Repubblica/Palermo: Non bastano le bocciature a ridare valore alla maturità
Gli esami di Stato sono finiti e la discussione verte sulle cifre dei promossi e dei bocciati. A Palermo è successo di tutto, nel bene e nel male, soprattutto nel male
MAURIZIO MURAGLIA
Gli esami di Stato sono finiti e la discussione verte sulle cifre dei promossi e dei bocciati. A Palermo è successo di tutto, nel bene e nel male, soprattutto nel male. Per quanto qualche commentatore locale, basandosi sull´aumento della percentuale dei bocciati, si sia già cimentato nell´inneggiare alla ritrovata serietà di questa prova finale, è raro trovare colleghi che si dichiarino soddisfatti di questo ritorno delle commissioni miste, a conferma dei timori paventati qualche settimana fa dalle colonne di questo giornale.
Un dato da evidenziare è che da qualche giorno, in città, circolano ragazzi diplomati e ragazzi non diplomati che, se si incontrassero e cominciassero a fare una conversazione, si accorgerebbero facilmente della differenza che passa tra loro. I licei classici e scientifici, si sa, raccolgono l´utenza più qualificata per ragioni sociali, e un bocciato di questi licei potrebbe facilmente far lezione di italiano o di matematica a gruppi di alunni promossi in altri istituti, senza togliere l´assoluta meritorietà e legittimità di queste ultime promozioni. Ciò avviene perché ogni commissione fa storia a sé, e le sorti dei ragazzi non dipendono affatto da standard di competenze fissati a livello nazionale che possano regolare la valutazione degli insegnanti, bensì dalla personale attitudine valutativa dei commissari, un quarto dei quali, lo si ricordi, ha dichiarato forfait ed è stato sostituito all´ultimo momento
Sappiamo di zelantissimi trentenni, con pochissima o nessuna esperienza di insegnamento che, col piglio dei neofiti, hanno inferto colpi di scimitarra a colleghi e studenti mai visti prima.
Chi istituisce un nesso logico tra bocciature e rinnovata serietà della valutazione pertanto farebbe bene a riflettere. Suscita perplessità, infatti, il luogo comune che i commissari esterni abbiano riequilibrato l´eccessiva generosità degli interni. Non ne eravamo convinti alla vigilia, lo siamo ancor meno alla luce dei fatti. Se così fosse stato, se ne dovrebbe dedurre che un insegnante abbia mediamente smarrito qualsiasi equilibrio e capacità di valutare i propri alunni. Se così fosse, saremmo davanti a una diagnosi tragica agli occhi dell´opinione pubblica, e tanto valeva lasciare tutti i membri esterni per lasciare soddisfatti i sostenitori dell´idea che «nella vita si troveranno sempre valutatori esterni» e che «l´esame di Stato rappresenta la prima vera prova della maturità di un ragazzo».
Invece a mio parere è necessario non solo che ci siano i commissari interni ma che i membri esterni e i presidenti abbiano piena fiducia nella loro capacità valutativa. Il consiglio di classe è un organo riconosciuto dalla legge come organo di valutazione. Il documento da esso prodotto, sempre ai sensi della legge, rappresenta la guida che ispira il lavoro della commissione, tenuta ad attenervisi. Non si vuole qui attribuire mera funzione notarile alla componente esterna, ma si vuol mettere in guardia dal ribaltamento di ruoli che in taluni casi si è realizzato sull´onda, forse, di un´implicita sfiducia nell´operato dei colleghi interni.
A questa ragione istituzionale se ne aggiunge poi un´altra, di ordine didattico, ad attenuare l´entusiasmo dei sostenitori della commissione esterna e del nesso tra bocciature e serietà valutativa. L´esame ha la sua ragion d´essere nella necessità di verificare se il candidato sia diventato capace di trasformare quel che ha imparato in cultura, in capacità di porre e porsi problemi, in sguardo critico sulla realtà. Il problema non è verificare se quel "nove" in storia dato dal collega interno sia veritiero o meno. Non si tratta di reinterrogare i ragazzi. Quel "nove" deve esser dato per veritiero e appartiene a una partita che si è chiusa a giugno, la partita dello scrutinio. In sede di esami occorre, interni ed esterni, concordare modalità che sappiano far emergere lo spessore culturale dello studente. A quel punto entra in campo la commissione nella sua interezza. A quel punto il negoziato è strenuo ed è giusto che i ragazzi rischino. Ma su questo terreno, non sullo squallido terreno del «vediamo se è vero che…».
Il mondo della scuola è attraversato da gravi tensioni, e le recenti discussioni sul merito e sulla carriera stanno riacutizzando una certa competizione tra insegnanti che non giova a nessuno. Era questo il rischio che si paventava alla vigilia di quest´esame: che per qualcuno valutare alunni altrui o, peggio, presiedere una commissione potesse risultare un´occasione irripetibile per far valere titoli che non trovano riconoscimento altrove.
Naturalmente ci sono commissioni che hanno lavorato in accordo e armonia, ma il trend generale non sembra essere stato segnato da un clima di serenità, né l´Istituzione, che doveva veicolare un messaggio di rinnovata autorevolezza a studenti e famiglie, avrà raggiunto il suo scopo quando le commissioni sono apparse litigiose e attraversate da tensioni profonde (fatto che, a onor del vero, si verificava anche con commissioni tutte interne).
E poiché dal confronto con colleghi di altre città non arrivano segnali diversi, credo giovi un bel bagno di realismo. Infatti il problema reale è che sono trascorsi nove anni dalla riforma dell´esame e siamo ancora scontenti perché anche nove anni fa eravamo in mezzo al guado e si pensava di uscirne cambiando il traguardo senza mettere mano al percorso. Così, nella miscela esplosiva di valutatori di percorso e misuratori di traguardo, ci rimettono gli studenti cascati male e se la ridono i più fortunati.