Unità/Roma: «Mia figlia non imparerà quel canto a favore dei rom»
scuola la maestra di religione prepara la recita natalizia e insegna ai bambini un ritornello che recita: «Sono fiero di essere rom» Ma un padre contesta la scelta didattica: «Insegnamento sbagliato, i nostri figli devono sentirsi orgogliosi solo di essere italiani»
«Mia figlia non imparerà quel canto a favore dei rom»
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di Mariagrazia Gerina
«Rom, rom, rom, sono fiero di essere rom», recitava la canzoncina. Uno dei sei brani cantanti che i bambini della quarta elementare Pizzetti hanno cominciato a imparare in vista della recita natalizia. Titolo: «Amici per la pelle». Un testo per l’infanzia pubblicato dalle Edizioni Paoline. Tutta una storia su come colorare il mondo, ribaltando pregiudizi e povertà che lo hanno reso grigio. C’è Mustafà: «La tua mamma porta il velo e la mia porta il foulard... Sei venuto da lontano, per raggiungere il papà». C’è il barbone Benedetto: «Non aveva neanche un letto». C’è la sorellina adottata: «Benvenuta... finalmente ti han trovata babbo e mamma in capo al mondo». E infine il bimbo rom: «C’è chi mi chiama zingaro, chi nomade o zigano, chi mi sfugge per la strada quando tendo la mano, ma ti invito al mio campo per conoscerci un po’, noi siamo un grande popolo, il popol dei rom».
La maestra di religione l’aveva scelta al posto della classica sacra rappresentazione con Gesù Bambino, bue e asinello. Soprattutto, per non escludere almeno dalla recita natalizia l’unica bambina che, essendo musulmana, non frequenta le ore di religione: «Niente riferimenti al Vangelo, solo valori universali: pace, solidarietà. Mi sembrava un testo adatto». Ma appena ha cominciato ad insegnare ai bambini quel ritornello su «sinti e gitani» sono cominciati i problemi.
Si sa come funziona. I bambini tornano a casa raccontano quello che hanno fatto in classe e se hanno imparato una nuova canzone la canticchiano ai genitori.
A qualche genitore, però, quel refrain sull’orgoglio rom proprio non è piaciuto. «Maestra, papà ha detto che non devo cantarlo più», riferisce all’insegnante una bambina, seguita a ruota da altre due. Una mini-delegazione, a cui prende parte anche l’alunna di religione musulmana: «Mamma mi ha detto di non cantarla».
A volte i bambini si nascondono dietro i «no» dei genitori. Ma non è questo il caso. «Ha capito bene, non voglio che mia figlia canti che è orgogliosa di essere rom, lei è fiera di essere italiana», ha spiegato alla maestra quel papà, minacciando addirittura denunce, in nome della Costituzione. Mentre la mamma della bambina musulmana è andata via senza fermarsi a spiegare il perché della sua contrarietà.
Risultato: per ora, di fatto, le prove della recita sono sospese per qualche giorno in attesa di ulteriori chiarimenti. «Ci vuole tempo e pazienza per lavorare sui pregiudizi, il muro contro muro è controproducente», ragiona il preside, disposto a cercare una soluzione condivisa, ma intenzionato a difendere la scelta dell’insegnante e quel piccolo inno al popolo rom: «È una canzone carina e mi sembra una buona cosa che i bambini la imparino», spiega Stefano Bossi, da due anni preside del 103° circolo didattico che riunisce la elementare Pizzetti, in via della Pisana, e la Angelo Celli, in via dei Torriani. Due delle tante scuole dove la multiculturalità è di casa e dove in questi anni hanno studiato i bambini del Residence Bravetta come quelli del Campo nomadi di Villa Troili.
«L’integrazione tra i bambini è una cosa molto spontanea, se mai, quando, raramente, nasce un problema, viene dai genitori», spiega il preside che, nonostante lo smantellamento del campo, quest’anno conta tra i banchi dieci alunni rom regolarmente frequentanti (altri cinque sono iscritti, ma di fatto non frequentano già più) e spera di poter aprire al più presto le porte della sua scuola anche alle loro mamme per un corso pomeridiano di italiano.
«È inutile che rendiamo bello esternamente un edificio se poi all’interno non siamo convinti che è giusto accoglier tutti i bambini (e forse andare a cercarli per strada!)», ha scritto pochi giorni fa in una lettera invita a titolo personale al corpo docente. Chissà che quella lettera non decida di spedirla ora anche ai genitori.
Prossimo appuntamento, a dicembre, per la presentazione del menù multietnico, che, dopo le polemiche, riprenderà il suo calendario culinario con un pranzo a base di cucina romena. Bossi, a dispetto del cognome, ha pensato di invitare i rappresentanti di una comunità rom che vengono dalla Romania. «L’importante è spiegare con attenzione le cose che si fanno», osserva il preside, fiducioso di poter risolvere nel frattempo anche la questione della recita scolastica. «La multiculturalità è ancora un valore per la scuola», concordano preside e insegnante, che si confessano divisi dalle idee politiche, ma per fortuna uniti su cosa sia giusto insegnare a un bambino di nove anni. E sui valori contenuti nella Costituzione.Mariagrazia Gerina