Abilitazione per laureati, il disastro dei nuovi test
Dal 2007 i laureati italiani non hanno avuto la possibilità di abilitarsi all'insegnamento
DAL 2007 I LAUREATI ITALIANI NON HANNO AVUTO LA POSSIBILITÀ DI ABILITARSI ALL’INSEGNAMENTO nelle scuole secondarie; la scuola universitaria a ciò deputata, la Ssis, è stata infatti soppressa non con la contestuale creazione di un corso diverso, ma in attesa di una futura istituzione di esso. Tale irresponsabile decisione è nella lunga lista delle colpe della ministra Gelmini, avallata da quegli accademici che non accettavano una struttura interdisciplinare finalizzata a costruire la professionalità dell’insegnante in termini complessivi anziché come mero conoscitore di una materia. L’attesa è durata cinque anni, e solo ora si riparte con un corso annuale, a numero chiuso, di Tirocinio Formativo Attivo (Tfa). I candidati sono circa 175.000 per ventimila posti disponibili; la cifra è stata stabilita per avere un numero di abilitati non troppo superiore alle prevedibili assunzioni. Nelle università italiane si sta ora svolgendo, in giornate successive per le diverse classi di abilitazione, la prova preliminare a test: è idoneo, e passa alla fase successiva (prova scritta e prova orale), chi risponde esattamente a 42 quesiti sui 60. A causa delle dimensioni del problema, nonché dell’impegno necessario per proporre quesiti intelligenti oltre che ineccepibili nella formulazione, il Miur avrebbe dovuto sentire l’esigenza di chiamare alla collaborazione tutte le competenze disponibili, in particolare all’interno delle università. Si è invece rivolto ai rettori solo per chiedere aiuti organizzativi (i bandi, la gestione dei plichi sigillati, l’assistenza nelle aule delle prove); sulla sostanza, nonostante recentissimi episodi di pessima gestione di quesiti concorsuali, ha voluto operare autarchicamente. I risultati sulle classi sulle quali le prove già si sono svolte mostrano, purtroppo, che questa presunzione è fuori luogo. Alcuni quesiti erano sbagliati (più di una risposta corretta, oppure nessuna); quasi tutti erano squallidamente nozionistici. Ciò che è disastroso è che non si è trattato di un primo ragionevole filtro tra i concorrenti, bensì di una selezione del tutto irrazionale. L’elaborazione dei dati, svolta per le prime 5 classi da Francesco Coniglione sul sito www.roars.it, mostra quanto segue. La percentuale di candidati sufficienti ha come estremi l’81% (lingua araba) e il 3,5% (filosofia e pedagogia), mentre per le altre 3 classi varia tra il 25% e il 36%. Poiché non è credibile che vi siano tali enormi differenze nella qualità della preparazione fornita ai laureati delle diverse discipline, e neppure che meriti la sufficienza solo un quarto dei laureati in matematica (corso considerato severo), e solo uno su 29 in filosofia, ciò dimostra che non si è stati capaci di tarare correttamente l’insieme dei quesiti (erano disponibili 3 minuti per quesito). Si verifica poi che nel caso della filosofia solo una Università potrebbe coprire tutti i posti disponibili, mentre per le altre classi, pur essendoci in totale un numero di idonei superiore ai posti, si avrebbero molti posti scoperti in alcune sedi, un numero ancor maggiore di idonei esclusi in altre. Occorre che, anche in sede politica, si rifletta sulla situazione qui descritta e si propongano, per il futuro, adeguati correttivi. Proprio perché vogliamo docenti qualificati dobbiamo pretendere che i meccanismi di selezione siano credibili; altrimenti di dà spazio a chi vuole le chiamate dirette degli amici da parte delle scuole, o simili. In via immediata, è comunque indispensabile che il Miur adotti una norma che consenta agli idonei, in eccesso presso una sede, di optare per una ove vi è la disponibilità di posti scoperti.
Giunio Luzzatto-Università di Genova