2 Giugno 2016: cento piazze per quattro firme sui referendum sulla scuola
Per una scuola pubblica laica, libera, democratica, repubblicana.
di Domenico Pantaleo
Il 2 giugno 2016 celebriamo, tutti insieme, il referendum che 70 anni fa diede vita alla nostra Repubblica. L'Italia era uscita lacerata da una guerra mondiale devastante, e dall'8 settembre del 1943, da una guerra civile che molti segni avrebbe lasciato negli anni successivi. Era un'Italia divisa, frammentata, politicamente e socialmente. E tuttavia, quel 2 giugno 1946 diede la possibilità, per la prima volta in Italia, di applicare il suffragio universale e di eleggere un'Assemblea costituente, che il primo gennaio 1948, al termine di uno straordinario dibattito pubblico, ci regalò una grande e bella Costituzione.
In questa Costituzione, spesso su sollecitazione di intellettuali come Piero Calamandrei e Concetto Marchesi, vennero inscritti i principi fondamentali della nuova scuola repubblicana, fondata sul diritto all'accesso universale, sulla laicità, sui valori della democrazia e del pluralismo, sulla libertà d'insegnamento. Quasi settant'anni dopo, e in virtù di una precisa scelta politica, nel 2015 il governo Renzi ha deciso, con una legge, la 107, di "contro-riformare" il mondo della scuola, urtando con alcuni principi, valori e diritti che questa nostra Costituzione prescrive.
Per questa ragione, abbiamo deciso, insieme a un vasto arco di forze sociali, di presentare quattro quesiti referendari sui quali raccogliere le firme, per eliminare le parti più odiose, incostituzionali e dirompenti della legge 107. Ed è anche per questa ragione, non solo simbolica, che abbiniamo alle celebrazioni e ai festeggiamenti per il settantesimo anniversario di quel referendum, una nostra specifica iniziativa di mobilitazione. Chiederemo ai cittadini italiani, in cento piazze, di firmare per i quattro quesiti referendari sulla scuola. Si tratta di quattro quesiti abrogativi su quattro aspetti centrali della legge 107, che a nostro avviso non solo colpiscono al cuore la vita quotidiana delle nostre scuole, dei nostri studenti e di coloro che con passione, coraggio e tanta abnegazione vi lavorano, ma contengono tratti incostituzionali che confliggono con le prescrizioni di quella Costituzione del 1948.
Spiegheremo che la scuola per migliorare la qualità dell'offerta formativa deve rimanere una comunità democratica. Invece la 107 impone un modello autoritario di organizzazione delle scuole che indebolisce democrazia e contrattazione per concentrare i poteri nella mani dei dirigenti scolastici, i quali vengono pagati meno, scaricando su di loro tutte le responsabilità del funzionamento o meno delle scuole, a prescindere dalle condizioni di contesto. Il personale Ata è stato completamente ignorato dalla legge sulla brutta scuola quasi fosse insignificante rispetto all'obiettivo di innovare il sistema d'istruzione e l'organizzazione delle autonomie scolastiche.
Per questa ragione chiediamo che vanno cancellati i poteri assegnati ai dirigenti scolastici trasformandoli in terminali burocratici e amministrativi e distogliendoli dalla organizzazione didattica. Spiegheremo che questa notevole dilatazione si spinge fino alla autocratica decisione di selezione del personale docente, col rischio di limitare enormemente la libertà e la laicità dell'insegnamento nella scuola pubblica, proprio come prescrive la Costituzione. Noi vogliamo valorizzare pienamente la professionalità e le competenze dei dirigenti scolastici che devono essere il riferimento fondamentale per una scuola che sia in sintonia con i contesti territoriali e sociali in cui le scuole operano e non un luogo chiuso in sé stesso. E diremo ai cittadini che va abolito quell'articolo che istituisce i comitati di valutazione con finalità premiali, riproponendo una questione democratica e la funzione insostituibile delle Rsu e degli organi collegiali nella scuola pubblica.
E infine, chiederemo di abrogare la norma che impone una quantità oraria minima nella alternanza scuola-lavoro. Siamo favorevoli all'obbligatorietà dell'alternanza ma devono essere le scuole a decidere percorsi, ore e individuazione delle imprese e dei soggetti disponibili che devono rispondere a precisi requisiti formativi, di innovazione e di rispetto dei diritti degli studenti in formazione. Nella legge 107 si sono seguite unicamente le logiche dettate dalle necessità e dai bisogni delle aziende, che così possono accedere a un bacino di manodopera a buon mercato, se non a costo zero, senza alcun tipo di legame con il piano formativo, privilegiando il saper fare sul sapere. In sostanza, la scuola del futuro sarebbe quella che privilegia il profilo addestrativo sulla cultura. Ciò significa stravolgere la funzione della scuola, ridurre i livelli di istruzione senza garantire una proficuo rapporto tra scuola e lavoro. La questione generale resta: chi e come detta le regole nella scuola pubblica? E se i modelli organizzativi autoritari, come previsto dall'applicazione della 107, superano quelle relative alla didattica, non dovremmo sollevare obiezioni e rivendicare cambiamenti sostanziali della legge? Perché continuare a preoccuparsi delle scuole private e non garantire più risorse alle scuole statali, a partire dal sud, e a quelle impegnate nel contrastare nelle periferie urbane la disgregazione sociale e la povertà educativa? Vogliamo aprire con i quesiti referendari un ampio dibattito pubblico per riscrivere dal basso una vera riforma della scuola pubblica e per innalzare i livelli d'istruzione garantendo a tutti l'accesso ai saperi.
Questo per ciò che riguarda le motivazioni di merito. Vi sono poi motivazioni di natura politica molto forti, che ci hanno spinti verso la scelta del referendum abrogativo, non a caso, insieme a tante altre forze sociali, anche di culture e di ispirazioni ideali differenti dalle nostre. Cito qui una sola, forte e specifica motivazione: sia nella fase del dibattito pubblico che ha preceduto il voto parlamentare sulla legge 107, sia successivamente, quando si è trattato di costruire l'architettura organizzativa con deleghe specifiche, il governo Renzi ha deciso di non interpellare mai i rappresentanti dei lavoratori della scuola, in qualche modo delegittimandoli e considerandoli "inutili". È qui la ferita al processo democratico, che certo si fonda sull'autonomia del Parlamento e delle forze politiche, ma che deve seguire il dettato Costituzionale che all'articolo 39, ultimo comma, parla esplicitamente della funzione democratica della rappresentatività sindacale, in materia di contratti collettivi e di organizzazione del lavoro.
Un esecutivo che non cura secondo i principi democratici le relazioni sindacali, viola la Costituzione e i diritti fondamentali dei lavoratori. Vogliamo ricordare che il contratto nazionale è bloccato per tutti i dipendenti pubblici dal 2010 con notevole perdita del potere d'acquisto dei salari e mancata valorizzazione professionale. Così come non è affatto vero che si è eliminato il precariato dalla scuola. Anzi, si stanno determinando nuove discriminazioni e inedite ingiustizie nei confronti di tantissimi precari.
Nel settantesimo anniversario della Repubblica, pertanto, recarsi al banchetto della Flc Cgil e dei comitati promotori per firmare i quattro quesiti ha anche un importante valore di difesa della democrazia repubblicana e costituzionale.