «a macchia di leopardo» nell'evoluzione digitale (la Lombardia è in testa).
Giannini, però, sull'obiettivo richiesto da Italiadecide risponde che «sarei più cauta», ma accoglie la proposta «perché scuola aperta significa anche questo». Marianna Madia ha spiegato che digitalizzare la Pa significa «semplificare» ed evitare duplicazioni, non solo trasformare la carta in pixel. Quindi nella Pa si deve «passare dalla cultura del documento alla cultura del dato che deve essere disponibile a cittadini e imprese», unificando il più possibile le banche dati. Per il governo la semplificazione della Pa è «un pilastro», quindi prevede di «unificare i database del Mef e del Ministero della Pa sulle società partecipate per avere contezza delle stesse e avviare un processo di consolidamento all'insegna dell'efficienza». Il principio illustrato da Madia è quello di limitare le moltiplicazioni: «Basta super esperti di nicchia sulla materia, serve una squadra di dirigenti capace di affrontare i problemi concreti. Digitalizzare la Pa non significa scrivere al computer quello che scrivevamo a macchina. Se non semplifichiamo, trasferiamo le complicazioni dalla carta alla Rete». Perché Open data, la diffusione digitale dei dati della pubblica amministrazione si realizza solo se salta il criterio della proprietà dei dati che non sono di questa o quell'amministrazione, ma come diceva Violante, della Repubblica. Quindi non solo trasparenza dei dati, ma «trasparenza delle procedure». Atteso per oggi l'ok della Ragioneria dello Stato, poi la riforma arriverà al Quirinale per la firma «Basta super esperti di nicchia, serve una squadra di dirigenti capace di affrontare i problemi»