Unità/Bologna: L’autunno caldo dell’Università
L’Alma Mater fa i conti con i tagli di Tremonti. La Cgil: ricadute sul numero dei laureati «Il governo propone le Fondazioni? Ma se i privati preferiscono comprare brevetti all’estero»
Ateneo, coi tagli più precari e meno lauree
Gli effetti del maxiemendamento Tremonti. Gli studenti temono nuovi aumenti delle tasse
Antonella Cardone
Si prepara un autunno caldo per l’Università di Bologna: per protestare contro i tagli del Governo Berlusconi che, nella migliore delle ipotesi, decurteranno di quasi l’8% i bilanci dell’Ateneo, è in preparazione una grossa mobilitazione che coinvolgerà rettori, professori, studenti, ricercatori. C’è chi propone di esporre il vessillo dell’Alma Mater con il lutto, c’è chi rilancia con il blocco delle sessioni di laurea, delle lezioni e degli esami. Le idee sono tante mentre si attende la conversione del maxiemendamento Tremonti in legge per valutare la reale portata della rivoluzione annunciata, che comprende anche la trasformazione degli atenei in fondazioni private, poi il rientro, a settembre, degli studenti in sede. Ma l’università è già in fermento: lunedì i senati accademici e i cda delle quattro università emiliano-romagnole si riuniranno a Bologna per discutere, insieme al presidente della Regione Vasco Errani, gli emendamenti della manovra riguardanti il mondo accademico. E i sindacati hanno già prodotto un documento In cui invocano "l’unità di intenti" e il coinvolgimento di "studenti, città e istituzioni".
DEL RESTO LE PROSPETTIVE per il mondo accademico sono davvero nere. Ad esempio, il governo imporrà che dal 2009 non vengano più avviate regolarizzazioni per i precari: l'attesa per nuove assunzioni, visto che già per il 2008 la precedente Finanziaria
di Prodi aveva sospeso il turn over, è dilatata fino a data da destinarsi. Blocco prolungato anche per il futuro: dall'anno prossimo e fino al 2011 per ogni dieci docenti in pensione, ne verranno assunti solo due. Dal 2012 ogni dieci uscite si avranno cinque rimpiazzi. Vincoli che, osserva la Conferenza dei rettori, non tengono conto dei posti già banditi di professore e di ricercatore e dei conseguenti impegni di assunzione, con una conseguente penalizzazione delle possibilità di accesso, che andrebbero invece incentivate, dei giovani ricercatori". Sfrondati anche gli stipendi dei docenti, con gli scatti di anzianità biennali che diventeranno triennali, e i fondi statali che ogni anno vengono assegnati agli atenei. Per Bologna è già certo un taglio nel 2009 di 3,7 milioni di euro, per gli anni successivi dipenderà da come saranno ripartite le riduzioni, ma i parlamentari del Pd hanno già calcolato una decurtazione complessiva, fino al 2013, che va da un minimo di 26,5 a un massimo di 30,2 milioni di euro.
Piove sul bagnato, insomma: i rettori ricordano «l'ormai cronico sottofinanziamento del sistema universitario italiano rispetto agli standard internazionali», i sindacati puntano l'attenzione sul destino delle migliaia di precari, gli studenti temono un immediato aumento delle tasse universitarie. «Il rischio è forte perché i tagli vanno a colpire un bilancio composto in gran parte dalle spese per i suoi 6.000 docenti e dipendenti, cui comunque va assicurato lo stipendio - osserva dalla Cgil Sandra Soster - e a medio termine questo avrà effetto anche sul numero di laureati. Molti abbandoneranno gli studi perché non potranno più permetterseli. E dire che con la trasformazione in fondazioni le università più meritevoli recupereranno nuovi fondi è una boutade ideologica per coprire la natura vera del provvedimento: assestare un colpo mortale alla possibilità di vita dell'università pubblica».
In generale il disinvestimento sui giovani è fortissimo, in controtendenza con quanto stava facendo l'ateneo. Ricorda la Soster che l'Alma Mater negli ultimi 6 anni ha aumentato del 6,8% il numero di ricercatori, e fatto calare dello 0,6% i docenti. Ma rimangono ancora almeno 4.000 precari: per loro il Governo mette una pietra tombale sulla possibilità che vengano assunti". Per non parlare del destino della ricerca italiana. Già oggi l'85% viene fatta negli atenei, che hanno l'esclusiva della ricerca di base. "Se un'università - osserva la sindacalista - si trova spendere più del 95% dei suoi fondi per gli stipendi, rimarranno solo briciole per le altre cose. E se ci aspettiamo che le future fondazioni vengano finanziate dai privati, stiamo freschi: già latitano per la ricerca, preferiscono comprare i brevetti già pronti».