Repubblica_palermo-La solitudine del docente
LA SOLITUDINE DEL DOCENTE Siamo di fronte non solo alla morte di un adolescente, evento eccezionale quanto imprevedibile, quanto alla riproposizione di casi le cui cause vanno addebitate ...
LA SOLITUDINE DEL DOCENTE
Siamo di fronte non solo alla morte di un adolescente, evento eccezionale quanto imprevedibile, quanto alla riproposizione di casi le cui cause vanno addebitate al sistema scolastico più che alle persone. Per spiegarmi, senza passare a una difesa corporativa, vorrei citare due interventi di questi giorni apparsi sulla stampa nazionale.
La settimana scorsa un docente di un istituto professionale ha scritto una drammatica lettera a Umberto Galimberti (La Repubblica delle donne, 4 giugno 2005), per descrivere la solitudine di chi cerca di essere educatore e formatore in uno dei settori più disastrati d'Italia, come ci dicono anche le statistiche sui bocciati nelle scuole palermitane. Ne citerò solo un passo: "Poi bisogna tamponare le falle del docente: la mia non è una statistica, ma qua ogni due colleghi sufficientemente a posto con la testa ce n'è almeno un altro, se non due, che ha vari problemi, dalla depressione alle difficoltà di relazione". Con ciò non si vuole indicare in maniera semplicistica e riduttiva la responsabilità dell'insuccesso scolastico. Agghiacciante infatti, mi è parsa la dichiarazione di un rappresentate dei docenti cattolici italiani, Alberto Giannino, che individuava le cause della tragedia di Daniele nella mancanza di pacatezza, ragione e serenità dei suoi insegnanti, esponendoli a una gogna morale e a un giudizio sommario degno del Far West, ma dimostrando semmai quanto troppo spesso il cattolico possa essere lontano dall'etica cristiana.
Un bell'articolo di Gabriele Ferrante fa il punto sull'utilizzo della bocciatura nei sistemi scolastici europei (Scuola Insieme, aprile/maggio 2005) e taglia in due il continente: tra paesi nordici (Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia) generalmente poco inclini alla pratica della bocciatura e paesi come Francia, Italia, Portogallo e Germania, dove invece se ne fa un uso più o meno massiccio. Così concludeva Ferrante: "Di contromisure per frenare l'insuccesso scolastico, qualsiasi docente mediamente consapevole è in grado di indicarne almeno un paio, e di buona fattura. Resta da trovare un governo che abbia il coraggio di investire per l'istruzione e la formazione dei giovani, dimenticando almeno per un periodo la più facile politica dei tagli".
Trovare nel sistema il colpevole della tragedia di Daniele, può apparire la scorciatoia più ingenua e autoassolutoria. Eppure se guardiamo al contesto, all'erosione progressiva della funzione sociale della scuola, all'annullamento dell'autorevolezza della figura dell'insegnante, con il corollario dell'abbattimento della fiducia nella qualità del suo giudizio di formatore ed educatore. Se guardiamo alla totale assenza di un sistema di valutazione dei risultati e del lavoro stesso del docente, se guardiamo all'inutile e farsesca trovata dei debiti - che un'intuizione del ministro D'Onofrio portò in sostituzione dell'esame di settembre - gestiti dalle scuole stesse in maniera ragionieristica e burocratica. Se guardiamo infine alla compravendita dei diplomifici privati che, grazie alla leggi della Moratti, hanno visto i loro candidati aumentare dai 348 del 2001 ai 9.850 del 2003, concentrati prevalentemente in Sicilia e Campania. Se guardiamo dunque a tutto ciò, possiamo comprendere come la bocciatura suoni nella maggior parte dei casi come un raro e incomprensibile segno di un destino avverso, di cui non ci si può fare una ragione.
È questo il risultato di un sistema che guarda ormai ai numeri e non agli individui: i numeri delle cattedre e quelli degli organici; i numeri degli studenti per classe (mai meno di trenta, nel primo cruciale anno delle superiori); i numeri dei finanziamenti dei progetti, dei Pon, dei Por; i numeri del buono scuola, elemosina fasulla per scuole private di quart'ordine, sia laiche sia confessionali. La ragione è presto detta: sui numeri si approntano i tagli alla scuola da parte del governo, sui numeri di cattedre conquistate lucrano i sindacati effimeri successi.
Di seri e realizzabili interventi su come gestire una scuola di qualità al tempo della società di massa nemmeno l'ombra. Occorrerebbero finanziamenti per formare e sostenere gli insegnanti, e volontà politiche di uomini che il declinare della società italiana e della sua classe di governo non è in grado di offrire. Occorrerebbe un disegno culturale che vada oltre lo scimmiottamento di pratiche come quella del portfolio delle competenze, e permetta al docente di riconvertirsi all'ascolto dei bisogni formativi e umani dei suoi studenti, senza doversi affannare, in mille modi a raccattare un salario accessorio che gli permetta di arrivare alla fine del mese. Ma tutto questo vale per noi. Ai genitori di Daniele, una carezza.
GIORGIO CAVADI