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Afam, post lockdown: tra strutture edilizie e indici di affollamento

Antonio Bisaccia

28/04/2020
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Il Sole 24 Ore

«La vita è iniziata quando le linee hanno cominciato ad emergere e a sfuggire al monopolio delle bolle. Là dove la bolla attesta il principio di territorializzazione, la linea conferma il principio contrario: la deterritorializzazione». Così l'antropologo Tim Ingold, in “Siamo linee”, evidenzia la differenza tra linee e bolle il cui intreccio serve a creare vita di comunità. La combinazione tra le bolle che hanno volume, massa e densità e le linee, che danno efficacia materica alle plurali traiettorie degli spostamenti, forma un soggetto sociale che testimonia ogni forma di relazione nel movimento.

Le relazioni, ante Covid-19 e ante App “Immuni”, dei corpi degli studenti – all'interno dello spazio delle strutture didattiche – vivevano dell'intreccio di mondi diversi, si nutrivano dei rimandi balistici dei tocchi, si consolavano con le pacche sulle spalle, si corroboravano con le strette di mano, si animavano all'ombra delle molteplici variabili che chiamiamo sfioramenti: e tutto, spesso, a pochi centimetri di distanza, ovvero a distanza-zero. Adesso non più.

Un nuovo tempo
Il Covid-19 ha, invece, inventato un nuovo tempo nella coniugazione dei verbi: il presente remoto, ovvero un presente appartato, distante, solitario. Un presente solingo, strumentale, transitorio e a più fasi, ormai incipienti. Del resto l'etimo di “fase” ha a che fare col mostrarsi e l'apparire, e niente è più appropriato del tentativo di entrare in questo destino a fasi, al fine di appropriarsi di ciò che ancora non si acclara: un quotidiano, nel nostro caso didattico, i cui contorni sono tutt'altro che definiti.

Il presente remoto è – come noto – utilizzato appieno nell'area della formazione didattica a distanza, anche nelle istituzioni Afam – con buoni risultati in termini percentuali – pur con le fisiologiche limitazioni che hanno mandato in sofferenza i laboratori. Il nuovo assetto docente-discente segue la logica del presente (in) remoto, in cui bisogna sottolineare che la “distanza” non è purtroppo una condizione neutra: nel viaggio telematico dei dati, affinché essi possano arrivare rocambolescamente a destinazione, si perdono – tra i bit – “pesi” importanti come linguaggio non verbale, dinamiche di relazione, tempi di reazione, concrezioni materiche e altro.

Essa modifica geneticamente, al di là dei (comunque necessari) dispositivi tecnologici, il cuore stesso del modello socratico della didattica, ovvero la contiguità. Il toccare insieme una materia, soprattutto nelle Accademie, è quasi un elemento catartico che attiva l'adrenalina della creatività e nutre la ricerca sui linguaggi artistici.

L'espressione “distanziamento sociale” – in questa prospettiva – è una sorta di ossimoro che risulta essere di difficile applicazione, soprattutto nelle istituzioni di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica. Il socius è un compagno, qualcuno da seguire e col quale si ha un qualche rapporto di dipendenza. Chiamiamolo allora “distanziamento anti-sociale”, è più corretto, più crudo, ma senza ambiguità.

Le Afam, come le Università, nella prima fase di questa pandemia virale che ha, purtroppo, rivoluzionato e riposizionato il nostro sentire e agire, hanno messo in gioco un'imponente lavoro per affrontare le difficoltà della formazione utilizzando la didattica a distanza. Anche se questa arriva a coprire il 90% delle istituzioni, bisogna dire che il cosiddetto digital divide infrastrutturale crea forti discontinuità a macchia di leopardo. Siamo lontani anni luce dalla cosiddetta Gigabit Society.

E sarà necessario uno sforzo immane per tentare, in tempi relativamente brevi, di colmare questo iato tra il paese iperconnesso e il paese ipoconnesso, dove tutti gli studenti devono tentare di raggiungere un medesimo approdo ma senza poter sfruttare i medesimi mezzi.
Problema tanto più grave quanto più questa condizione si protrarrà nel tempo. Nel caso in cui il digital divide non venisse accorciato, le distanze aumenteranno, col rischio di perdere per strada non solo una parte degli studenti ma anche quella parte di futuro legata alla qualità della formazione terziaria: in tal caso, non più didattica a distanza ma distanza dalla didattica.

Post lockdown, sicurezza, flessibilità
La prospettiva della ripartenza in due fasi (la prima, chiamata fase 2, da maggio ad agosto 2020) prevista in bozza dal ministro Manfredi, segue il principio della progressione della ripresa “in presenza” offrendo la possibilità alle istituzioni Afam, come quelle Universitarie, di «consentire le attività individuali, ovvero l'accesso agli studi, agli uffici ed ai laboratori da parte dei singoli, con eventuale presenza in piccoli gruppi adottando le misure di sicurezza» e di «minimizzare le attività collettive, consentendo solo quelle strettamente necessarie, comunque adottando le adeguate misure di sicurezza». Si limiteranno gli spostamenti dei pendolari a lunga percorrenza (sia studenti che docenti) consentendo, in questo caso, di seguire (o impartire) le lezioni in telepresenza.

La fase 3 (da settembre 2020 a gennaio 2021) dovrebbe consentire di decomprimere le limitazioni della fase 2 implementando le attività didattiche collettive e il graduale allentamento dello smart working per gli amministrativi.

Le parole d'ordine di queste disposizioni sono sicurezza e flessibilità, ma anche processo di dematerializzazione dei procedimenti amministrativi e «potenziamento delle infrastrutture digitali in termini di dotazione delle aule e di connettività della rete».

Questa impostazione, sicuramente condivisibile, non può che scontrarsi comunque con due ordini di problemi: il primo finanziario, il secondo strutturale. È ovvio che per poter potenziare le infrastrutture digitali siano necessarie misure economiche ad hoc, in quanto le Afam soffrono di un definanziamento storico che ha fatto crescere disparità di ogni tipo. Nonostante l'impegno delle istituzioni, senza misure ingenti risulta difficile fare piani e cronoprogrammi seri che riguardano lo sviluppo delle infrastrutture digitali.

È fin troppo ovvio, altresì, che l'architettura delle sedi si dovrà trasformare adattandosi alle nuove esigenze imposte dal Covid-19. Il necessario “distanziamento anti-sociale” costringe a ridisegnare – nell'immediato futuro – non solo gli spazi della didattica (e il riposizionamento funzionale delle attrezzature didattiche), che saranno sempre più investiti dall'onda digitale e sempre più destinati a una condizione operativa blended quindi ibrida, ma anche la parte amministrativa che dovrà – soprattutto nelle zone di front-office – prevedere nuovi format di offerta dei servizi, separazioni tra le scrivanie (anche con separatori in plexiglass), la piena disponibilità di sistemi di protezione individuale, protocolli di sicurezza per l'accesso agli uffic e altro.

L'edilizia e l'Afam
Altro problema serio è la pregressa situazione generale degli edifici che ospitano le Afam.
Molti di questi edifici storici sono strutture tutelate dalle soprintendenze e questo, a volte, complica anche gli interventi più logici e funzionali, allungando i tempi – a dismisura – degli eventuali interventi.

Ma la situazione viene da lontano ed è utile disegnare, in breve, la cornice in cui vivono gli edifici che sono votati alla didattica.
Il 2 agosto 2017 la VII Commissione permanente (cultura, scienza, istruzione) ha approvato un'indagine conoscitiva sull'edilizia scolastica in Italia. Documento molto informato e, insieme, allarmato.

In realtà l'indagine approvata era partita il 4 luglio 2013. Quindi ci sono voluti ben 4 anni per arrivare ad avere un quadro completo della situazione. Innumerevoli le audizioni con l'amministrazione Miur, con il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, e con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni ai massimi livelli. Lo scopo era molto ambizioso. Si trattava di (a) verificare lo stato dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica prevista da una legge del 1996 e praticamente mai attuata, (b) valutare le competenze e l'efficacia dei processi decisionali relativi all'edilizia scolastica, (c) prevedere procedure semplificate e straordinarie per intervenire sugli edifici, (d) individuare misure normative per gestire l'emergenza, (e) definire misure per costruire un modello di struttura scolastica come “Civic Center” in grado di valorizzare istanze sociali formative e culturali, (f) verifica degli interventi di ricostruzione in zone sismiche, (g) una serie articolata di controlli su stato di realizzazione di svariati interventi pregressi e in corso.

La situazione dell'edilizia scolastica, del resto, era tutt'altro che incoraggiante: circa 22 mila edifici scolastici su 42 mila non erano a norma e circa diecimila di essi avrebbero dovuto essere rasi al suolo. Le strutture Afam, in questo contesto, non si trovavano (e non si trovano) meglio, anche sotto il profilo della gestione. Dopo la legge 508/99 quelle istituzioni che erano “gestite” dalle Province hanno cominciato ad essere abbandonate al loro destino, creando non pochi problemi di gestione e manutenzione. Si sono persi – per la gestione ordinaria degli spazi – finanziamenti provinciali nell'ordine di circa 10 milioni di euro l'anno (in vent'anni si sono accumulate perdite per circa 200 milioni di euro). In alcuni casi si è arrivati alla fatiscenza delle strutture.

Di recente, un decreto interministeriale del 16 aprile 2018 ha stabilito le “Modalità di attuazione degli interventi di edilizia delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam)”. Tale decreto normava l'assegnazione di un contributo diretto alle Istituzioni, per un totale di 16.000.000 di euro relativa alla quota degli anni 2016, 2017, 2018 e 2019. Davvero molto poco per il numero delle istituzioni Afam. Inoltre si stabiliva, nel medesimo decreto, la possibilità di stipula di mutui, per una durata 26 anni, per complessivi di 4.000.000 di euro annui a decorrere dall'anno 2020.

Nel primo caso, si è concluso l'iter che ha lasciato fuori (almeno fino ad ora) ben 7 istituzioni su 28 presenti in graduatoria. In tutti i casi si tratta di opere necessarie per rendere sicuri e funzionali gli edifici, ovvero salvaguardare la vita stessa della didattica e quella degli studenti, ma alcuni criteri utilizzati dalla commissione hanno danneggiato le strutture medio-piccole per il solo fatto che sono piccole (ovvero uso – a volte –rigido di criteri muscolari, come il mero numero di allievi).

Nel caso dei mutui, invece, ancora si attende l'esito della procedura biblica (si spera con criteri più attinenti alla salvaguardia di tutte le istituzioni, a prescindere dal loro numero di iscritti: la sicurezza vale per tutti, anche per gli studenti iscritti in piccole istituzioni).
Tutto questo, ovviamente, non è sufficiente. E non lo è soprattutto alla luce della previsione della fase 2 e fase 3 e di tutte le fasi successive. Sarà infatti importante capire, ad esempio, come si può pensare il post lockdown alla luce degli indici di affollamento, soprattutto nei laboratori, in relazione alla tipologia di attività didattica svolta in presenza dalle istituzioni dell'Alta formazione artistica, coreutica e musicale. Affrontare le attività collettive minimizzando la compresenza degli allievi, o consentire anche a piccoli gruppi di frequentare i laboratori, comporta una gestione molto accurata in ordine alla sicurezza e all'utilizzo degli spazi. Per le lezioni teoriche il problema si pone meno e, anzi, in molti casi la didattica a distanza ne potenzia l'efficacia.

Indici di affollamento e Afam
Ma che tipo di normativa di riferimento abbiamo? Come affermato dall'Anvur nelle Linee guida per l'accreditamento di nuovi corsi di diploma accademico di II livello biennali Afam, approvate dal suo Consiglio direttivo il 26/02/2020, ci troviamo «(…) in assenza di normative specifiche sulla dimensione e sull'indice di affollamento dei locali e delle strutture didattiche per il settore Afam».

L'Afam è sempre andata al rimorchio delle normative riguardanti la “scuola”, almeno fino al 1999 (ma anche oltre). Le norme esistenti che contemplano un dimensionamento di massima degli edifici “scolastici” sono davvero poche. Rinveniamo una circolare (3625) del ministero dei Lavori pubblici del 26 marzo 1965 dal titolo “Istruzioni relative alla compilazione dei progetti per la costruzione di edifici scolastici destinati alle scuole medie”, che individua i valori degli indici di affollamento delle aule pari a 1,50 mq/studente nel caso di attività normali (aule per attività frontale).

C'è poi il Dm 18 dicembre 1975 dal titolo Norme tecniche aggiornate relative all'edilizia scolastica, ivi compresi gli indici di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica, da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica. Il Dm è comunque relativo alle sole scuole materne, primarie e secondarie e individua un indice generico di affollamento pari a 1,96 mq/studente.

La legge 23/1996 dal titolo Norme per l'edilizia scolastica, nel cui comma 3 dell'articolo 5 relativo alle norme tecniche è scritto: «In sede di prima applicazione possono essere assunti quali indici di riferimento quelli contenuti del decreto del ministro dei lavori pubblici 18/12/1975», cioè le stesse norme del Dm di vent'anni prima.

In ogni caso, le linee guida dell'Anvur sopra citate aggiungono in nota un ulteriore passaggio:
«... è possibile far riferimento a quanto riportato dalla bibliografia manualistica più accreditata sull'edilizia universitaria e dalle normative sull'edilizia scolastica: Zaffagnini, M. (a cura di) (1992), Manuale di progettazione edilizia, vol. 1. Tipologie e criteri di dimensionamento».

Si tratta perciò di un'indicazione, un suggerimento che invita a riferirsi a un manuale di progettazione sicuramente considerato una “Bibbia” dagli ingegneri edili, scritto comunque quasi trent'anni fa, e il cui volume 1 è rivolto in generale all'edilizia universitaria, che come noto ha esigenze spesso molto diverse dalle istituzioni Afam, soprattutto per quel che riguarda le specificità dei vari laboratori. Gli Indici pseudo normativi contenuti nel testo sopra citato contengono alcune indicazioni di massima.

Le superfici utili dei locali dipendono dall'indice di affollamento o indice dimensionale (mq/studente) considerato per ogni attività, riferito comunque ad una didattica frontale e laboratoriale universitaria. E questo ci consente di capire come tali indici siano, in parte, inadeguati se applicati alle specifiche esigenza dell'Afam.

Ma vediamo se ci possono essere punti di contatto. Se pensiamo alle aule per attività frontale possiamo affermare che in questo caso gli indici individuati per le università possono anche coincidere con quelle delle istituzioni Afam. Il Manuale di progettazione di edilizia universitaria fornisce un'indicazione delle soglie dimensionali minime e massime (per utente) al variare del numero di posti previsti per le aule destinate alle lezioni teorico-esercitative generali, che sono le seguenti: fino a 40 utenti da 1,65 a 2,16 mq a persona; fino a 60 utenti da 1,15 a 1,62 mq a persona; fino a 90 utenti da 0,98 a 1,50 mq a persona, e così via in proporzione.

Tali indici, alla luce delle condizioni epidemiologiche in corso, che dureranno certamente oltre la fase 2 e 3 del post lockdown previsto, sono ovviamente sottodimensionati. Andrebbero quantomeno triplicati (!) o, almeno, ridotte le presenze in maniera considerevole.
Stesso problema per le aule destinate alle conferenze. Gli indici di affollamento per le aule conferenze da 200 posti, consigliati dal Manuale, variano da 0,88 a 1,50 mq per utente e l'indice di 1,50 si abbassa sino a 0,88 con l'aumentare del numero degli utenti. Anche qui bisognerebbe alzare l'indice di tre-quattro volte per consentire un ampio margine di sicurezza.

Sono trattate a parte le cosiddette aule non attrezzate che, a seconda dei gruppi di fruizione, del tipo di attività che ospitano (seminari didattici, esercitazioni, esami, etc.) possono essere articolate in:
(a)aule da 6 posti, con superfici pari a circa 25 mq; (b) aule da 10 posti con superfici tra i 25 e 40 mq; (c) aule da 15 posti, con superfici pari a 40-50 mq, a seconda dei livelli previsti di arredabilità primaria (tavoli da 90x160 cm, o tavoli da 90x180 cm); (d) aule seminariali per gruppi di media dimensione (da 15 a 40 persone) e seminari-classe (40-80 persone).
Anche per queste aule sono indicate le soglie dimensionali minime e massime, al variare dei gruppi di fruizione: 6 utenti da 3,90 a 4,50 mq a persona; 10 utenti da 3,70 a 3,20 mq a persona, e così via con proporzioni adeguate.

Indici che al tempo del Covid-19 non sono utilizzabili e necessitano di un profondo e puntuale ripensamento ai fini della sicurezza.

Il paradosso Covid19 delle aule laboratoriali
Le cose peggiorano prendendo in considerazione le aule attrezzate per attività laboratoriali.
Il Manuale non tratta, ovviamente, della particolarità di molti laboratori Afam, nello specifico delle Accademie di Belle arti, dei Conservatori, degli Isia, come non si parla dei “laboratori” di danza e arte drammatica, che necessitano di maggiori spazi operativi e di movimento.

Se qualcuno ha visitato un'Accademia può capire come – ad esempio – i laboratori di scultura, tecniche della scultura, plastica ornamentale, costume per lo spettacolo, incisione, scenografia, etc., hanno – spesso – necessità di spazi anti–Covid19 davvero importanti che, ad oggi, ben poche istituzioni possono permettersi. Tra le diverse e cosiddette “aule attrezzate” considerate dal Manuale citato è possibile comunque individuare alcune soglie dimensionali esemplificative di alcune tipologie di riferimento con l'individuazione di superfici minime e massime a seconda dell'utenza: nei laboratori linguistici per 20 utenti sono necessari da 2,00 a 2,75 mq a persona, nelle aule laboratorio sono necessari per 20 utenti da 4,50 a 5,50 mq a persona, nei laboratori di informatica per 20 utenti sono necessari da 4,75 a 5,75 mq a persona e altro.

Ma, come sopra detto, nel Manuale non sono presenti norme e prescrizioni particolari rispetto a laboratori con maggiori necessità di movimentazione di materiali e persone, come succede nelle Afam.

Le uniche indicazioni per l'Afam ci arrivano sempre dall'Anvur. Per il settore delle Accademie di Belle arti la disponibilità di spazio per ogni studente deve essere, secondo l'Anvur non inferiore ai 4,5 mq. con un'altezza delle aule almeno di 4 m. Per le discipline teorico-pratiche, la disponibilità dello spazio per ogni studente deve essere non inferiore ai 2,5 mq. con un'altezza delle aule minimo di 3 m. Nel settore Arte coreutica, per la sala di danza lo spazio dev'essere rettangolare e di almeno 75 mq per un massimo di 18 allievi con un'altezza di tre metri e mezzo. Per il settore musicale l'adeguatezza o meno di un'aula dovrebbe (oltre ad avere una buona acustica) risultare dal calcolo del rapporto tra il tipo di strumento musicale studiato e il numero degli studenti. E gli strumenti sono davvero tanti e con caratteristiche proprie.

Per il settore Arte drammatica, i laboratori attrezzati di messa in scena teatrale devono dare a ogni singolo studente la possibilità di usufruire di uno spazio pari 5 mq, sempre con soffitto di 4 mq., per almeno 120 mq.

Per questo tipo di laboratori, c'è da supporre un necessario incremento variabile, a seconda delle attività, dei metri quadri a persona per ciascuna voce di utenza. Sono, queste, alcune tipologie dei laboratori dinamici delle Afam che, ad esempio, si differenziano dai laboratori delle materie Stem, di chimica e altro, e si avvicinano piuttosto a quelli di urbanistica o architettura, in cui la fase progettuale è molto importante. Ancor più importante nei laboratori dinamici delle Accademie di Belle Arti, in cui alla progettazione segue sempre una realizzazione materica, o performativa, totalmente fisica. O nei laboratori di Restauro in cui – tra l'altro – la materia su cui s'interviene, necessariamente in presenza, deve appartenere, per norma, alla categoria dei beni culturali.

Verso il giro di boa della Fase 1
In questi casi, il distanziamento anti-sociale, che è necessario attuare, presenta molti profili di difficoltà.
Bisognerebbe, in linea teorica, riconfigurare questi laboratori per un uso meno social e più necessariamente intimo, ma per farlo le strutture edilizie dovrebbero diventare elastiche, pronte a crescere a dismisura come nel racconto “L'Elefantiasi delle cose” di Dino Buzzati, oppure gli studenti devono essere drasticamente contigentati. Ma per riconfigurare gli spazi laboratoriali, senza permettere alle linee dei movimenti degli studenti di intrecciarsi e intersecarsi pericolosamente, serve un metaprogetto che, innazitutto, modifichi secoli di buone pratiche e la forma mentis che queste hanno generato. Serve un pensiero rivoltato, una psicologia trasformata. Subito dopo bisognerà affrontare il tema delle infrastrutture da rigenerare nell'area emergenziale delle pratiche artistiche contactless, che convivono con una particolarissima telepresenza forzatamente intersoggettiva.

Non siamo di fronte, dunque, solo a una questione di fondi – che saranno ovviamente fondamentali e che bisognerà chiedere a gran voce – ma sarà anche una questione di nuovi paradigmi della conoscenza e della produzione artistica. Il dramma che il paese sta vivendo, con le perdite di esseri umani (che non avranno, purtroppo, la possibilità di una fase 2 o fase 3), è anche un dramma della perdita delle coordinate geografiche che la mente – oltre che il corpo –era abituata a frequentare.

Labirinto e nebbia sono i compagni di questo viaggio, ma nell'ambito della formazione terziaria artistica il vocabolario dei sensi può essere piegato a nuove formule alchemiche che non sapevamo di poter sperimentare.

Riferendosi al sentimento di rinascita dell'Europa nell'anno Mille, Carducci scrive nel 1874: «Di fatti sin nei primi anni del secolo undecimo sentesi come un brulicare di vita ancor timida e occulta, che poi scoppierà in lampi e tuoni di pensieri e di opere: di qui veramente incomincia la storia del popolo italiano».

Ciò che oggi c'è da capire è se – in questo momento che prelude la Fase 2 e la Fase 3 – sentiamo ciò che sentiva Carducci e di cosa oggettivamente abbiamo contezza, relativamente alle prospettive di sicurezza sanitaria e sociale e all'obiettivo di rinascita economica, che devono convivere insieme per trovare quell'appiglio che consenta la risalita dopo il necessario bagno claustrofobico nel mare dell'”assenza”.

E considerare se le Fasi previste per il post-lockdown, anche per le Afam, in relazione al progressivo ritorno – ove possibile – alla didattica in presenza, siano precoci o se serva una maggiore preparazione e consapevolezza per affrontarle, nel contesto di un bene comune che non va solo salvaguardato ma anche prodotto: con un piano strategico unico che contemperi la necessità della riapertura e il contenimento del virus, senza per questo affondare l'economia della cultura e la mission irrinunciabile della didattica tout-court.

Probabilmente per affrontare questo momento in modo più lucido bisognerebbe usare la “filosofia del lontano” del cannocchiale rivoltato pirandelliano, convinto – come il dottor Fileno nella “Tragedia d'un personaggio” – che sia necessario «guardare dalla lente più grande, attraverso la piccola, appuntata al presente, per modo che tutte le cose subito apparissero piccole e lontane».

E qui la distanza assumerebbe un valore positivo, perché – con lo sguardo “fuori” dal dramma – il suo terzo occhio potrebbe distinguere, classificare e giudicare meglio le azioni da adottare: avendo cura di considerare che l'intenso bagliore costitutivo di ogni idea non coincida col suo livello più estremo, ovvero la cecità.

* Presidente delle Conferenza nazionale dei direttori delle Accademie di Belle Arti
e Accademia nazionale d'Arte drammatica.


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