Aboliamo le medie: dalla materna al bienno delle superiori, in sei gradini
Tre ipotesi per riformare i cicli e rendere più moderna e inclusiva la scuola dell’obbligo
di Luciano Benadusi e Vittorio Campione
Dai tempi delle riforme Gelmini (2008-2010) la questione degli ordinamenti scolastici è sparita dall’agenda politica italiana. Ciò vale anche per la legge sulla Buona scuola (2015) che si era accontentata di interventi parziali. Eppure le condizioni di salute del nostro sistema di istruzione ci segnalano problemi, ritardi e criticità. E’ vero che la scuola dell’infanzia annovera punte di eccellenza a livello mondiale, come del resto la primaria, ed è erede di una grande e tuttora viva tradizione pedagogica. I dati sulle competenze rilevati a livello internazionale vedono l’Italia delle scuole elementari posizionarsi significativamente al di sopra della media, sia nel totale dei punteggi, sia – caso più unico che raro – nella quota dei top-performers. Per quanto riguarda le diseguaglianze si nota che al secondo anno non si sono ancora manifestate, al quinto cominciano ad emergere. La musica comincia a cambiare nella scuola secondaria inferiore: i punteggi medi degli studenti italiani per la matematica (non per le scienze) scendono, sia pure lievemente, al di sotto della media internazionale. Ed esplodono le diseguaglianze: in matematica e in scienze il 24% e il 23% degli alunni nel Sud e nelle Isole rimane al di sotto di quello che si considera il livello minimo delle conoscenze necessario per vivere nelle società contemporanee e adattarsi alle loro sempre più rapide trasformazioni. Le disuguaglianze interne diventano impressionanti anche fra indirizzi: lo score medio in lettura nei licei (521 punti Ocse-Pisa) è pari grosso modo a quello della Finlandia, il benchmark europeo della qualità, e supera tutti gli altri grandi paesi dell’UE ma gli istituti professionali conseguono risultati (395) sostanzialmente in linea quelli di paesi quali Tailandia, Emirati Arabi Uniti, Kazakistan. All’interno degli indirizzi ritroviamo poi la prima voragine, quella fra macroaree e regioni. Al di sotto della soglia minima in lettura (almeno il livello 2 dei punteggi) dell’OCSE si contano il 21,9% degli studenti italiani, che diventano però 31,3% nel Sud e 35,1% nel Sud-Isole.
L’insuccesso della scuola
Si tratta di un quadro di insieme che prefigura per gli studenti svantaggiati un avvenire certo di marginalità culturale e di esclusione sociale. Circa il 45% dei diplomandi nel Sud ed il 50% nel Sud Isole (erano rispettivamente il 40 e il 46% alla fine della secondaria inferiore) non raggiungono in lettura i traguardi minimi in termini di competenze attesi al termine di quel ciclo scolastico arrestandosi su quelli attesi tre anni prima, al termine del primo biennio della secondaria superiore, o addirittura alla conclusione della media inferiore (2019).
La riforma amputata
Ecco allora le nostre proposte. Oltre a costruire il sistema integrato 0-6 anni e rafforzare la scuola dell’infanzia perché quanto prima i bambini potranno fruire di servizi educativi di qualità, tanto più si riuscirà ad evitare tale pericolo, bisogna intervenire sulla scuola media. I riformatori nel 1962 pensavano che fosse il primo tassello di un disegno più ampio che avrebbe dovuto portare anche all’istituzione del biennio unico nella scuola secondaria superiore. Nonostante l’avvio di interessanti sperimentazioni locali soprattutto nel Nord quel disegno non passò. Non fece seguito nessuna riforma delle superiori malgrado l’estensione dell’obbligo fino all’età di 16 anni. La ragione di chi avversò la prosecuzione del processo di riforma fu una essenzialmente: l’unificazione dei percorsi e dei curricoli, per taluni già nociva a livello della secondaria inferiore, avrebbe compromesso la qualità dei nostri studi superiori. Il panorama che abbiamo descritto ci dice che se consideriamo il sistema e non singoli indirizzi o regioni l’arresto della riforma non ha affatto garantito la qualità, tanto meno l’eccellenza. Sono cresciuti e poderosamente i liceali a scapito degli istituti tecnici e dei professionali con due conseguenze negative: indebolimento del matching fra domanda e offerta di lavoro, impoverimento qualitativo del bacino di reclutamento degli istituti tecnici e professionali che ha fiaccato la loro capacità di produzione delle competenze di base deprimendo le performance del sistema.
Sei pezzi per la scuola dell’obbligo
Come in vari Paesi europei, dalla Svezia alla Finlandia ed al Regno Unito, sarebbe utile istituire una scuola di base comprensiva della stessa durata dell’obbligo che nel caso della sua anticipazione per ricomprendere la scuola dell’infanzia sarebbe di 13 anni. L’esame di stato sarebbe da prevedere alla conclusione del percorso, quindi in coincidenza con la fine dell’obbligo scolastico. Si formulano tre ipotesi di riforma. Ipotesi innovativa: il ciclo unico di base con sei sub-cicli: i tre anni della scuola dell’infanzia; i primi due anni dell’attuale primaria; i secondi due anni; il quinto anno insieme al primo dell’attuale secondaria inferiore; l’attuale secondo e terzo anno della secondaria inferiore; il primo biennio della secondaria superiore. Nella fase di avvio insegneranno nel primo sub-ciclo i maestri della scuola dell’infanzia; nei due successivi sub-cicli i maestri elementari, nel quarto i maestri con specifiche competenze + gli insegnanti della media; nel quinto gli insegnanti della media; nel sesto gli insegnanti delle superiori. Pregi: rafforza il curricolo verticale e addolcisce le attuali transizioni fra i cicli, in particolare quella fra primaria e secondaria.
Altre due ipotesi
Ipotesi intermedia: 3+5+5 Ai tre anni di scuola dell’infanzia ed ai cinque anni della primaria ne seguirebbero cinque di scuola secondaria inferiore, dove potrebbero insegnare sia gli attuali docenti delle medie sia gli attuali docenti delle superiori. Pregi: sia pure in misura minore, gli stessi della ipotesi A, e conferire un maggiore respiro curricolare all’attuale scuola media che sembra soffrire di eccessivo addensamento (precedente: la proposta di media quadriennale nel programma elettorale dell’Ulivo). Ipotesi continuista: 3+5+3+2 Pregi: evitare gli shock di cambiamenti strutturali che coinvolgano in qualche misura anche gli status istituzionali degli insegnanti.
Il recupero degli studenti deboli
Con riferimento al percorso della secondaria (nelle ipotesi 3+5+5 e 3+5+3+2) ovvero a partire dal 5° sub-ciclo (nell’ipotesi ciclo unico), la scuola di base avrebbe un «core curriculum comune» a tutti gli studenti che dovrebbe abbracciare italiano, inglese, storia, matematica, scienze, tecnologia, geografia e scienze economico-sociali. Dell’area comune farebbero parte anche l’educazione alla cittadinanza, come attività trasversale, e l’educazione fisica. Vi sarebbe poi una «area curricolare differenziata» con attività di vario tipo, anche interdisciplinari, a cominciare da quelle artistiche e musicali. Di essa farebbero parte anche due tipi di moduli inerenti al core curriculum: a) di recupero, obbligatori per gli studenti in ritardo; b) di potenziamento a frequenza facoltativa. In entrambi i casi si organizzerebbero gruppi a classi aperte. Per gli studenti in ritardo tenuti ai modelli di recupero sarebbe previsto un orario a tempo pieno (40 ore). Le nuove immissioni in ruolo che avverranno per far fronte ad un’emergenza congiunturale quale il Coronavirus tornerebbero perciò utili per far fronte, a partire dall’anno 2021-22, ad una grave emergenza strutturale: la povertà delle competenze di base e l’elevata dispersione scolastica. Ciò che si prospetta è dunque un ability grouping, non trasversale a tutte le discipline bensì differenziato a seconda dei risultati conseguiti in ciascuna di esse e delle preferenze soggettive. Occorrerebbe poi bilanciarlo con il cooperative learning in gruppi equi-eterogenei da promuovere per mezzo di piani nazionali di formazione degli insegnanti Negli ultimi due anni si introdurrebbero alcuni insegnamenti che prefigurino le varie scelte post-obbligo ed abbiano quindi una funzione di orientamento e di verifica attitudinale. Nel primo anno dovrebbero essere reversibili, nel secondo lo sarebbero solo passando attraverso attività integrative. I risultati ottenuti nel curricolo comune e nelle discipline/attività opzionali vagliati negli esami di stato conclusivi sarebbero alla base dei giudizi di orientamento di fine-percorso ai quali occorrerebbe conferire maggiore forza vincolante.
Tre anni di superiori
Tutti i percorsi della secondaria superiore avrebbero la durata di tre anni, ciò che potrebbe apparire una sconsiderata amputazione se confrontata all’attuale struttura quinquennale. Non è affatto così. In Europa le scuole a modello comprensivo e con il tracking a 16 anni hanno per lo più corsi di secondaria superiore che durano due anni - ad esempio il Regno Unito, la Svezia, la Francia, la Spagna - per citarne alcuni. L’Italia con una durata di 13 anni continuerebbe a posizionarsi all’estremità più alta della graduatoria internazionale quanto a lunghezza del percorso scolastico.
L’articolo completo è apparso sul n.1/2020 di Scuola democratica, rivista scientifica edita da Il Mulino. Chi volesse intervenire nel dibattito sulla riforma potrà farlo sul sito della rivista cliccando qui