Affari Italiani: La coscienza pubblica e l'emergenza educativa
Luciano Nicastro
di Luciano Nicastro
Filosofo e sociologo
I riflettori sociali, culturali e mass-mediatici non si sono ancora spenti sulla Scuola pubblica del nostro Paese per la sequela di vicende orribili che si sono verificati a catena anche in quest’ultimo anno scolastico che ci apprestiamo a chiudere. I fatti sono dentro di noi come una spina nel cuore. Dall’asilo degli orrori di Rignano Flaminio con la pedo-pornografia, al suicidio del giovane filippino Matteo, figlio di immigrati, alla spavalderia del bullismo che ha superato ogni confine del lecito “goliardico” ed ha sporcato la qualità del rapporto alunni-docenti e quella tra famiglia e scuola. La coscienza nazionale è ancora scossa, indignata e preoccupata del salto di qualità “in negativo” della Scuola Pubblica che è attraversata non più solo da problemi di ordinario disagio giovanile o da difficoltà di vera e sana modernizzazione, ma da una acuta e nuova “emergenza educativa” di vasta e diffusa dimensione nazionale. La prima vera questione della coscienza pubblica è quindi quella di ritrovare, oltre il muro della indignazione e del pianto, un percorso “rigoroso e concreto” di tipo culturale e politico, spirituale e pedagogico per una svolta e una ripresa di cammino “identitario e maieutico”.
Se non si pone mano alla soluzione di questa questione “calda” con una grande mobilitazione nazionale, politica e culturale, spirituale e morale, la Scuola Pubblica rischia se non l’estinzione certamente una grave regressione della sua funzione istituzionale sul piano della formazione “civile” del popolo e della selezione virtuosa delle sue classi dirigenti. Lo Spirito e la Politica devono investire di più sulla educazione dei giovani e del popolo in termini di proposte valoriali, di più consistenti risorse e di più qualificato capitale umano e professionale. Siamo al bivio. Non possiamo stare al passo. E’ vero che gestire “un sistema complesso”, come la Scuola Pubblica italiana (statale e paritaria), è una impresa ardua non solo sul piano organizzativo ma di questi tempi soprattutto su quello della coerenza “educativa” e della qualità pedagogico-didattica e della ricerca socio-culturale. Non basta più il facile ed epidermico riformismo di facciata, saccente e superficiale dall’alto fatto di improvvisazioni “per tentativi ed errori”, ci vuole uno sforzo veramente nazionale, di lungo e profondo respiro, seriamente bipartisan sul piano politico, più impegnato sul piano collettivo e spirituale ad “ascoltare le indicazioni e le sensibilità dei mondi vitali”.
In questo caso anche i cattolici non si possono né si devono tirar fuori dalle responsabilità pubbliche del momento di fronte ad una così grave emergenza educativa. Anzi devono sentirsi coinvolti in una strategia culturale e politica di salvezza della Scuola Pubblica senza limitarsi a difendere “l’isola” della scuola privata, che è pur necessaria, come segno visibile di libertà democratica ed esercizio di un diritto educativo primario della famiglia e della società ma che resta però un fatto non alternativo ma significativo, di tipo integrativo a livello di presenza in termini di eccellenza educativa e didattica. Non possono i cattolici appiattirsi a difendere come ultima frontiera la Scuola Cattolica e per così dire “libera” ignorando il degrado di quella statale. Il silenzio dei cattolici e “la distrazione” dei laici sono colpevoli omissioni. Ci sono nel Paese 57.500 scuole, di cui solo 16 mila sono “private”, con 835 mila docenti e 8.900.000 studenti (dalla Materna alle Superiori); con 8341 dirigenti e 248 mila operatori ATA. A fronte di un bilancio “secco” di 41 miliardi di euro (cfr. Enrico Lenzi, Intervista al Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, in Avvenire, 26 aprile 2007, p. 6).
Da tutto quello che continua ad accadere nella nostra Scuola “in tempestosa navigazione” nessuno può tirarsi fuori “Sognando la California” ma è arrivato il momento di ricostruire dai territori a livello coscienziale e sociale il primato culturale, morale e civile, economico e politico della Scuola pubblica, statale e non. Questa è la funzione etica e la responsabilità politica dei laici e dei cattolici di questo Paese nell’attuale momento storico in cui bisogna “seminare” una nuova libertà come responsabilità, coniugando diritti e doveri, “ascoltando di più i giovani” perché non si intruppino “nel branco” e coinvolgendo di più le loro famiglie. Bisogna inoltre deliberare un serio e visibile segno di riconoscimento sociale, economico e politico a favore della professionalità dei docenti-educatori che devono ritornare ad essere non forza lavoro “qualunque” che sbarca il lunario e attende ad una funzione impiegatizia “ad ore” per il “parcheggio degli alunni”, ma operatori culturali qualificati che trasmettono il testimone dei valori costituzionali. Una missione civile, culturale, pedagogica e politica, così alta, ha un che di religioso e sacro anche per i laici e da essa non si può derogare per il futuro civile dell’Italia.
Il Ministro Fioroni bene ha fatto a rilanciare la centralità dello studente-persona, “un essere unico e irripetibile” ed ha ribadito che la Scuola concorre alla sua educazione attraverso il docente-persona ed una famiglia “corresponsabile” e più protagonista. Egli ha sottolineato che tutti “dobbiamo essere più responsabili dell’educazione dei nostri figli. La Scuola ha le sue colpe ma non può diventare il capro espiatorio. Non si può delegare tutto, mentre i genitori si comportano come i sindacalisti dei propri figli” (cfr. Avvenire 26 aprile 2007, p. 6).
Oggi la Scuola deve educare “spiriti più forti”mentre la gioventù è più fragile e più debole. Serve non dimenticare la saggia notazione di Fëdor Dostoevskij secondo cui “per uno spirito debole la libertà non ha senso”. Non si tratta di auspicare il ritorno all’autoritarismo ma alla autorità che deve promuovere nuova libertà e nuova coesione nei giovani impegnandoli a partecipare e a scommettersi sui valori della legalità, della solidarietà e della corresponsabilità civile e morale. Per evitare che questo appello resti “sulla sabbia” o scritto “sulle acque agitate” bisogna tradurlo in scelte culturali e di politica scolastiche “concrete”. Ad esempio non ha più senso la vecchia gestione sociale della scuola introdotta negli anni ’70. Bisogna passare dalla attuale e inutile prassi rituale e burocratica alla vera cogestione “sociale” non della Istituzione, simulando la democrazia di base, ma del Progetto educativo della scuola con i genitori e gli alunni in forme opportune e specifiche lasciando alla professionalità dei docenti l’ambito didattico dell’insegnamento e della valutazione delle discipline ed attribuendo a tutti la meta educativa dello sviluppo della personalità democratica, libera e responsabile.
Con “la gestione sociale del Progetto educativo” si entra nel merito della formazione e della qualità dell’impegno e dei doveri degli studenti mentre la valutazione “esclusiva” dei docenti va restituita oltre la normativa vigente agli organismi dei docenti e al responsabile dell’Istituto. Si educa anche attraverso l’istruzione ma non senza la socializzazione. Bisogna quindi abbandonare atteggiamenti e indulgenze deresponsabilizzanti sul piano educativo rispettando competenze e confini di ruolo senza invasioni di campo e senza mortificare l’impegno e la partecipazione dei coprotagonisti del successo educativo che sono i docenti, i genitori e gli alunni. Il progetto educativo non è più solo un piano burocratico cartaceo di inizio d’anno, ma un impegno formale e collettivo “vincolante” con i due momenti “forti” della inaugurazione dell’anno scolastico come programmazione e della valutazione finale come bilancio morale e sociale dei risultati conseguiti.
I laici e i cattolici non possono ancora attardarsi sulle questioni poste dalla “laicité” alla francese ma si devono impegnare di più nel merito e devono includere valori, simboli e sensibilità nel “progetto educativo” svolgendo in modo “dolce e capillare” un ruolo educativo più democratico, alto e maturo, più attivo e propositivo e meno apologetico o sindacale e politico di parte. Non serve la neutralità, ma è necessaria la buona dialetticità. E’ il momento dell’agorà “educativo” interno agli Istituti. C’è spazio di lavoro per tutti per una scuola “migliore” dell’attuale che è pericolosamente alla deriva ai vari livelli anche e soprattutto territoriali nel Sud del Paese.
In un’epoca di cinici e di indifferenti, mentre la famiglia fondata sul matrimonio cerca di essere l’ultima fonte “sicura” dell’amore e del welfare, la Chiesa lo spazio della preghiera, della fraternità e del perdono, il lavoro la fonte della dignità e della creatività, la Scuola Pubblica non può non rivendicare l’area dei valori “comuni”, dell’educazione alla legalità e alla libertà come disciplina e come responsabilità civile che nasce dalla fonte del sapere e della ricerca, dall’amore dello studio e dal dovere dell’istruzione come via principale della propria vocazione ad essere il segno dell’uomo, l’impronta e il sigillo della civiltà e del progresso nel corso attuale della storia del nostro Paese