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Unità-Mafia, a Palermo studenti contro la polizia

Mafia, a Palermo studenti contro la polizia Alcuni ragazzi urlano "sporchi sbirri" alla commemorazione di un giornalista ucciso da Cosa Nostra Marzio Tristano PALERMO Il silenzio ...

27/01/2005
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l'Unità

Mafia, a Palermo studenti contro la polizia

Alcuni ragazzi urlano "sporchi sbirri" alla commemorazione di un giornalista ucciso da Cosa Nostra

Marzio Tristano

PALERMO Il silenzio dell'emozione è rotto da grida lontane, eppure perfettamente decifrabili: "sbirri di m..., figli di p...". Due agenti sbiancano, si scambiano occhiate d'intesa, individuano subito la fonte delle urla: affacciati alle finestre della media Pecoraro, nella zona residenziale di via Belgio, un pugno di ragazzini di undici, dodici e tredici anni, probabilmente nell'ora di ricreazione, gridano insulti e offese all'indirizzo di poliziotti e carabinieri impegnati, insieme a cronisti, prefetto, questore e magistrati, a commemorare il 26° anniversario dell'uccisione di Mario Francese, cronista giudiziario del Giornale di Sicilia. Non siamo a Brancaccio, o nell'area popolare dello Zen: la scuola sorge in un quartiere bene della zona ovest di Palermo, nato negli anni sessanta sotto la spinta dell'espansione edilizia che qui portò impiegati e professionisti. Lo sa bene la preside, che ai funzionari di polizia subito corsi a capire che cosa fosse successo replica secca preoccupandosi di difendere il buon nome del rione: "saranno studenti di altri quartieri". E promette un'indagine interna della quale "non saranno resi noti i risultati".
Gesto volgare, isolato o meno, è la spia che a Palermo la cultura dell'antistato sale lungo le pendici di un iceberg sociale sommerso e affiora in superficie in zone mai toccate dal degrado o dalla miseria. Cambia il refrain, ma il senso è lo stesso delle parole di fuoco dei ragazzi di Brancaccio, raccontati nel film di Roberto Faenza Alla luce del sole: boss è bello, fa guadagnare, fa quel che gli pare. Qui, nel salotto bene della città, dalle finestre di un edificio che dovrebbe educare alla legalità, si usa un termine antico, 'sbirro', per indicare il nemico per eccellenza, il poliziotto. Non è sorpreso Michele Costa, figlio del procuratore ucciso dalla mafia, ed assessore dimissionario della giunta di centrodestra di Palermo in polemica con il sindaco Cammarata: "Legalità? Una ricerca condotta due anni fa in nove scuole della città accertò che molti studenti non ne conoscevano il significato - dice Costa - l'associavano alla parola legame, senza capirne il senso. In quella ricerca Falcone e Borsellino erano definiti eroi inutili, che la morte se l'erano cercata". La conclusione è amara: "Gli sforzi compiuti in oltre un ventennio per inculcare nei giovani una cultura antimafiosa non hanno dato i risultati sperati". Ci dovevano pensare gli insegnanti, accusati spesso di avere interpretato troppo burocraticamente la propria mission pedagogica in terra di mafia: "Una professoressa ci ha detto: quei ragazzi sono liberi di fare ciò che vogliono durante l'ora di ricreazione - dice Leone Zingales, segretario dell'unione cronisti - parole che mi hanno molto sorpreso". Nessuno degli uomini politici ha commentato l'episodio, così come nessuno dei politici era presente alla commemorazione di Mario Francese: forte la tentazione di non enfatizzare una parola, sbirro, che a Palermo risuona migliaia di volte al giorno, ma che nessuno aveva finora gridato, aggiungendovi le offese, contro rappresentanti dello Stato impegnati in una commemorazione. Spia di un malessere che sale cui i ragazzi danno voce, e che abbraccia ampi strati della società palermitana: i "picciotti" di via Belgio gridano "sbirro", quelli di Brancaccio scrivono sui muri "w la mafia". E gli adulti? "C'è un bisogno insopprimibile di mafia nella società siciliana - scrivono i giornalisti Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo, che all'argomento hanno dedicato un libro - si cerca la sua capacità di mediazione". Per evitare questo rischio i Ds siciliani hanno proposto di inserire nello statuto una norma che recita pressappoco così: "La Sicilia ripudia la mafia". Hanno lanciato l'idea in un convegno tenuto venerdi a Palermo, che ha lasciato perplesso il professore Piero Violante: "Se ripudiamo la mafia come la Costituzione ripudia la guerra - ha detto - dovremmo ammettere che la mafia è un modello di sviluppo dello Stato".


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