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SE NELLE AULE VINCE IL DEGRADO MAURIZIO BARBATO SI SENTE vento di agitazioni studentesche, ...
SE NELLE AULE VINCE IL DEGRADO
MAURIZIO BARBATO
SI SENTE vento di agitazioni studentesche, come ogni anno. Ma speriamo che quest'anno nessuno giudichi sbrigativamente che è il solito paese dei balocchi. Ci saranno certo infantilismi tra gli studenti, ma c'è nelle scuole soprattutto un disagio reale e concreto: ai problemi atavici dell'arretratezza sicula, si mescolano i danni dell'aziendalismo morattiano. Una pozione lenta e letale, di cui si sentono gli effetti. Sugli studenti la miscela agisce da stimolante del ribellismo vivace e spensierato, a volte superficiale. Nei docenti incrementa il rassegnato pessimismo che è diventato il marchio di riconoscimento della categoria.
Ci sono scuole superiori che hanno alimentato a dismisura i propri iscritti, e adesso non hanno aule dove ospitarli. Si fanno i doppi turni, in scuole che una volta non si sarebbe nemmeno pensato. Oppure si fanno lezioni a turno: nel senso che una classe entra e un'altra, per lasciare l'aula libera alla prima, s'inventa una gita, una visita, un cinema. Ci sono scuole, viceversa, in crisi di alunni, che li perdono. E sono, guardacaso, gli istituti del circuito tecnico-professionale che un'inqualificabile politica scolastica sta configurando come scuole di serie B.
Di queste, per giunta, alcune non sperano nemmeno più di essere ogni tanto pulite, perché il personale che una volta puliva, dipendente dagli enti locali, è passato di qualifica e non viene rimpiazzato. Ci sono scuole che non ottengono più supplenti a coprire i vuoti. Perché tutti i docenti, che hanno una cattedra inferiore alle diciotto ore, devono impegnare in supplenze le ore eccedenti; e allora le direzioni costruiscono gli orari come puzzle; e frantumano cattedre, separando insegnamenti nati uniti; e spezzano continuità didattiche, affidando agli insegnanti moncherini di corsi e di sezioni.
Tutto questo - l'edilizia scolastica, il caos nella gestione del personale degli enti locali - appartiene all'eterna arretratezza, all'abitudinario abbandono della scuola siciliana. Ma vi si sovrappone quell'insieme di "novità" (prima i disegni interrotti di Berlinguer, ora l'aziendalismo berlusconiano) che verosimilmente faranno passare alla storia, questi anni, come l'epoca in cui distruggemmo il nostro sistema di istruzione. Non sono colpe soggettive, responsabilità personali, ma conseguenze oggettive di un disporsi delle cose. Nell'era dall'autonomia tutto cade dall'alto come il decreto del fato. I presidi manager sono richiesti quasi ufficialmente di aumentare al massimo il numero di iscritti, senza preoccuparsi troppo. Più iscritti significa più budget per la scuola, più finanziamenti per progetti: quindi un bene per la scuola. Una misura obiettiva del successo. E se in una scuola inizia a decadere la qualità, la perdita di prestigio dell'istituto avviene in tempi più lunghi di una normale carriera. Del resto, mentre il numero di iscritti è un dato certo, il decadere della qualità dell'insegnamento ha una rilevanza di visibilità assai più aleatoria e problematica: non sono i test a misurarla ma il deposito civile e culturale di una generazione o più.
Inoltre per la struttura stessa dei suoi compiti, il dirigente scolastico è portato a interessarsi soprattutto del funzionamento della scuola in generale, e alla sua proiezione esterna nei progetti. Il suo obiettivo è il successo visibile dell'istituzione. L'invisibile vita di classe, i risultati umani e culturali dell'insegnamento, che come è evidente sono sommessi e soprattutto sono individuali e non istituzionali, interessano meno. Il preside guarda la foresta e non vede l'albero. Il docente al contrario, tende a guardare l'albero e non vede la foresta. Quindi tra preside e docenti, tra scuola in quanto progettualità e scuola in quanto vita di classe vi è un conflitto. Che potrebbe armonizzarsi in una comune visione della foresta fatta di alberi. Ma il potere del preside è sproporzionato a suo favore nei confronti di quello dei docenti, anche nella loro collegialità. Mancano contrappesi efficaci. L'istituzione del preside manager, con i suoi interessi istituzionali, finisce col trasformare i rapporti in subordinazioni burocratiche e sorde conflittualità professionali.
Infine la sciagurata l'idea che gli istituti debbano competere tra di loro come se vi fosse un libero mercato dell'istruzione. E potrebbe essere pure una virtuosa idea, se fosse agganciata a una misura di qualità. Invece diventa sciagurata quando si identifica con un mera misura di numero. Allora, la tendenza vincente dell'istituzione si divarica. Da un lato si propone all'esterno, verso il cosiddetto territorio, come moltiplicatrice di servizi utili, destinati a utenti non interni alla scuola; l'istituto scolastico diventa un contenitore di corsi non tenuti dai professori della scuola. D'altro lato si propone all'interno, verso i suoi alunni, come un sistema fondamentalmente adulatorio, che deve trattenere e intrattenere: un servizio tendenzialmente di animatori per adolescenti e giovani.
La quantità si trasforma in qualità, secondo la dialettica di Hegel. La dialettica della scuola trasforma la quantità in degrado.