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Repubblica/Palermo: Questa scuola può uccidere la speranza degli studenti

Il concetto di meritocrazia, già di per sé, è criticabile e problematico. Quando poi lo si impugna per applaudire agli inviti ministeriali a farne fuori di più a scuola, e si fa l´equazione più bocciati, a Palermo in Sicilia e in Italia, uguale più meritocrazia, allora si tocca l´ipocrisia

25/07/2009
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la Repubblica

Maurizio Barbato

Il concetto di meritocrazia, già di per sé, è criticabile e problematico. Quando poi lo si impugna per applaudire agli inviti ministeriali a farne fuori di più a scuola, e si fa l´equazione più bocciati, a Palermo in Sicilia e in Italia, uguale più meritocrazia, allora si tocca l´ipocrisia. Se meritocrazia è favorire sempre i migliori in qualsiasi condizione, allora sarebbe meritocrazia se, pur aumentando il numero di bocciati, mutasse la loro distribuzione, con un incremento maggiore di bocciature nei licei rispetto a tecnici e professionali. Ciò dimostrerebbe che, nel crescere delle bocciature, ha contato di meno il privilegio di partenza e di più ciò che si è potuto fare a scuola; avrebbe assunto più peso la funzione della scuola, nel promuovere l´effettivo merito e capacità indipendentemente dal privilegio socioculturale di partenza. La scuola avrebbe almeno, pur nella severità, assolto al suo mandato di mobilitazione sociale. Ma qui, al contrario, si vuole la scure delle bocciature alle medie inferiori, e sempre i bocciati son di più ai professionali e tecnici che nei licei. Quindi è definita meritocrazia la solita selezione classista. Com´è inevitabile: quando, immutato lasciando (anzi tagliando) tutto il resto, aumentano solo le difficoltà (con in più la falce del voto di condotta), a pagarla sono i più disgraziati, quelli che hanno bisogno di più scuola, i ceti emarginati. I paria del sistema istruzione la cui non integrazione nei saperi e nella cultura fa dell´Italia il pantano stagnante che conosciamo.

Ma c´è una novità. Oggi non siamo tanto di fronte alla solita difesa del privilegio, non torniamo semplicemente alla Lettera a una professoressa di don Milani. S´intravede un altro scopo sociale in queste bocciature: la scuola non c´entra come tale, ciò che si presenta non è un politica scolastica sbagliata. È la coda di una politica repressiva e autoritaria stavolta applicata - dopo gli straneri, i rom, le prostitute, i cortili dei giochi dei bambini, l´anagrafe dei barboni - finalmente alla scuola. È una politica che perverte la giusta domanda di maggiore efficienza formativa, e la butta nello stesso calderone feroce della domanda indifferenziata di sicurezza, di rivincita, di faccia cattiva, di sbrigativa macelleria di chi ha problemi al posto della soluzione del problema. La domanda di efficienza formativa impegna il governo in attività di rinnovamento controllabile. La macelleria risponde invece alla paura, cui dare in pasto quattro disgraziati, nel contempo deresponsabilizzando il governo da ogni politica scolastica da giudicare in sede razionale.
Perché una maggiore severità degli studi può essere necessaria e utile, ma non può esserlo non fare altro che bocciare. Quando si lasciano le scuole senza un euro, quando non esiste più un´edilizia scolastica e le classi rigurgitano, quando programmi e metodi restano in sostanza ai tempi di Gentile, quando non si instaura un serio sistema di recupero, quando il tempo scuola è ancora quello della mamma casalinga, quando i docenti si lasciano frustrati e mal pagati (con la scusa degli aumenti ai migliori), quando i ragazzi vengono lasciati soli a casa a studiare come se avessero biblioteche domestiche, aumentare le bocciature è soltanto dare un bella spinta agli abbandoni scolastici.
E allora la domanda giusta da porsi è: ma siamo sicuri che non sia proprio questo il fine? Non è che, bocciando, stia prevalendo il disegno di una scuola buttafuori, come prevale quello di una società buttafuori? Il presidente della comunità di Sant´Egidio ha trovato la giusta espressione di ciò che sta succedendo: «Rischiamo di far nascere il reato di speranza». Era dunque inevitabile che la politica autoritaria e repressiva giungesse a colpire anche questi altri portatori del reato di speranza, i giovani. E le bocciature assolvono egregiamente al compito, anche agli effetti di psicologia della folla.
Difficile che la politica della bocciatura non trovi consenso nel ventre della società, tra quelle persone convinte a cercare le cause dei loro guai solo negli altri. Infatti la politica delle bocciature restringe, con effetti a cascata che colpiscono tutti gli studenti, la libertà di pensiero e di azione dei giovani, a partire da quell´»osare pensare» di kantiana memoria, ossia il fastidioso e cervellotico pensiero critico e innovativo. Emargina i «cattivi» dai buoni, promettendo implicitamente classi purificate, dal pluralismo sociale, etnico e anche dagli handicap. Individua comodi capri espiatori, che consolano, offrendo nemici alla portata di tutti, dell´incerto avvenire dei figli. Illude che si possa sfoltire la corsa della vita dei figli, eliminando concorrenti. Dà sollievo, individuando i facili colpevoli, al senso di fallimento sociale proiettato sui figli. Infine incattivisce i docenti, facendoli tornare i «cani da guardia del sistema»: con la promessa di un rinnovato ruolo sociale importante, senza i costi e le fatiche della costante professionalizzazione. E poi, bocciare un extracomunitario o uno dei quartieri a rischio, che ci vuole? Loro non hanno l´avvocato facile.


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