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A scuola anche a luglio

La ricetta per l'istruzione

06/01/2021
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la Repubblica

Andrea Gavosto

Il governo ha rinviato la riapertura in presenza delle scuole superiori dal 7 all’11 gennaio. È una decisione incomprensibile, figlia delle lacerazioni della maggioranza, non di una strategia razionale.

Due giorni in più non fanno alcuna differenza, soprattutto se si vuole misurare l’effetto delle vacanze natalizie sulla curva dei contagi. In compenso, i continui cambi di direzione del governo e le decisioni in anarchia delle Regioni — molte delle quali già annunciano date diverse — inducono l’opinione pubblica a due soli pensieri: il processo è fuori controllo e la scuola non è così importante, di sicuro meno dell’economia, del commercio, dello sci. Che cosa succederà ora? Difficile a dirsi. Come già in passato, il breve rinvio può preludere ad altri, più o meno lunghi, in cui gli studenti delle superiori continueranno con la didattica a distanza, mentre i più piccoli andranno in aula a singhiozzo, in base all’andamento del contagio nella loro classe. Per diminuire il rischio, nei mesi scorsi servivano alcune misure di edilizia scolastica, una diversa organizzazione delle classi, docenti subito al loro posto. Ormai, però, è inutile piangere sul latte versato.

Ma è ragionevole tenere le scuole chiuse? Gli studi internazionali sull’impatto della scuola sui contagi non danno risposte univoche. Mentre restano dubbi su quanto il virus si propaghi dentro le aule, pochi ve ne sono che il sistema integrato della scuola — che include gli assembramenti fuori dai cancelli e i trasporti pubblici — possa di nuovo far impennare la curva dei contagi. Il sospetto, infatti, è che all’origine dei nuovi rinvii vi sia anche la consapevolezza di governo e Regioni di non essere riusciti, intervenendo su trasporti e riorganizzazione della giornata scolastica, a costruire sufficienti garanzie per un rientro in sicurezza.

La prudenza è d’obbligo: le scuole devono riaprire quando ci saranno le condizioni per ritenere con ragionevole certezza che non dovranno più chiudere. La scuola a singhiozzo, con il tempo e gli sforzi richiesti per passare da una situazione all’altra, forse non è preferibile a quella in lockdown.

Per ripartire serve che tutte le parti coinvolte (scuole, trasporti, sanità) accettino di fare sforzi in più, senza irrigidirsi: più trasporti, più turni — soluzione le cui difficoltà non bastano a spiegare la contrarietà di molti presidi — più tracciamenti. Può avere senso, inoltre, differenziare il rientro a scuola sulla base delle condizioni locali dei contagi.

Lo sforzo principale, però, sarà come rimediare ai danni. Il prezzo che questa generazione di studenti rischia di pagare — già altissimo dopo il lockdown di primavera e la troppo incerta ripartenza in autunno — sta diventando enorme, con perdite in termini di conoscenze, di prospettive di lavoro e di reddito, di qualità della cittadinanza già ora in parte irrecuperabili. La risposta non può che essere una, la dico nel modo più ruvido: allungare l’anno scolastico fino a luglio e perfino ad agosto, con l’obiettivo di recuperare quello che non è stato fatto da marzo scorso a oggi. Siamo in un’emergenza mai vista prima. Se crediamo davvero che la scuola sia importante, nulla può essere un tabù, compreso continuare a fare scuola durante l’estate. È una proposta che è stata formulata da alcuni esperti di scuola (si veda l’appello su www.condorcet.altervista.org ) e che sottoscrivo. Pur sapendo che molti docenti hanno fatto miracoli in questo periodo con la Dad, non basta ancora. Chi è rimasto indietro — soprattutto fra i più piccoli e i ragazzi svantaggiati, oppure chi nell’istruzione tecnica non ha potuto fare i laboratori — deve avere nuove chance quando la pandemia ci darà tregua.

Andrea Gavosto è direttore della Fondazione Agnelli


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