Unità/Roma: «Gli sgomberi allontanano i rom dalle scuole»
L’Arci replica al libro di Bruno Vespa: il 50% dei bambini dei campi va a scuola e la spesa è di 4,50 euro al giorno
di Luciana Cimino
CERTI BAMBINI percorrono anche 60 chilometri al giorno per andare e tornare da scuola. Certi bambini studiano, quando possono, in container senza luce né acqua corrente. Sono i figli dei rom che vivono nei campi della Capitale. Per questi bambini, Bru-
no Vespa sostiene, nel suo nuovo libro, che il Comune di Roma spenda milioni di euro, quasi «quanto la retta di una costosa scuola privata». Il volume uscirà il 3 ottobre ma le anticipazioni sul capitolo che riguarda la scolarizzazione dei bambini rom sono state riprese con clamore dai giornali vicini al centrodestra. E l’accusa, neanche velata, alle associazioni che se ne occupano (come Arci, Capodarco, Opera Nomadi, solo per citarne alcune) è di «gonfiare i dati delle frequenze». «Non capiamo il motivo per cui dovremmo farlo – risponde il presidente di Arci Solidarietà, Sergio Giovagnoli - non lavoriamo a cottimo». I numeri forniti dall’Arci parlano di un 50% di bambini inseriti nei progetti di integrazione scolastica che viene promosso e di un cospicuo numero che termina la scuola media e addirittura si iscrive alla superiori, «una cosa impensabile fino a sei anni fa». «Il servizio, al netto del trasporto, costa 1038 euro a bambino; 4 euro e cinquanta al giorno incluse attività, come quelle estive o natalizie, e laboratori di cui usufruiscono anche i loro compagni di classe italiani». Al conto di Vespa sfuggono anche quanti vengono accompagnati a scuola dai propri genitori, che è, per le associazioni, «un segnale di autonomia e di successo dei progetti». L’Arci sta meditando di intentare una causa civile contro il conduttore di Porta a Porta per chiedere il risarcimento danni ma questi si difende: «i dati sulla frequenza dei bambini rom provenienti dai campi di Castel Romano e Tor dè Cenci sono stati ricavati dai tabulati dell’Arci e confrontati con i tabulati delle scuole, se fosse necessario non avrei difficoltà a esibirli in tribunale». L’associazione intende però proseguire, chiede a Vespa un incontro pubblico per confrontare i dati attraverso un ragionamento che non sia schiacciato solo sui numeri» e intanto ci tiene a sottolineare «quello che sta dietro ad ogni bambino accompagnato sulle scale della scuola». Il lavoro degli operatori (che guadagnano una media di 700 euro mensili) comincia sensibilizzando i genitori, «l’iscrizione è un primo passo significativo ma non scontato». Poi ci sono altre variabili, come la distanza del campo dalla città, le condizioni dello stesso, l’integrazione con le reti di quartiere che fanno la differenza sulla motivazione a frequentare, sull’autostima, sul rapporto con i coetanei. «Ci sono campi che stanno diventando centrali dello spaccio e questo compromette la nostra attività e le condizioni di vita dei ragazzi su cui stiamo lavorando». E poi ci sono problemi logistici non indifferenti. «Il campo di Villa Troili – racconta Marco Brazzoduro, professore di Politica Sociale alla Sapienza e membro della Federazione Rom e Sinti – è stato sgomberato a marzo dello scorso anno e 28 famiglie sono state dislocate in altri campi, è facile intuire che per i loro figli la scuola è finita li, sono gli sgomberi improvvisi e coatti il peggior nemico della scolarizzazione». «L’alternativa a questo tipo di interventi – aggiunge Giovagnoli - rimane l’esclusione dei giovani rom da ogni contatto con la società e una maggiore entrata nel circuito penale i cui costi sono nettamente superiori». L’Arci attende comunque un incontro con l’assessore alle Politiche scolastiche del Comune di Roma, Laura Marsilio: «lo abbiamo chiesto mesi fa ma nulla, un monitoraggio serio su questo lavoro è auspicabile». Rimane da capire perché i dati raccolti da Vespa, siano stati diffusi con tanta risonanza. Non ha dubbi Diana Pavlovich, attrice rom, già candidata alla Camera con la Sinistra Arcobaleno. «Mi sembra un’operazione politica chiara. Per un bambino rom andare a scuola è già difficile, seminare questo tipo di dubbi è un atto di vigliaccheria, senza dubbio». Lo stesso per Brazzoduro: «è un caso creato ad arte dalla destra romana per fare leva sull’antiziganismo montante».