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Repubblica-Torino-Quando le 4 ore non bastarono più

Torino città-pilota nei progetti educativi quel sogno di 35 anni fa raccontato oggi Quando le 4 ore non bastarono più Il sacro tempo pieno a rischio con la Moratti "Ormai non è più un prob...

31/05/2003
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la Repubblica

Torino città-pilota nei progetti educativi quel sogno di 35 anni fa raccontato oggi
Quando le 4 ore non bastarono più
Il sacro tempo pieno a rischio con la Moratti

"Ormai non è più un problema di custodia"
Comencini firmò una serie di colloqui coi ragazzi
"Non avevamo una lira per le attività. A un certo punto ci diedero la mensa dei poveri"
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
MARCO TRABUCCO

E che adesso, se la riforma Moratti passerà così come è stata annunciata, rischia di scomparire.
Casati e Nino Costa: la prima vecchia scuola elementare in un quartiere operaio di Torino, Cenisia. La seconda una scuola "nuova", la tipica scuola anni Sessanta, in via Sansovino, al confine tra due quartieri costruiti per ospitare le ondate migratorie dal Sud, Lucento e le Vallette. La scuola dei figli di quegli immigrati.
Due scuole. E due personaggi che furono i padri del "tempo pieno": Gianni Dolino, nel '69 direttore didattico alla Casati, poi assessore comunale (scomparso un anno fa). E Fiorenzo Alfieri (l'attuale assessore comunale alla cultura), allora giovane maestro alla Nino Costa. "Avevo iniziato a lavorarci nel '63-'64 - racconta - con Daria Ridolfi e con Maria Teresa Fontana, che poi è diventata mia moglie. E ci eravamo accorti che non eravamo preparati per insegnare, soprattutto in quelle condizioni". Classi di 35, 40 bambini, in gran maggioranza figli di immigrati con situazioni sociali e familiari difficili, spesso con genitori semianalfabeti, e con difficoltà anche solo nel parlare italiano. "Bambini - spiegava Gianni Dolino nel documentario di Comencini - destinati alle classi differenziali. E che invece, in base a tutte le indagini che avevamo fatto, avevano capacità cognitive e di relazioni uguali a quelle dei loro coetanei più fortunati".
Scolari per cui la scuola tradizionale non bastava. "Noi - racconta Alfieri - abbiamo iniziato subito a frequentare il Movimento Cooperazione educativa che allora era all'avanguardia in Italia. E abbiamo costituito il gruppo torinese. E a poco a poco abbiamo cambiato il nostro modo di insegnare". Così si è arrivati al tempo pieno: "A differenza di quello che si crede - spiega - non è nato per tenere i bambini lontano dalla strada, ma al contrario per ragioni didattiche: sono stati proprio gli scolari a chiedercelo. Noi oltre al programma classico, facevamo molte altre attività per stimolare l'intelligenza e la creatività: teatro, disegno, musica. E i bambini si sono accorti prima di noi che le quattro ore al mattino non bastavano per tutto".
Fu così, era l'anno scolastico '68-'69, che un gruppo di maestri della Nino Costa (e alla Casati) decise di prolungarsi volontariamente (e gratis) l'orario: "Non era strano per noi che già ci pagavamo tutto i materiale necessario per le attività che facevamo. Le scuole non avevano una lira da darci. L'unico aiuto era poter utilizzare la mensa del cosiddetto Patronato Scolastico, il doposcuola "per poveri" che era già stato istituito da qualche anno. Il nostro tempo pieno invece era per tutti. Fondamentale era che ci venissero tutti, non solo chi voleva, perché era importante, ed è importante ancora oggi, lavorare sempre con tutti i bambini insieme".
L'esperienza ha successo: i risultati didattici sono ottimi (è sufficiente vedere come parlano bene italiano i tanti bambini intervistati da Comencini nel suo documentario) e alle famiglie certo non dispiace sapere i propri figli a scuola anche il pomeriggio. "Così l'anno dopo l'allora assessore comunale Vinicio Lucci, mise a disposizione alcuni insegnanti comunali del doposcuola del Patronato. Poi nel giugno '70 (sindaco Porcellana) partì da Torino una richiesta al governo perché fosse il ministero a farsi carico di quel problema: e il ministero rispose di sì. A Torino arrivarono ben 80 maestri in più che permisero di allargare l'esperienza del tempo pieno ad altre due scuole, la Pestalozzi e la Ungaretti. Poi nel '71, molto rapidamente, il tempo pieno divenne una legge nazionale, la 820 e si estese in tutto il paese".
"E Torino - racconta Alberto Artioli, oggi sindacalista della Cgil Scuola, allora, dal '71 all'89 maestro proprio all'Ungaretti - è rimasta sempre all'avanguardia. Oggi il 60 per cento delle scuole in città ha il tempo pieno, una percentuale che nella cintura sale a oltre il 90 per cento. La riforma Moratti rischia di azzerare tutto: perché se le ore di "tempo scuola" saranno ridotte da 40 a 30 la settimana come è scritto nelle bozze del decreto attuativo, si tornerà al vecchio doposcuola: al pomeriggio tornerà solo chi vuole e attività come la mensa e il gioco saranno gestite da badanti o da cooperative e non dagli insegnanti come avviene oggi. È molto grave perché quelli sono momenti educativi a tutti gli effetti. L'importanza del tempo pieno non è tanto legata alla custodia. Oggi che i bambini sono spesso figli unici e possono dialogare solo con la tv e con i nonni, credo sia fondamentale per loro avere un luogo, una "piazza sicura" dove socializzare, scambiare esperienze e costruire relazioni con i loro coetanei e con gli adulti. La scuola del tempo pieno è questo".
"Non è solo questione di storia - aggiunge Guido Mantanari, docente del Politecnico e soprattutto padre che fa parte del Movimento dei 500, una associazione di insegnanti e genitori che difende la scuola elementare dal turbinio di riforme - penso a una realtà come quella di San Salvario, dove mia figlia va a scuola, e dove il tempo pieno è fondamentale. Non solo perché tiene a scuola 8 ore i bambini. Lì gli insegnanti hanno costruito esperienze di lavoro con i bambini extracomunitari, per l'insegnamento dell'italiano, per l'integrazione e non solo, che possono essere realizzate proprio grazie al tempo pieno". Come accadeva 30 anni fa con i bambini pugliesi o gli scugnizzi napoletani emigrati a Torino. E come Comencini ha raccontato benissimo nel suo documentario del '69. Forse bisognerebbe farlo sapere (e magari farlo vedere) alla Moratti.


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