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Abracadabranel! L’università fantastica di CorriereTV

Su CorriereTV, Roger Abravanel, ex Director di McKinsey ed autore del bestseller Meritocrazia, dispensa qualche prezioso consiglio sulla scuola e sull’università

21/01/2015
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ROARS

Giuseppe De Niccolao

Abracadabra … anzi Abracadabranel! Ma non fatevi ingannare dai giochi di parole (magiche o meno): non stiamo parlando di favole per bambini. Su CorriereTV, Roger Abravanel, ex Director di McKinsey ed autore del bestseller Meritocrazia, dispensa qualche prezioso consiglio sulla scuola e sull’università: «Siamo gli unici al mondo che abbiamo i fuori corso». Un’affermazione che è un po’ meno solida dell’esistenza degli unicorni. Altrettanto poco solido sostenere che «la nostra università laurea persone troppo anziane», visto che bastano un paio di clic sul sito dell’OCSE per verificare che siamo in media con le altre nazioni OCSE. Ma perché il Corriere non trova degli opinionisti più a loro agio con le nuove tecnologie, inclusi strumenti come Google e Wikipedia, così utili per non prendere cantonate?


Per chi non lo sapesse, CorriereTV ha una rubrica intitolata “Merito e regole” in cui Roger Abravanel, ex director di McKinsey, è ospite fisso di Daniele Manca. Il tema principale della puntata del 13 gennaio scorso era la Buona Scuola di Renzi, ma a noi interessa quello che Abravanel ha detto sull’università.

Minuto 5′ 40′:

La nostra università laurea persone troppo anziane. Il mercato del lavoro vuole dei giovani a 28 anni, media 27 anni, si è troppo vecchi per il lavoro. E questo perché? Perché noi abbiamo, siamo gli unici al mondo che abbiamo i fuori corso. Tu negli altri paesi dici “tu ti devi laureare in questi tre anni e poi su questo vedi il voto”. Da noi dici “vai avanti e prendi voti migliori” ma non vuol dire niente.

Una diagnosi impietosa quella di Abravanel. Va però detto che in tema di università non è la prima volta che i dati riportati dal Corriere fanno acqua, come quella volta che aveva gonfiato fin oltre il 400% il numero di atenei italiani. Per dissipare ogni dubbio, dedichiamoci ad un piccolo esercizio di fact checking.

Ebbene. cosa dice l’OCSE relativamente all’età media dei laureati? Il seguente grafico, tratto dall’edizione 2014 del rapporto Education at a Glance fornisce l’età media dei laureati di primo livello.

Come è possibile vedere, per l’Italia l’età media è 26 anni – e non 27 anni come detto da Abravanel – ma, soprattutto, è un dato perfettamente nella media OCSE che è pure lei pari a 26 anni. La losanga nera mostra che nell’80% dei casi l’età dei laureati italiani di primo livello non supera i 28 anni mentre il dato OCSE è 30 anni. Insomma, i dati italiani sull’età media dei laureati non sono per nulla straordinari. O forse sì, se si tiene a mente che facciamo del nostro meglio per scoraggiare gli studenti a raggiungere la laurea. In Europa, solo Regno Unito e Paesi Bassi hanno tasse universitarie più costose mentre siamo agli ultimi posti dell’OCSE in quanto a interventi di sostegno al diritto allo studio. Tra il 2006/07 e il 2011/12, la percentuale di beneficiari di borse di studio in Germania, Francia e Spagna è aumentata del 32%, 33% e 59%, rispettivamente. In Italia, invece, è calata del 22%.

Procediamo con la seconda affermazione:

siamo gli unici al mondo che abbiamo i fuori corso

Impossibile non provare una sensazione di déjà vu: sono quasi le stesse parole pronunciate da Francesco Profumo quando era ministro del MIUR. Che qualcosa non torni, lo si può sospettare già alla luce dei dati sull’età media dei laureati. Se i fuori corso esistessero solo in Italia, come farebbe l’età media a coincidere con la media OCSE?

Che il problema dei fuori corso, lungi dall’essere un’anomalia italiana, sia un emergenza su scala mondiale è confermato da una fonte immune dal sospetto di voler ingigantire i problemi stranieri per minimizzare i mali dell’università italiana:

Throughout the world, a large fraction of students remain in educational programs beyond their normal completion times and this tendency appears to have increased in recent years. At the undergraduate level, according to Bound et al. (2006), time to completion of a degree has increased markedly over the last two decades. Various papers and policy reports confirm these findings.(1)

(1) See, for example, OSEP (1990), Ehrenberg and Mavros (1995), Groen et al. (2006) and Siegfried and Stock (2001), U.S. Department of Education (2003), the State of Illinois Board of Higher Education (1999), UCDavis (2004) and Gao (2002). The situation is similar in Canada where a 2003 report of the Association of Graduate Studies indicates that “ … in many universities times to completion were longer than desired.”

da: Garibaldi, P., F. Giavazzi, A. Ichino, and E. Rettore (2012), “College Cost and Time to Complete a Degree: Evidence from Tuition Discontinuities”, The Review of Economics and Statistics, 2012.

Che negli Stati Uniti, il problema dei fuori corso sia considerato molto allarmante è documentato dalla pubblicistica (Only Half of First-Time College Students Graduate in 6 Years), da monografie (Completing College) e da iniziative su larga scala come Complete College America dalla cui pubblicazione Four year Myth è tratta la seguente figura.

Sono notizie e dati facilmente reperibili sul web, noti a chiunque segua, anche a tempo perso, il dibattito internazionale sull’higher education. Eppure, il nostro esperto di “merito e regole” non sembra essere al corrente della reale situazione dell’università in Italia e all’estero.

Va anche detto che il seguito dell’intervista non è da meno. Abravanel parte in quarta con la richiesta di una seconda riforma Gentile fatta da un nuovo Gentile, citando come modello la Polonia che «in sei sette anni è passata da un sistema peggio del nostro … ha battuto la Germania … ha fatto una vera rivoluzione. Ha assunto mille insegnanti giovani perchè ha fatto un anno in più di insegnamento». Qualsiasi cosa possa voler dire questa parte dell’intervista (a cui non si può negare un certo stralunato fascino del fantastico), chi fosse arrivato fino in fondo può fare a meno di farsi una domanda.

Per quale ragione un quotidiano nazionale come il Corriere si ostina affidare i commenti su istruzione e università a opinionisti che faticano a tenersi aggiornati e stare al passo dei tempi?

Francesco Giavazzi da tempo vive in un suo mondo fantastico, in cui l’Italia pullula di professori universitari e di atenei la cui frequenza è quasi gratuita. Per verificare che le cose non stanno così, gli sarebbe bastato usare un browser per scaricarsi i rapporti dell’OCSE. Un’operazione alla portata di tutti o quasi, se si esclude qualche esponente delle vecchie generazioni che fatica ad adattarsi al mondo della rete.

Abravanel ha scritto un libro intero sulla Meritocrazia, ma quando cita l’origine del termine “Meritocracy” sembra ignaro del significato negativo che gli era stato dato dal suo inventore Michael Young. Anche in questo caso, sarebbe bastato cliccare sulla voce Meritocracy di Wikipedia.

Giavazzi e Abravanel si conoscono e si stimano, come testimoniato da prefazioni e citazioni. Accomunati da qualche difficoltà ad attingere a dati di prima mano, li immaginiamo infervorati mentre se la raccontano tra di loro, confermandosi a vicenda nelle loro opinioni, tavolta un po’ approssimative, sul mondo della formazione. E qui sorge un piccolo mistero. Possibile che in una delle loro conversazioni Giavazzi – coautore del già citato articolo su “College cost and time to complete a degree” – non abbia spiegato all’amico che no, non è vero che i fuori corso esistono solo in Italia?

Un vuoto di memoria di Roger? Noi preferiamo pensare che, per qualche ragione, non siano mai entrati nell’argomento.

DukeBrothers

Per il duo proviamo la stessa simpatia che proviamo per gli indimenticabili fratelli Duke di “Una poltrona per due” e le loro scommesse sulla pelle degli altri. La riforma scolastica vagheggiata di Abravanel deve coinvolgere 800mila docenti e «di questi “2/300 mila bisogna riformarli in maniera drastica», qualsiasi cosa possa voler dire.

Chissà se nel 2010 Giavazzi ed Abravanel avevano scommesso un Euro anche sul successo o l’insuccesso della riforma Gelmini. Se mai uno di loro riuscisse ad accedere al sito del Consiglio Universitario Nazionale (bastano pochi tasti: www.cun.it) e a scaricarsi la Dichiarazione sulle emergenze del sistema universitario, non faticherebbero a capire chi dei due ha vinto la scommessa.

Ma torniamo al punto. Possibile che il Corriere non possa permettersi degli opinionisti più a loro agio con le nuove tecnologie, inclusi strumenti come Google e Wikipedia, così utili per non prendere cantonate?

Soprattutto se questi opinionisti devono fungere da oracoli sul futuro della scuola e dell’università, invocando competizione, meritocrazia e drastiche modernizzazioni (ma solo per gli altri, ci mancherebbe).

Non sarebbe nemmeno necessario licenziarli: nella colonna destra dei quotidiani on line c’è sempre spazio per i video umoristici.


Nota tecnica: Ferma restando la disarmante inconsapevolezza della realtà accademica da parte di alcuni maître à penser nostrani, non è certo il caso di ritenersi soddisfatti solo perché l’età media dei laureati italiani di primo livello non si discosta dalla media OCSE. Confinare la discussione al chi vince/perde nelle classifiche OCSE è solo un po’ meno ingenuo che ignorarle o distorcerle a fini ideologici. Il  problema dei ritardi e degli abbandoni esiste ed è particolarmente grave. Tuttavia, prendere atto che i fuoricorso esistono anche all’estero significa scendere dalle nuvole della mitologia e mettere i piedi sulla terra delle verifiche empiriche e dello studio delle relazioni causa-effetto. Immaginare che le difficoltà della formazione terziaria non abbiano a che fare con la storia, gli investimenti e le condizioni socio-economiche, ma siano invece riconducibili a peculiarità antropologiche serve a rendere plausibile il ricorso agli abracadabra del consulente che promette il sorpasso della Germania in pochi anni a costo zero (o quasi, perché il consulente va comunque pagato).


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