A proposito di autonomia statutaria e rappresentanza istituzionale
La riforma degli OOCC.
Antonio Valentino
Autonomia statutaria? Mah!
Attraverso i siti che informano sui lavori parlamentari, sappiamo che la 7° Commissione della Camera, il 6 giugno scorso, ha ripreso l’esame, in sede legislativa, del testo unificato dei DdL relativi alle Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche. La notizia è in sé positiva. Anche se si sa poco, a tutt’oggi, sui termini della discussione nell’incontro e sulla programmazione di prossime tappe. Comunque è opportuno che si riprenda a parlarne, soprattutto tra persone di scuola, per approfondire alcune questioni per più versi ancora aperte.
Al momento dell’approvazione del testo unificato sull’autogoverno delle scuole, in tanti – si ricorderà - hanno espresso una valutazione positiva sull’impianto complessivo e sulle novità. Ma non sono mancati – ovviamente – riserve, interrogativi e giudizi negativi.
I commenti dei partiti politici della ‘strana’ maggioranza avevano a suo tempo enfatizzato soprattutto l’approdo dell’autonomia scolastica all’autonomia statutaria, vista, quest’ultima, come strumento in grado di liberare le scuole dai lacci e lacciuoli di una amministrazione centralistica e tentacolare e farla diventare protagonista in una governance territoriale del ‘pianeta istruzione e formazione’.
Penso anch’io che tale approdo sia importante e meriti approfondimenti da più punti di vista.
La scelta, in astratto, è indubbiamente “forte” perché assimila le scuole, come ci dicono gli esperti, ai Comuni (che però, è bene richiamarlo, sono enti territoriali che rappresentano intere comunità ed esprimono i loro organi di governo attraverso elezioni a suffragio universale). E le assimila anche alle Università che - l’autonomia statutaria - l’hanno già da prima della riforma del Titolo V.
A leggere bene il testo di riforma, vengono però fuori, su questo punto, non pochi interrogativi, dettati forse dall’imperizia di chi scrive.
Consideriamo pertanto i passaggi in cui si parla di Statuto (art. 1, c. 4):
“Gli statuti delle istituzioni scolastiche regolano l'istituzione, la composizione e il
funzionamento degli organi interni nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”. Tale regolazione avviene “sulla base delle norme generali della presente legge”.
L’interrogativo: in ragione di questa norma, quali gli aspetti innovativi e significativi per l’autonomia delle scuole? Vediamo nel dettaglio, per rendercene meglio conto.
· Le Istituzioni Scolastiche Autonome (ISA) possono decidere, oltre alle modalità di funzionamento, il numero di membri (compreso fra nove e tredici) dei nuovi consigli dell’autonomia (CdA) e dei Comitati per l’autovalutazione (che possono oscillare da un minimo di tre fino a un massimo di sette) e nominare gli esterni nella misura indicata dal testo di riforma
· Possono altresì decidere forme e modalità di partecipazione. (Ma anche con l’ordinamento vigente c’è questa possibilità).
· C’è la novità - non certo esaltante per quanto riguarda l’autonomia organizzativa della componente docenti - secondo cui è lo Statuto che “ disciplina l'attività del Consiglio dei docenti e delle sue articolazioni”.
L’autonomia statutaria si riduce a questo? O c’è dell’altro che è insito nella stessa definizione di autonomia statutaria?
Se l’autonomia statutaria, però, si riduce alle attribuzioni richiamate, non sembra che, con tale riconoscimento, si aggiunga si aggiunga qualcosa di importante e significativo alle norme già previste nel testo di riforma. Se è così, è il caso allora di spendere energie e tempo per esercitarsi a capire i significati che la lettera del testo non consente di individuare?
Un ragionamento diverso
Proviamo a questo punto, se vogliamo allargare il discorso dell’autonomia, a prendere in considerazione invece un ragionamento diverso.
Per esempio, quello dell’autonomia che non c’è e di cui ci sarebbe bisogno per liberare le scuole - e i suoi organi di governo - da invadenze spesso paralizzanti e responsabilizzarle rispetto agli esiti della propria azione.
O, ancora, quello dei vincoli e delle costrizioni, delle rigidità e degli impedimenti che riscontriamo - sempre nell’azione di governo delle scuole - a proposito di
· formazione e cultura professionale del personale della scuola,
· rapporti di lavoro e le modalità di rispondere dei risultati,
· forme di reclutamento e di carriera,
· retribuzioni (che restano le più basse d’Europa),
· inadeguatezza delle risorse.
Non è un modo per parlare d’altro, ma per mettere un minimo di ordine e ragionevolezza nelle cose da fare e per definire così un’agenda con le sue priorità, liberandola da problematiche che, per quanto potenzialmente innovative e importanti in sé (e lo è certamente l’autonomia statutaria), impediscono di concentrarsi sulle pur interessanti novità del DdL evidenziate in parecchi contributi.
La rappresentanza negli organi ‘esterni’ di governance. I problemi
Tra queste, un posto fondamentale occupano le norme sulla rappresentanza territoriale e nazionale delle scuole autonome e sulla configurazione di una governance di ambiti e di sistema.
Fondamentale perché, al riguardo, una regolazione democratica e attenta può essere veramente la strada maestra per liberarci da una visione sbagliata dell’autonomia (per tanti ancora sinonimo di “fai da te”, autoreferenzialità, chiusura autarchica, assenza di controlli).
Anche su tale tema gli interrogativi e i problemi sono certamente di grande peso; ma affrontabili –forse – in tempi meno lunghi, solo che ci fosse consapevolezza della posta in gioco nella classe dirigente del paese e più pressione e capacità propositiva da parte del pianeta scuola e dell’estesissimo mondo che gli gira attorno.
Questo comunque richiede ai vari soggetti in campo la consapevolezza e la disponibilità a dar vita, in ragione della riforma del Titolo V della Costituzione, a un sistema di governo dell’istruzione non più verticale e piramidale, ma, ‘a tre punte’, a dirla con l’immagine di alcuni esperti in materia; un sistema, cioè, di “governo misto” (governance a tre ‘titolari’: Stato, regioni ed enti locali, ISA), nel quale ciascuno dei tre soggetti concorre, in ragione delle funzioni loro attribuite, al governo del sistema.
Non più quindi la scuola come vaso di terracotta tra i vasi di ferro del Ministero e delle Regioni, ma come istituzione che, in tale sistema, ha suoi compiti specifici (assicurare il servizio formativo), che è chiamata a svolgere nel rispetto delle norme generali, dei LEP e delle indicazioni e standard nazionali per il curricolo e sulla base delle prerogative di Regioni ed Enti locali.
Questo almeno prevede il Titolo V.
Ma il nostro è un paese ‘creativo’, dove ‘non si sa mai’.
E così capita che questo disegno costituzionale continui a vivere una lunga fase di transizione di cui non si riesce a vedere la fine. E questo soprattutto per due ragioni:
· il passaggio reale di competenze tra Amministrazione centrale e Regioni viene rutardato da troppe esitazioni e resistenze, da parte di entrambi i titolari delle competenze concorrenti;
· sono ancora quasi tutti da definire i Livelli Essenziali di Prestazione, che rappresentano la competenza chiave della titolarità statale (Conseguente è “l’assenza di definizione di costi standard per prestazione, capace di sostenere la razionalità delle decisioni di spesa pubblica”, come opportunamente annota in proposito Franco De Anna) .
Le Associazioni delle Scuole Autonome (ASA) in primo piano
Ora è evidente che, per dare credibilità al progetto di una efficace governance, che è nelle attese del testo sull’autogoverno delle scuole, è necessario in primo luogo fare chiarezza sulle Conferenze (regionali, di ambito) e sul Consiglio nazionale, previsti da questa riforma.
La loro configurazione è coerente con l’idea di governance a tre ‘titolari’, deducibile dal Titolo V riformato?
Prendiamo qui in considerazione la solo ‘costituzione’ della Conferenza regionale, perché meglio si presta a dare concretezza al nostro discorso.
Ad essa, come si legge nell’art. 11- c.7, “partecipano i Comuni, singoli o associati, l'amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell'impresa”.
Le domande che a mio avviso meritano, al riguardo, più attenzione sono le seguenti:
· Poiché le ISA sono numerose (tra le 9 e 10 mila a livello nazionale e, a livello regionale, si arriva in alcuni casi oltre le 1000 unità (1285, quest’anno, in Lombardia), è chiaro che le singole rappresentanze sono un ‘non senso’. Ma appare difficile prendere in considerazione anche la previsione delle reti come soggetti di rappresentanza. Quali reti poi? Quelle di scopo, forse? Che, anche nel migliore dei casi, mal si conciliano con l’idea di rappresentanza del testo unificato? O le reti di scuole dello stesso tipo, che farebbero correre il rischio di una frammentazione corporativa del sistema? (Forse le reti – e anche i consorzi – potrebbero essere prese in considerazione come strumenti per potenziare l’autonomia e ottimizzare le risorse. Ma questo è un discorso a latere).
Sulla base di queste considerazioni, la domanda è: perché non ragionare sulle Associazioni di scuole - sulla falsa riga delle attuali ASA (Associazioni scuole autonome) - come il soggetto privilegiato per la rappresentanza (un po’ come l’ANCI per i comuni e l’UPI per le province)? Si tratterebbe, in tal caso (se vedo bene), di Associazioni da istituire attraverso una legge, come soggetti di diritto pubblico, a cui riconoscere la rappresentanza delle scuole autonome. Che problemi ci sarebbero?
· La rappresentanza delle “realtà professionali ecc.”, prevista dal testo di riforma e che è assolutamente fondamentale, sarebbe dello stesso tipo di quella delle ISA?
· Le conferenze regionali, ma anche quelle di ambito, si configurerebbero come Conferenze Regioni – Associazioni delle scuole autonome (aperte ad altri soggetti eventualmente comprimari), sulla falsa riga – con le dovute, rilevanti differenze - della Conferenza Stato - Regioni?
· La rappresentanza delle ISA dentro le Associazioni è prerogativa dei Dirigenti Scolastici (DS), in quanto reppresentanti legali delle scuole e figure di coordinamento e di direzione delle stesse - ovviamente assieme a chi presiede l’organo di indirizzo? Oppure va presa in considerazione l’ipotesi di una rappresentanza, dentro le Conferenze, della pluralità di figure professionali e degli utenti delle scuole?
· Quest’ultima ipotesi - che è quella prevista, per il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche (“composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome”) - non fa correre seri rischi di caduta corporativa? E poi: le questioni della governance non presuppongono conoscenze e competenze a largo raggio e una visione d’insieme che i rappresentanti delle singole componenti professionali non riuscirebbero a garantire? Le istanze di natura professionale o altre non potrebbero invece essere ‘coperte’ dalle associazioni professionali o culturali o da rappresentanti del mondo del lavoro (di cui è prevista la rappresentanza)?
Se soprattutto queste ultime domande hanno senso – e penso che ce l’abbiano – sarebbe allora il caso di rivedere la norma, al riguardo, per il Consiglio nazionale. Che, per come si configura, fa correre il serio rischio che, ad essere rappresentate, non siano le scuole autonome, ma le singole componenti (i DS, i docenti, i presidenti cioè i genitori) e che la scuola-istituzione sia vista non come “un organismo dotato di una propria identità - in cui si riconoscono le componenti che vi operano a vario titolo (…) -, ma solo [come] la somma di singoli interessi di sapore vagamente corporativo” (Roberto Proietto).
Ragionamento lineare e convincente. O no?