Unità/Bologna: Tutti in corsa per la cattedra. ma i precari restano a secco
La fila all’Usr Manca poco al suono della campanella e le scuole superiori sono nel caos. Gli assunti sono in fila davanti al Provveditorato per la ricollocazione, dopo aver perso la cattedra per via dei tagli. I precari lanciano una campagna
Alice Loreti
Se collabori sei out». Il Coordinamento precari delle scuole bolognesi torna sul piede di guerra. E lo fa con una campagna rivolta ai colleghi assunti. «La non collaborazione finalmente è sulla bocca di tutti - c’è scritto sul volantino -. Ora mettiamola in pratica ». Sotto, quattro vignette che rappresentano due donne. Una ha un contratto a tempo indeterminato, l’altra è una precaria e vive di supplenze. «Perché non dovrei accettare ore aggiuntive?» chiede la prima. «Perché lavori al posto di un altro», risponde la seconda. Non è una guerra, sia chiaro. Ma una richiesta di aiuto e solidarietà che i precari lanciano nel disastrato mondo della scuola. Matteo ha 31 anni e da 4 lavora come docente di italiano alle superiori. Per arrivarci ha studiato, e tanto. Prima l’università, poi la Ssis, i corsi di abilitazione. Soldi, impegno e passione. «Mi sono iscritto alla Ssis quando il ministro Fioroni promise 150 mila assunzioni di docenti. Poi non se ne è più fatto nulla». Matteo ha sempre campato grazie alle supplenze annuali: Imola, Crevalcore, Castiglione. La scuola chiama e lui risponde. Ma da settembre, la musica cambierà. Le scuole superiori sono le più colpite quest’anno, tra tagli e riforma Gelmini. Su 197 nuove immissioni in ruolo a Bologna, sono solo 9 le cattedre. «Dovrò vivere attaccato al telefono - racconta Matteo - in attesa che mi chiami un preside per farmi fare una supplenza. È quasi impossibile che riesca ad averne una annuale. Lo scorso anno è stato quello della mazzata a elementari e medie. Quest’anno tocca alle superiori ». In queste circostanze, l’obiettivo è uno: salvare lo stipendio. E se non arriva dalla scuola, allora bisogna trovare un’altra strada. «Ci sto pensando - continua -. È difficile immaginare di fare altro,maper arrangiarmi sono pronto anche a lavare piatti». A cambiare occupazione e prospettiva: «Da un progetto di vita ad un mezzo di sopravvivenza». Susanna di anni ne ha 49 ed è precaria da 11. Insegna inglese alle medie e alle superiori e detiene un record: «Ho girato tutte le scuole dell’Appennino ». Per 9 anni ha fatto supplenze “spot”: una settimana di qua, un mese di là. Poi, negli ultimi due anni, sono arrivati gli incarichi annuali. «Quest’anno chissà se mi chiameranno,maci credo poco». Anche lei ha studiato tanto per prepararsi: l’università, lunghi soggiorni all’estero per imparare l’inglese alla perfezione. «Sto pensando a cosa poter fare per sopravvivere - dice -. Non so davvero come campare senza questo lavoro. Io faccio l’insegnante per scelta, perché voglio farlo. E per fortuna vivo sola, se no come farei?». Edoardo ha 33 anni e insegna italiano alle medie da 4. L’anno scorso ha avuto ben 4 supplenze, roba da Risiko. «A settembre sono stato a casa - elenca - poi ottobre e novembre ho lavorato, a dicembre ancora a casa e da metà gennaio fino alla fine della scuola ho lavorato». Tutti istituti diversi, manco a dirlo, e tutti in provincia di Bologna. «La mia prospettiva? - si chiede -. Stare a casa. I tagli avanzano inesorabili». E in prima linea ci sono proprio i precari. «Per ora non ho alternative, vorrei insistere su questa strada. Per avere lo stipendio qualche lavoretto si trova. Speriamo». Già, bella cosa la speranza. Ma non basta di fronte al sistematico smantellamento della scuola pubblica operata dall’inarrestabile duo Gelmini-Tremonti. E così i precari bolognesi hanno deciso di chiedere una mano a chi ha già passato il loro calvario, in tempi diversi. Quando alla fine, con un pò di pazienza, il tempo indeterminato arrivava. «Se gli assunti accettano questo sistema - spiegano -, ovvero cattedre che superano il monte orario previsto dal contratto, ore aggiuntive per coprire le assenze, la pratica sempre più diffusa dello smembramento delle classi, il silenzio di fronte ad aule sovraffollate, di fatto collaborano con il disegno di dismissione della scuola pubblica. E con il nostro licenziamento ». Da qui, lo slogan. Perché chi tappa i buchi che dovrebbero spettare a un precario, «è out».