Trattenere in classe i ragazzi dello Zen. La lotta quotidiana dei professore
Com'è difficile mantenere la disciplina alla scuola Falcone. Se un alunno non viene rimproverato per sette giorni, vince le figurine dei calciatori. Se si comporta bene tutto l'anno, riceve un pallone
di Claudia Brunetto
Il suo primo anno, alla scuola Falcone dello Zen, è stato un duro banco di prova. Ha rischiato di non essere riconfermata perché persino riuscire a fare l'appello, in quelle classi di scalmanati, non era scontato. Rossana De Simone, 45 anni, insegnante di Lettere di ruolo, in tre anni di lavoro allo Zen ha dovuto costruirsi nuovi metodi per esercitare la professione, dimenticando tutto quello che aveva imparato. Perché alla Falcone, una delle scuole più a rischio della città, l'insegnante deve imparare a difendersi, a prevenire gli scoppi di rabbia, a tutelare non solo la professione di insegnante ma anche la sua incolumità personale.
E poi bisogna fronteggiare gli altri ragazzi del quartiere, quelli che stanno fuori e che durante le ore di lezione si affacciano alle finestre per salutare gli amici seduti dietro i banchi o si divertono a tirare sassi contro la classe e l'insegnante. Non a caso le finestre, alla scuola Falcone, sono tutte protette da grate per evitare che gli alunni scappino dalle aule o che qualcuno entri improvvisamente. E ci sono docenti che raccontano di avere dovuto perfino piazzare la cattedra davanti alla porta per evitare un esodo di massa durante la lezione.
"Tutto quello che ho imparato dalla pedagogia - dice la De Simone - qui non serve a nulla. Bisogna dimenticare i libri e fidarsi dell'istinto. Il mio primo giorno di scuola allo Zen è stato un trauma, non sono riuscita a fare l'appello e ho stilato una nota disciplinare nei confronti dell'intera classe, ma ho capito che anche quel provvedimento non li intimoriva. Le note, qui, le prendono tutti e in quantità".
Allora la professoressa ha costruito un metodo pedagogico semplice ma efficace, dal momento che gli alunni sopra ogni cosa amano giocare a pallone. Se un ragazzo non prende note per una settimana, avrà in premio un paio di pacchetti di figurine dei calciatori; se ha una condotta esemplare per un mese intero, meriterà l'album della squadra del cuore e se la disciplina è impeccabile per tutto l'anno, riceverà un pallone di cuoio. Come è accaduto a Marco, alunno della prima D.
"Ho la borsa - racconta la professoressa - sempre piena di caramelle, cioccolatini e leccalecca. Per farli stare buoni e attenti, a volte, basta promettere un piccolo premio, anche una caramella. Lo so, a molti sembreranno metodi antieducativi, ma qui funzionano. E i ragazzi, per un album dei calciatori, sono disposti anche a mettere la testa sui libri e riescono a garantirsi così l'ammissione all'anno successivo. Alla fine è questo che conta".
La vita quotidiana, in una scuola come la Falcone, ha le sue piccole regole: l'insegnante non può allontanarsi per andare al bagno se non trova un collega che lo sostituisca; non esiste la "lezione frontale", i libri e i materiali didattici si riportano a casa ogni giorno per timore di furti; gli alunni non acquistano i libri e gli insegnanti vanno avanti facendo le fotocopie.
Anche se in tre anni di duro lavoro qualche traguardo è stato conquistato, Rossana De Simone ammette che ogni mattina la prima cosa da fare è raccogliere gli alunni dalla strada e portarli in classe. Spesso è necessario chiamare i genitori a casa se gli alunni non frequentano. A volte però il numero telefonico che i ragazzi hanno lasciato alla segreteria della scuola è volutamente sbagliato, e allora la prof-missionaria bussa direttamente alla porta di casa.
Iniziativa non sempre gradita dalle famiglie dello Zen, che ci tengono a tenere separata la vita della scuola da quella familiare. "C'è stata la rivolta del quartiere - racconta la De Simone - quando sono andata a prendere un bambino a casa perché non veniva a scuola da tempo. Anche lui era scioccato nel vedermi lì, davanti alla sua porta. Ho rischiato grosso. Qui bisogna essere forti ed equilibrati, non lasciarsi prendere dall'emotività".
Gli spintoni e il faccia a faccia, in segno di sfida, sono all'ordine del giorno. E anche i danneggiamenti alle auto.
"Magari sono ragazzi esterni alla scuola - dice la De Simone - sta di fatto che trovare gli specchietti dell'auto rotti è la norma". Poi ci sono alcune cose da apprendere in fretta. Per fare un solo esempio, se due ragazzi litigano e "si afferrano", è meglio non mettersi in mezzo. Il rischio è quello di finire al pronto soccorso. Come accadde a quell'insegnante, ricorda il preside Domenico Di Fatta, che si beccò una testata tentando di sedare una rissa fra compagni, o a un'altra docente che si vide arrivare una sedia dritta sulla caviglia.
"Se ci provi - dice la professoressa - ti becchi certamente un pugno o un calcio: meglio fare smaltire la rabbia. E poi lo scontro non paga mai con questi ragazzi. La fiducia e il rispetto si conquistano con altri metodi, percorrendo strade magari più lunghe che alla fine però pagano. Sembra strano, ma quello che vogliono gli alunni è sentirsi considerati, in qualche modo amati, importanti per qualcuno".
Se da un lato insegnare in una scuola del genere è una lotta quotidiana, dall'altro ti assorbe completamente. Per questi professori, la scuola è come la famiglia, non esistono orari e non ci si occupa soltanto delle proprie classi, ma di tutta l'utenza. Per questo la più grande sconfitta, per un docente della Falcone, è vedere un ragazzo lasciare la scuola.
"Anche se ne perdiamo uno solo - dice Rossana De Simone - per me è una tragedia. Qui ci spendiamo tanto, investiamo tante energie per attirarli a scuola, per trasmettere messaggi educativi che spesso si scontrano con quelli delle famiglie. E quando ti accorgi che, nonostante tutti gli sforzi, si perdono, non ti rassegni facilmente. Ma bisogna sempre insistere e andare avanti. Insegnare qui è una missione che dà anche tante soddisfazioni".