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Adige-Il gran taglio di insegnanti e il futuro della scuola

Il gran taglio di insegnanti e il futuro della scuola ( Le finanziarie 2002 e 2003 hanno previsto una riduzione di 34 mila unità, da attuare nel triennio 2002-2005, i cui effetti si sono gi...

14/07/2004
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L'Adige

Il gran taglio di insegnanti e il futuro della scuola

(
Le finanziarie 2002 e 2003 hanno previsto una riduzione di 34 mila unità, da attuare nel triennio 2002-2005, i cui effetti si sono già cominciati a sentire nelle scuole. E c'è chi parla esplicitamente della necessità di avere meno insegnanti, pagati meglio e chiamati direttamente dalle scuole. Proposta, questa, proveniente dalla "Associazione Treelle", che, all'inizio di luglio, per bocca, fra gli altri, di Attilio Oliva, ha presentato a Roma, alla presenza del ministro Moratti, un proprio Quaderno, da cui emerge la necessità di rivoluzionare la professione docente, ridimensionata nei numeri e ridisegnata secondo tre livelli di qualità, premiati economicamente dopo una valutazione di ruoli e competenze.
Eppure di fronte ad un'esigenza di per sé condivisibile, come questa, nella scuola italiana c'è oggi un precariato che riguarda quasi 180 mila persone, chiamate a fare delle supplenze e quindi a svolgere un ruolo essenziale nella quotidiana organizzazione del lavoro scolastico. Nei confronti di questi lavoratori precari, quest'anno, in tutt'Italia - ed il Trentino non ha fatto eccezione - si è perpetrata una politica demenziale riguardante soprattutto una determinata fascia (la terza) di supplenti, con provvedimenti contradditori che premiano le supplenze realizzate in sedi disagiate, ad esempio sopra i 600 metri d'altitudine. C'è stata una corsa alla ridefinizione delle domande di incarico, in presenza di disposizioni ministeriali che hanno assunto il sapore della farsa; il tutto senza alcun rispetto della dignità di questi docenti, di cui, comunque, la scuola ha bisogno. Docenti, in molti casi, d'età sopra i 40, con anni ed anni (spesso decenni) di professionalità ed esperienza alle spalle.
Crisi di governo permettendo, la "riforma Moratti" va avanti, anche se i tempi cominciano a diventare stretti. Il governo di centro-destra ha, infatti, meno di un anno di tempo per realizzare la riforma complessiva della scuola, considerato che la legge delega n. 53, che la disegnava, è entrata in vigore nell'aprile 2003 e prevedeva 24 mesi di tempo per l'approvazione delle norme attuative. Il tempo non è molto, pensando ai decreti mancanti, alle necessità d'adeguamento dei programmi di tutto il percorso formativo e, soprattutto, alla riforma delle superiori, sulla quale si sono incagliati in passato altri progetti riformistici.
Gli ultimi due decreti approvati dal governo, in via preliminare, nel maggio scorso, hanno iniziato il loro iter legislativo e riguardano il "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione" e le norme generali sulla "alternanza scuola-lavoro". E sono decreti, questi, che confermano l'impostazione della nuova scuola voluta dalla maggioranza di governo: un netto passaggio dal ruolo esercitato dallo Stato, ad un nuovo protagonismo dei singoli individui, delle famiglie, della società civile, delle regioni, del mondo del lavoro e delle imprese. Quella che si afferma è una pedagogia "al servizio della personalizzazione", come ha scritto su Scuola e didattica l'esperto di riferimento del centro-destra per quanto riguarda la formazione, Giuseppe Bertagna, con un preciso "cambio di logica: dallo statalismo alla sussidiarietà"; questo mirando a realizzare, fra il resto, il principio che "vuole la scuola adattarsi agli allievi, non gli allievi adattati alla scuola".
Il che è nettamente alternativo alle posizioni, ad esempio, della sinistra che ha sempre visto nella scuola pubblica uno strumento formidabile di perequazione sociale, in grado di colmare, almeno in parte, la diversità delle posizioni di partenza - economiche, sociali e culturali - degli studenti che la frequentano. A questo proposito il pedagogista Benedetto Vertecchi ha più volte polemizzato, fra le altre cose, con l'ambiguità del concetto di "personalizzazione" nell'insegnamento, inteso come un "adattamento degli obiettivi da conseguire alle capacità e alle altre caratteristiche personali accreditate al singolo allievo", dove la trasmissione genetica e l'appartenenza sociale giocano un ruolo fondamentale in quella che è una sorta di didattica "rassegnata" e discriminante.
Ora, in entrambe le posizioni c'è probabilmente qualcosa di vero. Quel che è, comunque, importante - ben oltre le tante polemiche strumentali - è, da una parte, la consapevolezza che la società è molto cambiata e le famiglie, i singoli individui, le comunità, i diversi enti e soggetti sparsi sul territorio vogliono e possono contare di più nel sistema dell'educazione, al di là della tradizionale scuola pubblica e statale. Dall'altra, bisogna essere consapevoli che la scuola non può essere solo "servizio", magari finalizzato al mercato e ad una professionalizzazione precoce, ma deve mantenere anche una sua "inattualità", un minimo di distacco dalle esigenze caotiche della società contemporanea, una distanza che è poi quella della cultura, l'elemento di fatto decisivo nella formazione delle giovani generazioni.
Per quanto riguarda la scuola trentina siamo, sostanzialmente, in una situazione d'attesa. L'assessore provinciale Tiziano Salvaterra, competente in materia, ha concluso il suo giro d'ascolto nelle scuole e, come ha dichiarato in una recente intervista su Didascalie, si sta lavorando ad una legge di sistema che dovrebbe riguardare tutto il mondo della formazione e dell'istruzione trentina. Staremo a vedere cosa ne emergerà.
L'unico appunto, per il momento, è - nonostante tutti i proclami in senso contrario - il peso eccessivo riservato, anche in questa fase, ai dirigenti rispetto agli altri operatori della scuola. E considerate, spesso, le competenze, le modalità di reclutamento, il profilo professionale di buona parte della dirigenza trentina, tanta attenzione sembra forse sproporzionata.
LORIS TAUFER


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